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Beato Francesco Pianzola Sacerdote e fondatore

4 giugno

Sartirana Lomellina, Pavia, 5 ottobre 1881 – Mortara, Pavia, 4 giugno 1943

Francesco Pianzola nacque a Sartirana Lomellina, in provincia di Pavia e diocesi di Vigevano, il 5 ottobre 1881. Venuto a contatto già dall’infanzia con le fatiche dei contadini, decise di diventare sacerdote: fu ordinato il 16 marzo 1907. Per consolidare la fede della gente di campagna, fondò i Padri Missionari Oblati dell’Immacolata, promosse la nascita degli oratori e delle associazioni per i lavoratori e predicò missioni al popolo, anche con l’aiuto di giovani laici, ragazzi e ragazze, preparati per lo scopo nell’associazione delle “Giovani Guardie”. Quando si accorse che tra le aderenti a questo gruppo alcune intendevano consacrarsi a Dio, espose loro un progetto: dovevano essere missionarie tra i contadini, in particolare accostando le giovani donne. L’8 maggio 1919 la prima superiora, Anna Bandi, andò a vivere con cinque compagne in un quartiere povero di Mortara (Pavia): era l’atto di nascita delle Suore Missionarie dell’Immacolata Regina Pacis. Padre Pianzola seguì attentamente lo sviluppo della congregazione, anche se dovette soffrire per un breve periodo, a causa dei suoi confratelli Oblati. Malato di diabete, morì nella Casa madre delle suore a Mortara il 4 giugno 1943. È stato beatificato a Vigevano il 26 giugno 2008, sotto il pontificato di papa Benedetto XVI. I suoi resti mortali sono venerati in un’apposita cappella nella Casa madre delle Suore Missionarie dell’Immacolata Regina Pacis, a Mortara, in via SS. Trinità 16.



Infanzia e primi anni
Francesco Pianzola nacque a Sartirana Lomellina, in provincia di Pavia e diocesi di Vigevano, il 5 ottobre 1881; fu battezzato due giorni dopo nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta. I suoi genitori, Luigi Pianzola, fabbro ferraio, e Teresa Moro, non gli fecero mancare un’educazione pienamente cristiana.
I frutti si videro quasi subito: a otto anni, Francesco radunava nel cortile di casa i suoi coetanei, specie quelli che abitavano nelle vicine cascine. Alla sua naturale religiosità si affiancò col tempo un carattere riflessivo e serio, anche se, per il resto, appariva tranquillo e spensierato.
Il suo parroco, don Carlo Moretta, iniziò a seguirlo con discrezione, intuendo in lui i segni di una possibile vocazione sacerdotale. Non passò molto tempo: il 16 ottobre 1893, appena terminate le elementari, Francesco entrò nel Seminario diocesano.

Un seminarista dinamico
Finito il liceo, però, il giovane seminarista contrasse una grave malattia polmonare: i superiori, dunque, pensarono di rimandarlo a casa, sperando nella sua guarigione. Durante la convalescenza, meditò a lungo su come far crescere la fede semplice dei contadini e degli artigiani del paese.
Appena si rimise in forze, fu nominato dal parroco don Moretta sacrestano della chiesa di Maria SS. del Buon Consiglio: arrivò, pur non essendo nemmeno chierico, a organizzare delle conferenze sul Credo. Inoltre, dato che Sartirana non aveva un oratorio, pianificò un vero e proprio progetto educativo, fatto di giochi, preghiere, pellegrinaggi: era l’oratorio di Sant’Antonio Abate.

