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Don Francesco Bono Fondatore

Testimoni

Sommariva Bosco, Cuneo, 1 luglio 1834 – Torino, 4 gennaio 1914

Francesco Bono nacque a Sommariva Bosco (CN) il 1° luglio 1834. Ordinato sacerdote il 18 giugno 1859, perfezionò la sua formazione pastorale alla scuola di San Giuseppe Cafasso, di cui egli stesso si definì in una lettera al Beato Allamano: “uno dei più affezionati discepoli”. Il 12 aprile 1890 fu nominato Vicario di Santa Maria di Pozzo Strada, parrocchia alla periferia di Torino, che risentiva degli squilibri apportati dal processo di industrializzazione con segente immigrazione, i quali ricadevano soprattutto sui piccoli. Scriveva Don Bono: “Stringeva il cuore nel vedere tanti poveri fanciulli girovagare quasi affatto abbandonati ed esposti a tutti i pericoli...”. Da questo cuore di padre, e per rispondere alle necessità dei poveri e dei piccoli soli, scaturì la Congregazione delle Suore del Santo Natale. Cofondatrice e prima superiora generale fu Madre Natalina Cavagnero. Il Canonico Francesco Bono morì il 4 gennaio 1914. I loro resti riposano oggi nella chiesa della Casa Madre in Torino.



Don Francesco Bono
La vicenda umana, religiosa e sociale di don Francesco Bono, si svolse quasi tutta nella seconda metà dell’Ottocento, periodo storico in cui la Chiesa in generale, ma Torino e il Piemonte in particolare, videro fiorire tutta una serie di grandi figure, che operarono in una società caratterizzata da una povertà diffusa, da una mancanza di adeguati sostegni educativi per la gioventù, dall’epocale trasformazione della società, prevalentemente contadina, in una società industriale, con tutte le implicazioni e problematiche connesse.
All’opera e al carisma di eroici santi fondatori e fondatrici, si ebbe il sorgere in Piemonte, di tante Congregazioni ed Istituzioni, (sette maschili e ben quaranta femminili, che nella sola Torino furono 24) nelle quali fiorirono poi altre figure di grande santità.
Fra i tanti, ne citiamo alcuni più noti: S. Giuseppe Cafasso, s. Giuseppe Benedetto Cottolengo, ven. Francesco Paleari, ven. Luigi Andrea Bordino, s. Giovanni Bosco, beato Michele Rua, beato Filippo Rinaldi, s. Maria Mazzarello, beata Maddalena Morano, servi di Dio Giulia e Carlo Tancredi Faletti di Barolo, beata Enrichetta Dominici, s. Leonardo Murialdo, beato Giuseppe Allamano, beato Francesco Faà di Bruno, beato Giovanni Maria Boccardo, beato Luigi Boccardo, beato Clemente Marchisio, ecc.
Nascosto, quasi in disparte, vi fu anche don Francesco Bono, fondatore delle Suore del Ss. Natale; nacque a il 1° luglio 1834 a Sommariva Bosco (Cuneo), quinto dei sette figli di Lorenzo Bono e Marianna Vivaldo, modesti agricoltori.
Degli anni della fanciullezza e adolescenza, non si sa niente, trascorsero certamente nella tranquillità di Sommariva e nel lavoro dei campi; anche se l’intero Piemonte era investito dalle nuove situazioni politiche, che seguirono l’Impero napoleonico e la successiva Restaurazione; a Torino regnava Carlo Alberto di Savoia e il fatidico 1848 sconvolgeva l’intera Europa.
Probabilmente proseguì gli studi dopo le elementari in forma privata, ed ebbe come insegnanti due zii preti; a 18 anni decise di entrare in Seminario per diventare sacerdote e il 3 ottobre 1852, il parroco don Stefano Soffietti, che l’aveva guidato spiritualmente, gli consegnò l’abito clericale; superati gli esami di ammissione, entrò nel 1852 nel Seminario di Chieri, per gli studi filosofici.
Il biennio trascorse per lui ottimamente nel profitto e nel 1854 fu ammesso al corso successivo di teologia nel Seminario di Bra.
Durante il quinquennio 1854-1859, continuò positivamente gli studi, anche se nell’ultimo anno del corso, gli studenti furono trasferiti presso il Santuario della Madonna dei Fiori, a causa della graduale trasformazione del loro Seminario, prima come ospedale durante l’epidemia di colera del 1854 e poi dal 1856 in alloggio per i militari piemontesi.
Nonostante queste distrazioni, il chierico Francesco Bono riuscì il 20 marzo 1858, ad ottenere la tonsura e ricevere i quattro Ordini Minori, nel Santuario della Consolata di Torino, dove il 18 settembre dello stesso anno, fu ordinato suddiacono, primo dei tre Ordini Maggiori.

