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Sant' Angela da Foligno Terziaria francescana

4 gennaio

Foligno, 1248 - 4 gennaio 1309

Dopo essersi recata ad Assisi ed aver avuto esperienze mistiche avviò un'intensa attività apostolica per aiutare il prossimo e soprattutto i suoi concittadini affetti da lebbra. Una volta morti marito e figli diede tutti i suoi averi ai poveri ed entrò nel Terz'Ordine Francescano: da quel momento visse in modo cristocentrico, ovvero tramite l'amore giunge all'identica mistica con Cristo. Per i suoi scritti assai profondi è stata chiamata "maestra di teologia". Il 3 aprile 1701 furono concessi Messa ed Ufficio propri in onore della Beata. Infine il 9 ottobre 2013 Papa Francesco, accogliendo la relazione del Prefeto della Congregazione delle Cause dei Santi, ha iscritto Angela da Foligno nel catalogo dei Santi, estendendone il Culto liturgico alla Chiesa Universale.

Etimologia: Angela = messaggero, nunzio, dal greco

Martirologio Romano: A Foligno in Umbria, beata Angela, che, morti il marito e i figli, seguendo le orme di san Francesco, si diede completamente a Dio e affidō alla propria autobiografia le sue profonde esperienze di vita mistica.

Ascolta da RadioVaticana:   
  

Da alcuni anni ormai non è infrequente imbattersi in articoli di giornali e riviste di un certo spessore culturale nella ‘notizia’ del ritorno del sacro, della rinascita della religione, del risveglio religioso... del «ritorno di Dio» come se questi si fosse ritirato da questo mondo, «disgustato» dal comportamento dell’uomo (vedi ideologie e guerre del secolo XX). Sembra strano quando per decenni si era posto l’accento più sull’eclisse di Dio, sul tramonto delle religioni definite istituzionali o strutturate, sulla fine del sacro (e quindi di Dio) come bisogno esistenziale dell’uomo moderno impegnato nel transito dalla modernità alla post modernità. I giochi sembravano chiusi: Dio fuori dalla scacchiera della storia e del pensiero umano, fuori dall’organigramma di quelli da consultare. Non c’era più posto per lui nella nostra società secolarizzata, iper tecnologica, guidata e dominata dalla razionalità tecnico scientifica. E invece no. Non solo si dice che c’è un certo ritorno del sacro, ma addirittura si parla anche del nascere (o ri-nascere?) dell’interesse per la mistica. Sì, addirittura della mistica. Ma di che si tratta?


Le due mistiche
Ci sono due tipi di mistica. La prima è quella a cui ci si riferisce spesso nelle riviste (esplicitamente non religiose) e qui fa capolino la New Age (seguita dalla Next Age) di cui apparentemente oggi si parla di meno ma solo perché molti suoi concetti sono già stati assimilati e sono parte della cultura dominante.
Ebbene in queste forme di neomisticismo l’io è considerato l’autorità finale, sia rispetto alla pratica religiosa sia rispetto ad un credo già strutturato, come nel Cristianesimo. Siamo di fronte alla religione «fai-da-te», ad una religiosità senza Dio, creata su misura del proprio «io» e dei propri bisogni. Tanto che si potrebbe cambiare il primo dei Comandamenti in «Non avrai altro dio che il tuo io». È una mistica insomma senza un riferimento al Totalmente Altro, che è Dio (come nel Cristianesimo), senza un Tu Trascendentale con cui confrontarsi, seguendo il quale ri-programmarsi e a cui finalmente affidarsi.
Ben diverso il secondo concetto di mistica, quello cristiano.
Così scrive il Catechismo della Chiesa Cattolica (2014):
«Il progresso spirituale tende all’unione sempre più intima con Cristo. Questa unione si chiama “mistica”, perché partecipa al mistero di Cristo mediante i sacramenti – “i santi misteri” – e, in lui, al mistero della SS. Trinità. Dio ci chiama tutti a questa unione intima con lui, anche se soltanto ad alcuni sono concesse grazie speciali o segni straordinari di questa vita mistica, allo scopo di rendere manifesto il dono gratuito fatto a tutti».
Come dire tutti chiamati alla vita mistica, ma pochi (purtroppo?) gli eletti. Tutti i credenti infatti possono avere il sentimento e la convinzione della presenza immediata e trasformante di Dio nel loro cuore (specialmente dopo certe esperienze spirituali forti), poi magari tutto si indebolisce o svanisce divorato dalla fretta e dalle preoccupazioni quotidiane. Invece l’unione spirituale o mistica di quelli che chiamiamo... i mistici (santi e sante) non è passeggera, non è contingente o parziale ma abituale, è inoltre costante o per lo meno ritrovata con facilità lungo la giornata.
I mistici pur immersi nella normale quotidianità sembrano sempre animati e guidati da una luce intima trascendente, che ridona le giuste proporzioni a tutto il resto che è e rimane per loro terreno, parziale, contingente e transeunte. E di questo processo Dio ha l’iniziativa. È Lui che dilata l’anima e la guida, è sempre Lui che la orienta, la rinforza e la sostiene. Lui solo ne è l’alimento costante e la gioia totale e totalizzante.