Le sue aspirazioni
Rientrato in Seminario, mentre s’impegnava negli studi, Francesco fondò il giornalino interno e ideò varie iniziative per collegare il suo paese con la struttura dove viveva. Quando tornava a casa in vacanza, poi, curava delle scuole gratuite di teologia per ragazzi dai sedici ai diciotto anni.
L’origine di tanta creatività era la sua intensa preghiera e il suo speciale affidamento alla Madonna: «Ai piedi di Gesù Sacramentato, ho posto tutta la mia vita sotto l’egida di Maria SS. del Buon Consiglio, perché in me si rinnovi la pazzia nascosta della croce, infiammandomi il cuore di una fiamma di ardore santi, che si consumi nel mio essere, a gloria di Dio, a salute dei fanciulli e dei vecchi, e a mia vergogna».
Il 16 marzo 1907 Francesco venne ordinato sacerdote dal vescovo di Vigevano, monsignor Pietro Berruti. Come primo incarico, otto giorni dopo, gli venne conferito quello di rettore del Santuario dell’Immacolata a Vigevano e delle opere annesse.

I Padri Missionari Oblati dell’Immacolata
Intanto don Francesco, già da diacono, aveva esposto al suo vescovo un nuovo progetto, motivato sempre dalla necessità di consolidare la fede della gente di campagna e di fare in modo che essa realmente facesse parte della vita: un’associazione di sacerdoti diocesani che si dedicassero in maniera particolare alla predicazione delle missioni al popolo e all’educazione cristiana della gioventù.
Monsignor Berruti gli suggerì di aspettare, ma nel frattempo il giovane sacerdote cominciò a stendere le regole per l’associazione. Infine, l’8 dicembre 1908, il vescovo benedisse l’avvio dei Padri Missionari Oblati dell’Immacolata, composti al momento da don Francesco e dagli amici don Michele Gerosa e don Giovanni Balduzzi, quest’ultimo ancora diacono.
Raggiunti da altri confratelli, i tre Padri si diedero intensamente all’evangelizzazione delle zone di campagna, promuovendo la nascita degli oratori e delle associazioni per i lavoratori e predicando missioni al popolo.
Padre Francesco definì in questo modo la sua scelta: «Mi sono fatto oblato, che vuol dire offerto; ebbene, sono tutto di Maria Immacolata; oblato vuol dire povero strumento delle meraviglie di Dio, e tale sarò, se mi studierò di essere un don Niente».

I giovani e l’oratorio
Oltre alle missioni al popolo, padre Francesco curava in particolare la formazione dei giovani, mediante gli strumenti forniti dall’Azione Cattolica. A questo scopo formò il gruppo delle “Giovani Guardie”: ragazzi e ragazze ben preparati, che potessero raggiungere i contadini là dove vivevano, per dare loro il messaggio del Vangelo come alternativa alle dottrine socialiste.
Come già da giovane seminarista, diede impulso alla creazione di oratori in tutta la diocesi di Vigevano, tanto da fondare, nel 1914, la Federazione diocesana degli Oratori, una delle prime in Italia.
Tra le ragazze che avvicinava nel corso delle missioni o che facevano parte delle Giovani Guardie, padre Francesco si rese conto che alcune manifestavano un autentico desiderio di seguire il Signore più da vicino. La sera del 21 gennaio 1919, giorno di sant’Agnese, espose loro un nuovo progetto: dovevano essere suore missionarie tra le giovani.
Cinque giorni dopo, nel Santuario dell’Immacolata, a porte chiuse, sei Giovani Guardie si ritrovarono, l’una all’insaputa dell’altra, nella cappella dedicata a santa Rita. Lì padre Francesco consegnò loro un cuoricino di stoffa rossa: avrebbero dovuto cucirlo sotto il vestito, come simbolo del loro impegno di consacrazione per la salvezza delle giovani.

