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San Massimo il Confessore Teologo bizantino

13 agosto

Costantinopoli, 580 – Schemaris (Lazica), 13 agosto 662

Nacque a Costantinopoli da nobile famiglia verso il 580. Ricevette un’accurata formazione e prestò servizio presso la corte imperiale. Nel 613 si ritirò nel monastero di Crisopoli. Successivamente lo ritroviamo in Africa, dove si oppose ai documenti sull’unica energia o volontà in Cristo con i quali gli imperatori di Costantinopoli cercavano di venire incontro ai monofiti mettendo a rischio l’integrità della natura umana di Gesù. Nel 645 sostenne a Cartagine un pubblico dibattito che si concluse con la sua piena vittoria. Si spostò poi a Roma dove partecipò al concilio lateranense che riaffermò la dottrina delle due energie o volontà in Cristo. Per reazione l’imperatore fece arrestare e trasferire in Oriente tanto papa Martino I che Massimo. Giudicati colpevoli, furono ambedue condannati. Massimo morì dopo crudeli torture nel 662. Nel 680 il concilio ecumenico di Costantinopoli riabilitò solennemente la sua memoria.

Martirologio Romano: Nella fortezza di Schemaris presso la riva del fiume Tzkhenis Dsqali sulle montagne del Caucaso, transito di san Massimo il Confessore, abate di Crisopoli vicino a Costantinopoli: insigne per dottrina e zelo per la verità cattolica, che per avere strenuamente combattuto contro l’eresia monotelita subì dall’imperatore eretico Costante l’amputazione della mano destra; insieme a due discepoli, entrambi di nome Anastasio, fu poi relegato, dopo un duro carcere e numerose torture, nella regione di Lesghistan, dove rese lo spirito a Dio.


