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Rosa Govone Terziaria domenicana

Testimoni

Mondovì, 26 novembre 1716 - Torino, 28 febbraio 1776

Filantropa. Donna piemontese nota per il suo animo molto generoso, nel 1742 aprì la sua casa ad alcune ragazze orfane o di famiglie molto povere e ad alcune ragazze di strada e le istruì al lavoro avviandole alla fede cristiana. Dopo il suo trasferimento a Torino, con l'aiuto di Carlo Emanuele III, fondò un istituto molto importante (1755) in quella città e poi altri nei dintorni. Le ragazze che decidevano di unirsi alla comunità erano dette le "rosine", dal nome della fondatrice, non erano tenute a fare voti religiosi ed erano completamente libere.


Nel cuore di Torino, nella via omonima, sorge l'Istituto delle Rosine. Il dolce nome di questo Istituto Secolare, rievocando altri tempi, denota un'associazione privata di donne che, senza voti religiosi, vive comunitariamente la propria fede; una modifica recente dello statuto permette l'ingresso anche a donne non più giovani.
Per comprendere il carisma di quest'opera è bene ripercorrere la vita della sua fondatrice.
Francesca Maria Govone nacque a Mondovì-Breo il 26 novembre 1716 in una famiglia di nobili decaduti che affittava e lavorava alcuni terreni, ebbe un fratello e una sorella. I genitori riuscirono ad impartire ai figli un'educazione scolastica, sebbene elementare. Francesca fu da sempre un'appassionata lettrice. In contatto soprattutto con i domenicani e gli oratoriani della sua città, si faceva prestare molti libri. Le sue letture preferite furono "La leggenda Aurea" del B. Jacopo da Varazze e "La Filotea" di S. Francesco di Sales. Trascorse l'adolescenza tra i lavori domestici (soprattutto il ricamo) e la partecipazione assidua alle sacre funzioni. Probabilmente aspirava alla vita religiosa ma le mancava la dote. Si aggregò al terz'ordine domenicano, vivendo da laica la consacrazione al Signore: divenne suor Rosa. Dall'Ordine dei Predicatori acquisì una grande devozione al Rosario e a S. Caterina da Siena.
A circa vent'anni perse entrambi i genitori, si unì allora ad una coetanea, Marianna Viglietti, anch'essa orfana e sola. Nacque un'amicizia che sarebbe durata tutta la vita.
Quegli anni non erano certo tranquilli, oltre alla povertà diffusa imperversavano le scorribande degli eserciti. A causa dell'assedio franco-prussiano alla città di Cuneo, circa diecimila soldati erano accampati proprio nei dintorni di Mondovì. Il 13 agosto 1744 Rosa e la sua amica, davanti all'immagine della Madonna nel Santuario di Vicoforte, si offrirono vittime per la salvezza delle loro terre. Proprio lì Rosa ebbe l'ispirazione di fondare nella sua città un'opera per accogliere donne, di ogni età, che a causa della solitudine faticavano a vivere onestamente. La comunità sarebbe stata indipendente, vivendo del proprio lavoro: per il '700 era un'impresa ardita. Il suo consigliere spirituale, l'oratoriano Giovanni Battista Trona (venerabile), e la contessa Lucia di Marsaglia procurarono loro la prima sistemazione dignitosa. In pochi anni le ritirate divennero settanta. Ci furono alcuni trasferimenti dovuti all'aumento del loro numero ma anche a causa di certe mormorazioni. Alcune ragazze provenivano da esperienze di dubbia moralità, vittime spesso delle violenze militari, ma non avevano forse diritto di ricominciare a vivere onestamente ?
Occupazione principale dell'Opera era la preparazione e la vendita dei tessuti, il ricamo e la sartoria. Ogni ospite veniva occupata secondo le proprie capacità. Potevano uscire, se lo volevano, quando raggiungevano una somma sufficiente per la dote da impiegare in un matrimonio o per entrare in monastero. La direzione spirituale era dei Padri dell'Oratorio ed erano previsti momenti di preghiera comunitaria. A soli trent'anni Rosa veniva a trovarsi a capo di una variegata comunità. Sorsero però, ad un certo punto, problemi e contrasti tali con il locatario che decise di trasferirsi a Torino.