Suore tra le mondine
Nel 1919, partecipando a un convegno di Azione Cattolica, padre Pianzola poté avere udienza da papa Benedetto XV e gli presentò l’idea delle Suore Missionarie, con una precisazione: dovevano indossare abiti secolari, per accostare meglio le giovani. Precisamente, scelse come divisa l’abito povero delle contadine, con una croce rossa all’altezza del cuore.
La casa madre fu trovata a Mortara, in un quartiere detto “Calabria” per l’estrema povertà in cui si trovavano i residenti. L’8 maggio 1919 le prime sei suore, Teresina e Rina Preda, Rosina Cereghino, Luigina Salvadeo, Annunciata Caccia e Anna Bandi, scelta come superiora, iniziarono ad abitare lì.
Nello stesso anno, iniziarono un nuovo apostolato: accoglievano le ragazze che lavoravano come mondariso già alla stazione del treno, poi curavano i loro bambini e provvedevano in tutto alle loro necessità. Il 12 novembre 1923 monsignor Berruti concesse la propria approvazione circa l’apostolato di quel gruppo.

Lo stile di padre Pianzola
Per l’impronta che diede alle sue suore, padre Pianzola fu presto soprannominato «al pref sant di mundini», «il prete santo delle mondine». Tra i suoi impegni di predicazione, trovò il tempo di scrivere il «Regolamento di vita interiore» per le sue figlie, ormai denominate Suore Missionarie dell’Immacolata Regina Pacis.
Nelle conferenze, come nelle lettere che indirizzava alle suore, raccomandava loro costantemente di vivere nella gioia, pur mantenendo una serietà interiore: «L’apostolato», scrisse a una suora, «sta nella faccia sorridente. Gioca come una ciarlatana, ma sii veneranda nel modo di fare, nell’osservanza della santa regola, nell’unione interiore con Gesù».
Lui stesso si era impegnato sin dalla prima giovinezza a servire gli altri col sorriso sulle labbra. «Tutto per Gesù» era il suo motto, che trasmise alle suore come segreto di una vita pienamente riuscita. Nei suoi momenti liberi, continuava a coltivare l’interesse per la divulgazione della storia locale e delle vite dei santi: non chiedeva alcun compenso, purché i contadini si riappropriassero delle loro radici.
Sempre per i contadini, difese le loro istanze, obbedendo alla Dottrina Sociale della Chiesa. Scrisse in un suo testo di sociologia: «Quando il salario non è giusto e l’operaio non può difendere i propri diritti altrimenti, allora lo sciopero è lecito. E il salario non deve essere una merce che paga l’energia dell’operaio, ma una partecipazione agli utili, e tale da porre il proprietario in condizione di mantenere la sua famiglia».

Un momento di turbamento
L’8 dicembre 1923 il vescovo monsignor Angelo Giacinto Scapardini approvò le Costituzioni delle Suore Missionarie, mentre i Padri Missionari Oblati non avevano ancora una strutturazione giuridica propria. Ormai cresciuti di numero, non condividevano però col fondatore gli ideali per cui lui aveva pensato alla loro famiglia, tanto da disconoscerlo.
Don Pianzola, con gran sofferenza, scelse di distaccarsi da essi, che negli anni ’30 ebbero il riconoscimento ufficiale dalla Santa Sede, perdendo anche il titolo di “padre”. Non potendo abitare più né presso il Santuario dell’Immacolata, né accanto alle suore, fu ospitato dall’amico don Francesco Corsico a Sant’Angelo di Lomellina. Il paese non era tanto lontano da Mortara, così lui poté continuare a visitare le sue religiose.

Gli ultimi anni e la morte
A partire dal settembre 1932, don Pianzola poté risiedere stabilmente a Mortara, in Casa madre, e riottenne la qualifica di “padre”. Predicò ancora missioni e conferenze, come nel 1938, quando fu invitato a tenere il Quaresimale nel Duomo di Vigevano, ma la sua salute andava pian piano declinando, a causa del diabete.
Il 1° giugno 1942 celebrò la sua ultima Messa, dopo la quale si mise a letto. Alzatosi nel pomeriggio per una passeggiata nell’orto, a sera si coricò di nuovo per non alzarsi più. Ormai agonizzante, ricevette la visita del vescovo e gli fu amministrata l’Unzione degli infermi.
Nel pomeriggio del 3 giugno fece per alzarsi: voleva andare in chiesa per i Vespri della solennità dell’Ascensione, ma non riuscì. Le suore, per accontentarlo, recitarono i Vespri del Piccolo Ufficio della Madonna. Padre Pianzola assistette sorridendo, ma mormorò: «È quello corto». Nella notte ricevette la Comunione in forma di Viatico e, alle 4,30 del 4 giugno 1943, rese l’anima a Dio.