Il mistico è tutt’altro che un alienato

È chiaro (e si evince dalla storia dei grandi mistici della Chiesa Cattolica) che questi uomini e donne erano tutt’altro che alienati, frustrati, umanamente insoddisfatti, ripiegati su se stessi o concentrati sul proprio io. Vivevano di Dio e per Dio, ri-centrati su di Lui, vivevano con Dio attingendo al suo Amore, che naturalmente manifestavano sul prossimo in mille modi e in molteplici attività. Dio era per loro un fuoco interiore incontenibile (come per il profeta Geremia), che li portava a «bruciare» di esso e con esso tutti quelli che avvicinavano.
Per dirla col filosofo H. Bergson:
«L’amore che lo (il mistico) consuma non è più semplicemente l’amore di un uomo verso Dio, è l’amore di Dio per tutti gli uomini. Attraverso Dio, con Dio, egli ama tutta l’umanità di un amore divino...».
L’incontro con Dio e con Cristo non depaupera o depotenzia assolutamente il mistico ma lo arricchisce e dà un’altra dimensione al suo essere uomo o donna.
«L’umanità dei mistici viene come potenziata dall’incontro del mistico stesso con Cristo: attraverso l’esperienza di Cristo egli plasma ulteriormente il proprio profilo umano... Ne risulta sempre che l’incontro personale con il Dio-Uno in Gesù Cristo non sminuisce la personalità ma la rafforza» (Joseph Sudbrack).
Questa lunga introduzione per capire meglio la figura della Beata Angela da Foligno, una mistica contemporanea di Dante e di Jacopone da Todi, vissuta nella verde Umbria poco tempo dopo il grande Francesco d’Assisi. Tutto per comprendere e assimilare il suo messaggio spirituale, valido ancora oggi.
Angela vide la luce a Foligno nel 1248, in una famiglia ricca di beni materiali. Lei stessa visse nel benessere, negli agi e piaceri del tempo. Si sa anche con certezza che fu sposata ed ebbe figli e che visse con la madre che soddisfaceva tutti i suoi capricci, come lei stessa dirà.
Intanto in quegli anni ci fu una notevole fioritura del Terz’Ordine di San Francesco, ed il messaggio del Poverello d’Assisi era presente anche a Foligno. Poi in città ci fu anche l’esempio di un ricco possidente, tale Pietro Crisi, che aveva lasciato tutte le ricchezze e si era fatto penitente, tra il disprezzo dei ricchi della città e anche le beffe della famiglia di Angela.

Il mio posto è nel mondo
Come disse lei stessa in quegli anni cominciò a «conoscere il peccato». Andò anche a confessarsi ma «la vergogna le impedì di fare una confessione completa e per questo rimase nel tormento». Finché tra le lacrime pregò San Francesco che le apparve nel sogno rassicurandola che avrebbe conosciuto la misericordia di Dio. E la pace arrivò attraverso una confessione totale. Siamo nell’anno 1285 e Angela aveva 37 anni: quindi una donna matura, non una ragazzina sprovveduta.
Iniziò così una vita di austera penitenza (l’esempio di Francesco la guidava) puntando le proprie energie sulla povertà in particolare su tre aspetti: povertà dalle cose, povertà dagli affetti, povertà da se stessa. Cominciò dai vestiti, dal vitto, dalle varie acconciature. Dovette anche affrontare la ostilità, gli ostacoli e le ingiurie della famiglia: marito, figli e madre stessa. Tutti a remare contro. Ma Angela continuò nella via e nella vita di povertà che ormai si era tracciata.
Lei perseverò anche quando, in breve tempo le morirono madre, marito e figli. Rimasta sola continuò sempre più decisa il proprio tracciato esistenziale alla sequela di Cristo povero. Vendette quasi tutti i beni e cominciò a passare ore in ginocchio davanti al Crocifisso, nutrendosi quotidianamente della Scrittura.
Al ritorno da un pellegrinaggio a San Pietro a Roma vendette anche un cascinale che possedeva.
Accettata nel Terz’Ordine francescano, decise di nuovo un pellegrinaggio a Assisi per «consultarsi» con Francesco. Durante il viaggio si fermò dalla sua amica badessa del monastero di Vallegloria che le chiese se voleva rimanere con loro. Ma Angela, pensando anche agli amici che l’accompagnavano (un piccolo cenacolo di «filioli»), rispose: «Il mio posto è nel mondo». Aggiungendo che intendeva rimanere e fare penitenza nella città dove aveva peccato.

