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> Home > Sezione G > Beata Giuseppa Maria di Sant’Agnese (Giuseppa Teresa Albinàna) Condividi su Facebook Twitter

Beata Giuseppa Maria di Sant’Agnese (Giuseppa Teresa Albinàna) Vergine

21 gennaio

Benigànim, Spagna, 9 gennaio 1625 - Benigànim, Spagna, 21 gennaio 1696

Nacque in Beniganim (Valencia) il 9 gennaio del 1625, da una famiglia di modeste condizioni. Giovanissima, rimase orfana di padre. Dopo aver superato varie difficoltà, il 25 ottobre 1643, entrò come suora conversa nel monastero delle agostiniane del suo paese, monastero che apparteneva all’Osservanza Scalza, istituita nel 1597, nell'ambito dell'Ordine, dall’arcivescovo s. Giovanni de Ribera, nella diocesi di Valencia. Semplice ed umile, pur se dedita instancabilmente ai lavori e ai servizi della comunità, fu una grande anima contemplativa. Possedeva mediocri qualità intellettuali, anzi era addirittura analfabeta, ma le sue conoscenze teologiche e il dono del consiglio che aveva ricevuto costituirono motivo di ammirazione per tutti. Le sue estasi sorprendevano quanti la conoscevano. Il 18 novembre l663 divenne suora corista e, lasciato il nome di Giuseppa Teresa ricevuto nel battesimo, volle chiamarsi Giuseppa Maria di sant’Agnese. Comunemente però era chiamata Madre Agnese. Morì il 21 gennaio 1696 e i suoi resti oggi si conservano nel monastero delle agostiniane di Beniganim. Fu beatificata da Leone XIII il 26 febbraio 1888.

Martirologio Romano: Nel monastero di Beniganim nel territorio di Valencia in Spagna, beata Giuseppa Maria di Sant’Agnese, vergine dell’Ordine delle Agostiniane Scalze.