La causa di beatificazione fino al decreto sulle virtù eroiche
Vista la fama di santità che accompagnava il ricordo di padre Pianzola, fu avviata la sua Causa di beatificazione, per l’accertamento delle virtù eroiche, nella diocesi di Vigevano. Ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede il 22 marzo 1983, fu avviata l’inchiesta diocesana, la cui prima sessione si svolse il 4 giugno 1983 e l’ultima il 25 marzo 1990. Gli atti dell’inchiesta sono stati riconosciuti validi dalla Congregazione delle Cause dei Santi il 31 gennaio 1992.
La sua “Positio super virtutibus”, trasmessa a Roma nel 1999, è stata esaminata positivamente nel Congresso peculiare dei Consultori Teologi del 30 novembre 2004. Nella Sessione Ordinaria dei Cardinali e Vescovi membri della Congregazione delle Cause dei Santi dell’8 febbraio 2005 furono chieste alcune spiegazioni in merito ad alcuni aspetti della vita del Servo di Dio. Nella Sessione Ordinaria del 16 maggio 2006 le spiegazioni furono accettate, affermando un secondo giudizio positivo sull’esercizio in grado eroico delle virtù da parte di padre Pianzola.
Infine, il 26 giugno 2006, papa Benedetto XVI ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui padre Francesco Pianzola poteva essere dichiarato Venerabile.

Il miracolo e la beatificazione
Come potenziale miracolo valido per la beatificazione è stato esaminato il caso di Gian Pietro Rigolone, quindicenne all’epoca dei fatti. La sera del 28 febbraio 1984 si trovava con il fratello minore e stava maneggiando un fucile da caccia, quando un colpo, partito accidentalmente, lo ferì gravemente al volto: i pallini penetrarono nel cranio del ragazzo, che entrò subito in coma.
I medici, quando fu portato in ospedale poco dopo, lo dichiararono inoperabile. In molti iniziarono a invocare il Servo di Dio Francesco Pianzola, mentre la madre del ragazzo ricevette una sua reliquia, precisamente un fazzoletto, e gliela mise ogni giorno sulla fronte. Pochi giorni dopo, Gian Pietro iniziò a migliorare, fino da essere dichiarato clinicamente guarito.
L’inchiesta sull’asserito miracolo è stata istruita presso la Curia di Vercelli e si è svolta dal 3 dicembre 2001 al 20 settembre 2002; la convalida è arrivata il 21 febbraio 2003. La Consulta Medica della Congregazione delle Cause dei Santi, nella seduta del 12 ottobre 2006, si è pronunciata favorevolmente circa l’inspiegabilità della guarigione. Anche i Consultori Teologi, nel il Congresso Peculiare del 30 ottobre 2007, e i Cardinali e Vescovi, nella Sessione Ordinaria dell’11 marzo 2008, hanno espresso parere positivo circa il riconoscimento del miracolo.
Infine, il 15 marzo 2008, papa Benedetto XVI ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui la guarigione era riconosciuta rapida, completa, duratura e ottenuta mediante l’intercessione del Venerabile Francesco Pianzola.
Il rito della beatificazione è stato celebrato 4 ottobre 2008 nel duomo di Vigevano; a presiederlo, il cardinal José Saraiva Martins, Prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi, come delegato del Santo Padre.
I resti mortali del Beato Francesco Pianzola, sepolti fin dalla morte nella cappella della Casa Madre delle Suore Missionarie a Mortara, sono permanentemente esposti alla venerazione dei fedeli dal 3 ottobre 2009, in un’apposita cappella, sempre presso la Casa madre delle suore.
La sua memoria liturgica, per la congregazione da lui fondata e per la diocesi di Vigevano, cade il 4 giugno, il giorno esatto della sua nascita al Cielo.