«Amore non conosciuto perché mi lasci?

Siamo nel 1291, a sei anni dalla conversione. Un anno centrale e decisivo per Angela e per il suo cammino spirituale. È l’avvenimento dell’esperienza mistica di Assisi che la segnerà per sempre. Cosa successe?
Come lei stessa narrò a frate Arnaldo, suo confessore (che poi scrisse il Memoriale) lungo il cammino verso Assisi Angela ebbe un lungo dialogo con lo Spirito Santo, e poi con il Cristo. Al pomeriggio tornò nella chiesa di San Francesco e qui ebbe una travolgente esperienza mistica di Dio Trinità, della sua immensità e del suo Amore.
E poiché io – frate scrittore – qui le chiedevo e le dicevo: “Cosa hai visto?, essa rispose. Dicendo: “Ho visto una cosa piena, una maestà immensa, che non so dire, ma mi sembrava che era ogni bene. E mi disse molte parole di dolcezza quando partì e con immensa soavità e partì piano, con lentezza. E allora, dopo la sua partenza, cominciai a strillare ad alta voce – o urlare – e senza alcuna vergogna strillavo e urlavo, dicendo questa parola, cioè: “Amore non conosciuto perché? Cioè, perché mi lasci? Ma non potevo dire – o non dicevo – di più; gridavo solo senza vergogna la predetta parola, cioè: “Amore non conosciuto, e perché e perché e perché”».
Oltre ad una certa Masazuola (che Angela chiama «la mia compagna» e si tratta della beata Pasqualina da Foligno) aveva attirato attorno a sé un piccolo cenacolo di «figli» che trovarono in lei una guida spirituale ed una vera maestra nel riconoscere la via della croce, oltre che un esempio ed un sostegno nel percorrerla con decisione, in povertà e in preghiera. Angela morì il 4 gennaio 1309, ma il suo ricordo ed il suo insegnamento attraversarono i secoli. Tra i tanti che la «conobbero», ricordiamo Teresa d’Avila (grande mistica del 1500) ed Elisabetta della Trinità (una mistica morta nel 1906 e beatificata nel 1984) che apprezzarono il messaggio. Valido per la verità ancora oggi.
Quale messaggio? Sergio Andreoli, studioso della Beata, lo sintetizza affermando che la spiritualità di Angela parte dall’affermazione centrale che «Dio è tutto Amore e perciò ama in modo totale» e che per corrispondere a questo amore non si dovrà fare altro che seguire
il Cristo «che si è fatto e si fa ancora via in questo mondo; via... veracissima e diritta e breve».
Angela ha mostrato di aver chiaramente compreso che la profonda comunione con Dio non è un’utopia, ma una possibilità offerta che viene impedita solo dal peccato: di qui la necessità di una costante e severa mortificazione per aderire all’amore di Dio, che è ogni bene e gioia per l’anima. Angela inoltre ha capito che questa unione profonda si realizza specialmente nell’Eucarestia, espressione altissima e misteriosa dell’Amore di Cristo per noi. Un’altra costante della sua vita fu la meditazione dei misteri di Cristo, particolarmente della sua Passione e Morte (insieme a Maria di Nazaret ai piedi della Croce), pratica, secondo lei, molto fruttuosa per rimanere in comunione con Dio e per perseverare nella donazione a Dio e al prossimo.
Sappiamo tutti che non c’è vera vita spirituale senza l’umiltà e senza la preghiera. Questa può essere corporale (vocale) mentale («quando non si pensa nient’altro che a Dio») e soprannaturale (o di contemplazione).
«In queste tre scuole uno conosce sé e Dio; e per il fatto che conosce, ama; e perché ama, desidera avere ciò che ama. E questo è il segno del vero amore: che chi ama non trasforma parte di sé, ma tutto sé nell’Amato».
Considerazioni queste che ritengo sempre attuali per tutti: per chi comincia il proprio cammino spirituale, e per chi è già avanti e con la guida dello Spirito, vuole continuare l’avventura della conoscenza dell’Amore di Dio nella sua vita, seguendo Cristo «la via breve».


Autore:
Mario Scudu sdb

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Aggiunto/modificato il 2014-11-03

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