Giunse nella capitale sabauda nel 1755 con ottime credenziali (il vescovo, gli oratoriani, alcuni nobili). Qui la validità dell'Opera e le sue capacità, mai disgiunte da una grande modestia, fecero breccia su coloro che dovevano accoglierla: il Cardinale Delle Lanze e il sovrano Carlo Emanuele III.
In città esistevano altri istituti simili, l'originalità stava però nell'autosufficienza dell'organizzazione che non dipendeva dalle elemosine. Dopo due secoli e mezzo il motto che è ancora oggi presente sul portone dell'ingresso principale recita: "Vivrai dell'opera delle tue mani".
Era necessario trovare un posto adeguato, si pensò in grande. Si stabilirono nel complesso che i Fatebenefratelli avevano da poco lasciato, in pochi mesi "le Rosine", come vennero denominate, erano già centocinquanta. Il caseggiato e il terreno circostante furono donati direttamente dal sovrano. Un'opera di così grandi proporzioni non poteva passare inosservata, si cominciò a mormorare che Rosa non aveva la preparazione spirituale per dirigerla. Fu istituita dal nuovo Arcivescovo, Cardinale Roero, una commissione composta da quattro teologi. Rosa venne bocciata, non si discuteva sulla validità dell'istituto ma sulle capacità della sua fondatrice. Lei però andò avanti per la sua strada senza perdersi d'animo, ottenne il patronato regio nel 1756 e ideò nuove fondazioni (Fossano e Savigliano). Positivo era il fatto che poteva lavorare con una certa indipendenza. Negli anni successivi aprirà altre cinque case, e dire che non erano tempi favorevoli per le congregazioni religiose, visto l'imperversare in tutta Europa del laicismo illuminista.
Rosa, considerata ormai la Madre, manteneva il suo modo di fare semplice, restava una popolana. Aveva poca cultura ma una fede grande e molto amore per le sue figlie. Aprì in seguito una scuola per i trovatelli a cui le Rosine, che diventavano così anche insegnanti, impartivano alcune elementari nozioni scolastiche. Alloggiò i convertiti al cattolicesimo che venivano perseguitati e non riuscivano ad inserirsi socialmente e pensò pure alle Rosine anziane, aprendo un'infermeria. Tante iniziative per le quali poteva contare sull'appoggio del re.
Il 17 aprile 1769 fece testamento, esecutrice testamentaria era la contessa Richecourt da tempo sua valente collaboratrice. Spossata da un'attività frenetica, ammalatasi, si aggravò in poco tempo. Probabilmente soffriva di una grave forma di anemia. Fu curata dal medico di corte ma tutto fu inutile. Rimase lucida fino alla fine: cristianamente, come era vissuta, spirò il 28 febbraio 1776.
Nonostante la fama di santità, a causa delle tristi vicende vissute dalla Chiesa nei decenni a venire, non fu aperto alcun processo di beatificazione.
L'Istituto, indenne da soppressioni, è rimasto sempre al passo coi tempi. A metà ottocento furono aperte varie scuole, oggi viene gestito un pensionato universitario.

Preghiera recitata ogni giorno dalle Rosine
O Signore, fa' che noi tutte ti temiamo e ti amiamo molto, che siamo devote e caritatevoli verso le nostre consorelle e sempre sottomesse a chi si prende cura di noi.
Aiutaci a coltivare la virtù e a detestare il peccato. Fa' che la nostra pietà infervori il lavoro e che il lavoro sia santificato dalla pietà.
Rendici docili al tuo volere. Aiutaci ad accettare serene le tue disposizioni, a muoverci, a parlare, a operare solo e sempre per la tua gloria e per il bene delle anime. Così sia.

Informazioni:
Istituto delle Rosine
Via delle Rosine 9 - Torino
Tel. 011 8177990


Autore:
Daniele Bolognini

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Aggiunto/modificato il 2004-03-25

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