San Massimo è detto “il Confessore” perché seppe fieramente difendere l’ortodossia cristiana, con la parola, con gli scritti, con la vita, contro il monotelismo (teoria religiosa elaborata nel VII secolo in seno alla Chiesa bizantina; riconosceva le due nature di Cristo, ma affermava che in lui, la volontà divina predominava su quella umana).
Nacque nel 580 a Costantinopoli da nobile famiglia, forse imparentata con l’imperatore Eraclio; ebbe una buona educazione culturale e solida preparazione e ben presto occupò una posizione rilevante nella corte imperiale, diventando un importante funzionario.
Ad un certo punto però lasciò gli incarichi, se ne ignora il perché e abbandonata la vita politica, si ritirò nel monastero di Crisopoli; gli è stato attribuito il titolo di abate, ma deve intendersi come segno di rispetto e non di conduzione della comunità.
A causa dell’invasione persiana del 626, che minacciava la capitale dell’impero bizantino, Massimo si allontanò dal monastero situato vicino al Bosforo e andò prima a Creta, poi a Cipro e infine in Africa, dove cominciò a conoscere la nuova eresia del monotelismo, che si andava diffondendo.
Si trovò immerso nelle dispute teologiche del tempo, che agitavano l’ortodossia cristiana, sfociando spesso in eresie, più o meno condannate da Concili, dal papa di Roma, da vescovi con idee contrapposte; ne nominiamo qualcuna senza approfondirne il pensiero, perché lo spazio consentito è poco: dottrina nestoriana, monofisita, origenista, platonismo, apocatastasi; a tutte queste si sovrappose una teoria del vescovo di Alessandria, Ciro di Faside, il quale volendo far chiarezza e raggiungere l’unione dei credenti, affermò che Cristo con una sola operazione teandrica, operava tanto le azioni divine che le azioni umane.
Massimo s’impegnò nelle controversie facendo sentire il peso della sua autorità di teologo sia in Africa sia in Oriente e a Roma; bisogna dire che all’epoca dell’impero bizantino, queste dispute teologiche soprattutto sulla natura divina e umana di Cristo, si intrecciavano ad interessi politici, per cui venivano coinvolti vescovi e autorità civili, fino alle persone dell’imperatore e dell’imperatrice, scatenando anche vere e proprie persecuzioni; questo l’ambiente in cui Massimo fu costretto a muoversi.
Nel 638 l’imperatore Eraclio (575-641) emanò un decreto religioso (Ecthesis) a favore della teoria del monotelismo (questo fa capire come l’autorità imperiale d’Oriente, fosse impegnata a guidare la religione nel vasto impero, lontano dall’autorità diretta del papa di Roma).
Ci fu chi l’accettò e chi invece la contestò e in questo quadro s’inserisce la famosa “disputa con Pirro” di Massimo; Pirro era il vescovo di Costantinopoli costretto a fuggire in Africa per gli intrighi di corte che portarono sul trono Costante II (642-668) e a Cartagine in Africa, davanti al prefetto e a molti vescovi, ebbe luogo nel 645 la disputa fra i due teologi, un tempo ambedue monaci di Crisopoli; Pirro sopraffatto dalle argomentazioni di condanna del monotelismo di Massimo, si dichiarò vinto.
Il successo ottenuto da Massimo, indusse molti vescovi a convocare dei sinodi e nel 646 l’eresia venne condannata.
Massimo poi lasciò l’Africa e si spostò a Roma presso la Sede Apostolica, dove si convinse sempre più, che la Chiesa di Roma era l’unica e solida base e fondamento di tutte le Chiese della terra, per il mandato ricevuto da Cristo.
Come teologo del papa continuò la sua opera contro il monotelismo, che sebbene condannato più volte, anche per i suoi personali interventi, continuava a dilagare con l’appoggio dell’imperatore Costante II.
Fu accanto a papa Teodoro (642-649) e poi a papa s. Martino I (649-655), il quale rimase vittima della persecuzione scatenata dall’imperatore, fu condotto prima prigioniero a Costantinopoli, poi processato nel 653 e inviato in esilio nel Chersoneso dove morì dopo due anni.
Anche a Massimo toccò uguale sorte, pur essendo il più grande teologo del tempo, fu fatto prigioniero a Roma e nel 653 fu condotto a Costantinopoli, dove nel 655 subì un processo i cui Atti sono arrivati fino a noi, ed ebbe la condanna dell’esilio a Byzia nella Tracia; l’anno successivo subì un altro processo e fu esiliato a Perberis ai confini dell’impero.
Un terzo processo l’ebbe nella primavera del 662 a Costantinopoli, davanti al prefetto e ad un Sinodo e giacché rifiutò di accettare il ‘Typus’ (decreto di Costante II sulle verità di fede in discussione), insieme ai suoi due discepoli, Anastasio monaco e Anastasio apocrisario, fu sottoposto alla flagellazione, fu loro amputata la mano destra e mozzata la lingua e infine esiliati a vita sulle coste orientali del Mar Nero nella Colchide.
A giugno 662 raggiunsero la loro meta, ma sfiniti dal lungo viaggio e dai maltrattamenti subiti e feriti dai supplizi, il 24 luglio morì Anastasio monaco; il 13 agosto all’età di 82 anni, morì anche Massimo nella fortezza di Schemaris a Lazica e l’11 ottobre del 666 morì anche l’altro Anastasio.
Grande scrittore di quell’epoca, spaziò dalla morale all’ascetica, dalla dottrina mistica a quella tradizionale, teologo insigne, filosofo con la terminologia aristotelica; il punto centrale del suo pensiero fu Cristo, di cui contemplò profondamente i misteri, per difenderne l’integrità della natura umana.
Nel secolo XVIII ai piedi della fortezza di Schemaris, esisteva un monastero di S. Massimo che custodiva il suo sepolcro.
La festa di s. Massimo “il Confessore” e dei suoi due discepoli Anastasi, si celebra il 13 agosto.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto/modificato il 2005-03-14

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