Le Suore dell’Immacolata Regina Pacis oggi
Le Suore dell’Immacolata Regina Pacis ottennero il primo riconoscimento dalla Santa Sede col Decreto di lode del 9 luglio 1947. L’approvazione definitiva, invece, arrivò il 12 gennaio 1957.
Oggi vivono la loro passione missionaria tramite la collaborazione con le chiese locali, specie inserendosi in quartieri periferici e zone di campagna. Prestano anche servizio in zone dove manca la presenza stabile del sacerdote e dove le donne appaiono sfruttate o in situazioni di disagio. Dove possibile, poi, portano avanti le missioni al popolo.
Attualmente contano una trentina di comunità presenti, oltre che in Italia, in Francia, Africa e Brasile. La Casa madre è a Mortara, in via SS. Trinità 16, ma la Casa generalizia è a Vigevano. Considerano data di fondazione l’8 maggio 1919, quando madre Anna Bandi e le prime cinque compagne entrarono nella loro prima casa.

Autore: Emilia Flocchini
 


 

Si fa chiamare “Don Niente” tanto grande è la sua umiltà. Per il clero è l’apostolo della Lomellina (territorio tra il Piemonte e la Lombardia), mentre per i fedeli del posto è il pref sant di mundini (ovvero “il prete Santo delle mondine”). Sempre in prima linea, Francesco Pianzola vive il sacerdozio come una missione da svolgere per le strade del mondo, laddove più urgente è il bisogno di carità materiale e spirituale.
Nasce in provincia di Pavia, a Sartirana Lomellina, nel 1881. Francesco già da bambino vive la dura realtà lavorativa delle risaie, tipica coltura della Lomellina. Le “mondine” arrivano da tutta Italia per lavorare fianco a fianco con le contadine del posto. Tra di loro ci sono anche operaie, commesse, sarte, dattilografe, quasi tutte giovani, anche minorenni, attirate dal lavoro stagionale che dà loro la possibilità di guadagnare qualcosa. Il lavoro è faticosissimo e mal pagato: dall’alba al tramonto devono stare con la schiena ricurva, le gambe e le mani in mezzo all’acqua, sotto il sole cocente. Le braccianti locali hanno anche il compito di accudire la casa, i bambini. Devono cucinare, fare il bucato. E per raggiungere il posto di lavoro si deve camminare per alcuni chilometri, mentre l’alimentazione è pressoché insufficiente. Francesco Pianzola, diventato sacerdote nel 1907 a Vigevano (Pavia), desidera aiutarle.
Nel 1919, a Mortara (Pavia), insieme alla suora Madre Anna Bandi, apre la Casa delle Suore Missionarie di Maria Immacolata Regina della Pace per l’educazione religiosa dei bambini e delle ragazze. La loro presenza è più assidua nelle periferie, nelle cascine di campagna più isolate, tra i lavoratori più umili, emarginati, oppressi, poco istruiti, dove contadini e operai insieme lottano per ottenere diritti negati. L’attenzione viene rivolta soprattutto alle “mondine”, le lavoratrici stagionali delle risaie alle quali Don Francesco e le suore missionarie annunciano le parole del Vangelo.
Francesco Pianzola muore nel 1943 a Mortara (Pavia). Oggi, le suore “pianzoline”, come vengono chiamate, prestano la loro opera oltre che in Italia, in Francia, Africa e America Latina. Non più in mezzo alle “mondine”, ma in quelle situazioni difficili fatte di miseria e di sfruttamento ancora presenti in tanti Paesi del mondo.


Autore:
Mariella Lentini


Fonte:
Mariella Lentini, Santi compagni guida per tutti i giorni

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Aggiunto/modificato il 2023-05-18

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