Giuseppa Teresa Albinàna nacque il 9 gennaio 1625 a Benigànim, nei pressi di Valenza, dai poveri genitori Luigi e Vincenza Gomar. Rimasta orfana di padre ancora in tenera età, fu accolta dallo zio Bartolomeo Tudela, dove crebbe devota alla Madonna e dedita alla recita del Santo Rosario. Rimasta poi orfana anche di madre, all’età di diciotto anni chiese di essere ammessa nel locale monastero delle Eremitane Scalze di Sant’Agostino. Allo zio, che ripetutamente tentò di maritarla, si era sempre opposta affermando: “Non sia mai che io debba innamorarmi di qualche uomo. Io ho già un ottimo sposo in Gesù che è la mia gioia”. Un giorno, salita nel granaio per riempire un sacco di grano, un servo tentò di abbracciarla e baciarla, ma Giuseppa prima di fuggire, si lasciò scappare un ceffone urlandogli: “Io sono vergine!”.Giuseppa fu dunque accolta tra le agostiniane nel 1643 e dopo otto mesi ricevette il velo di conversa. La maestra di noviziato, per assicurarsi della sua vocazione, un giorno le comunicò che era decisa a rimandarla nel mondo, ma la ragazza che preferiva lo stato claustrale le rispose di essere disposta piuttosto a morire. Fu allora ammessa alla professione religiosa ed assunse il nome di Suor Maria Giuseppa di Sant’Agnese. Le fu poi affidato il compito di dispensiera e nei momenti liberi fabbricava corone del Rosario o aiutava le consorelle. Al suo confessore confidò: “Preferisco molto di più pulire, scopare e raccogliere le immondezze nella casa di Dio, che essere regina di Spagna”. Per tutta la vita volle riservarsi il macabro compito di vestire e seppellire le consorelle defunte.
Dopo una grave malattia suor Giuseppa udì una voce interna che la invitò a scegliere se restare per tre anni paralitica o muta e per non essere di peso alla comunità preferì la seconda opzione. L'infermità la aiutò nel restare più unita a Dio ed anche lavorando non cessò mai la sua orazione mentale. Quando guarì prese comunque ad osservare il silenzio non solo nelle ore stabilite, ma anche nei momenti di riposo. Per la vita santa che conduceva sotto ogni aspetto, l’arcivescovo di Valenza monsignor Martino Lopez Antiveros, durante una visita al monastero nel 1663 volle che Giuseppa fosse ammessa tra le coriste. Fu sempre puntuale al coro e benché fosse balbuziente, tenendo dinanzi allo sguardo una devota immagine dell’“Ecce homo”, recitava speditamente l’ufficio divino. Si alzava alle tre del mattino, andava in coro e vi restava fino alle undici. Pregava per il papa, per ogni necessità della Chiesa ed in particolare per le anime del Purgatorio, che definiva “sue figlioline”. Supplicava di pregare per loro quanti si avvicinavano alla sua grata, raccoglieva elemosine per la celebrazione di Messe, si flagellava a sangue, non mangiava mai carne, in avvento e quaresima non si nutriva che di pane ed acqua e non beveva vino né cioccolata. A cotante rinunce e sofferenze Giuseppa era spinta dalla continua contemplazione della Passione di Gesù. Durante le tre processioni penitenziali dell’anno, la beata procedeva ultima della fila a piedi scalzi, portando sulle spalle una croce, sul capo una corona di spine ed una corda al collo. Durante i pasti sovente era assorta e con il volto infiammato: interrogata sul perché non mangiasse, rispondeva che tutto il cibo le si convertiva in chiodi, battiture e corone di spine.
Il diavolo la molestò più volte, attribuendole titoli volgari e tentandola ad azioni disoneste, ma ella se ne liberò sempre segnandosi ed esclamando: “Gesù, figlio di David, abbi pietà di me”.
Era sufficiente parlarle del mistero della Santissima Trinità perché la beata andasse in estasi e nelle situazioni più impegnative soleva esclamare: “La Santissima Trinità ci assista”.
Suor Giuseppa si riteneva una grande peccatrice e temeva di sprofondare nell’inferno. Ogni giorno riceveva la Comunione su licenza del suo confessore. Il tempo libero lo trascorreva in adorazione dinnanzi al tabernacolo e salutava qualsiasi visitatore sempre così: “Sia lodato il Santissimo Sacramento”. Quando fra le consorelle sorgeva qualche discordia, sapeva indurle alla riconciliazione con un tatto tutto speciale.Madre Giuseppa accorreva gioiosamente e con prontezza per soccorrere i poveri nelle loro necessita, donando loro gli abiti smessi dalle consorelle. Ma anche per se stessa preferiva le vesti rappezzate a quelle nuove.La fama della sua santità si era ormai propagata ovunque e gli abitanti di Valenza, in situazioni di pericolo, erano soliti esclamare: “Madre Agnese assistetemi”. Leggeva il futuro come in un libro e penetrava nei segreti dei cuori: per questo molti vescovi, religiosi e personalità importanti andavano a consultarla ed a raccomandarsi alle sue preghiere. La madre del re Carlo II di Spagna sottoponeva al suo giudizio addirittura i principali affari della monarchia.Più volte gli arcivescovi valenziani fecero esaminare la beata, ma tutti gli inquisitori ne riconobbero la singolare virtù, nonostante da certe religiose fosse considerata una pazzerella. Un’ulteriore sua peculiarità fu la virtù dell’obbedienza, che esercitò sempre con devozione, eseguendo prontamente anche i comandi che riceveva mentalmente da chiunque, avvertita dall’Angelo Custode.Quando Madre Giuseppa fu avvertita in modo soprannaturale dell’ormai prossima sua morte, non riuscì a contenere il suo giubilo. Negli ultimi mesi di vita fu colpita dall’epilessia, dall’asma e dall’ernia che aveva contratto in noviziato compiendo sforzi eccessivi. Sollecitò ella stessa il Viatico: “Sorelle mie, portatemi subito il mio sposo perché parto”. Morì infatti il 21 gennaio 1696, non prima di aver pronunciate ininterrottamente parecchie invocazioni a Gesù e a Maria.
Il corpo della defunta si conservò flessibile e da esso si sprigionò inoltre in tutto il monastero una soave fragranza. La folla accorse numerosa per poterla venerare ed ottenerne qualche reliquia.
Il pontefice Leone XIII la beatificò il 21 febbraio 1888 ed il Martyrologium Romanum ancor oggi la commemora nell’anniversario della nascita al Cielo. I suoi resti mortali, venerati nella cappella del monastero di Benigànim, furono trafugati durante la guerra civile spagnola negli anni Trenta del secolo scorso e se ne perse irrimediabilmente traccia.


Autore:
Fabio Arduino

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Aggiunto/modificato il 2006-01-12

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