Sacerdote, prime esperienze di ministero e pastorali
Il 9 aprile 1859, nella Chiesa delle monache della Visitazione, fu ordinato sacerdote nella Cappella privata della Congregazione della Missione, da mons. Giovanni Balma, futuro arcivescovo di Cagliari, appartenente agli Oblati di Maria Vergine.
Le cerimonie in quel periodo, non si svolgevano nella cattedrale di Torino, perché l’arcivescovo mons. Fransoni era in esilio e le ordinazioni poi si svolgevano senza tanta pubblicità, quasi in forma privata.
Come consuetudine di allora, i nuovi sacerdoti torinesi, dopo l’ordinazione dovevano trascorrere un periodo di approfondimento, prima di intraprendere l’attività pastorale, presso il Convitto Ecclesiastico di San Francesco.
Benemerita istituzione fondata nel 1808 dal teologo Luigi Guala, che partita come ‘laboratorio’ di teologia morale, ispirato a S. Alfonso de’ Liguori e san Francesco di Sales, col tempo era diventata una vera e propria scuola di pastorale, con una benefica ricaduta straordinaria sull’intera diocesi torinese e su quelle dei dintorni.
Al tempo in cui partecipò il giovane don Francesco Bono, il Convitto era diretto dal futuro santo don Giuseppe Cafasso, che dal 1849, dopo la morte del fondatore don Guala, era subentrato come rettore e docente di teologia morale.
L’allora parroco della Consolata, don Cafasso, dirigeva il Convitto non solo con la teoria, ma anche con la pratica, facendo partecipare attivamente i giovani preti alle sue attività di sacerdote, di parroco, e di cappellano del carcere, dove assisteva anche i condannati a morte, tanto che a Torino lo chiamavano “il prete della forca”.
Purtroppo il contatto di don Bono col rettore Cafasso, durò pochi mesi, dal novembre 1859 al 23 giugno 1860, quando il rettore morì quasi improvvisamente; ma furono sufficienti affinché egli ne ricevesse un forte influsso, tanto da eleggerlo a suo modello di perfezione sacerdotale e uniformando il suo stile pastorale alla dolcezza e alla comprensione del santo rettore.
Il 12 giugno 1861, don Francesco Bono, avendo ultimato il periodo di preparazione presso il Collegio Ecclesiastico, fu destinato come vice parroco nella vicina parrocchia dei Ss. Martiri, nella cui chiesa sono custodite le reliquie dei martiri Ottavio, Avventore, Solutore, evangelizzatori e primi patroni di Torino.
Rimase ai Ss. Martiri fino al 1867, collaborando attivamente all’opera pastorale del parroco, don Giovanni Battista Bruno, in un clima effervescente, per la situazione politica da un lato, che vedeva Torino diventata capitale dell’Italia fino allora unita e dall’altro lato l’aggravarsi della Questione Romana, che vedeva coinvolta la posizione del papa e del suo magistero e uno Stato Pontificio arrivato ormai al capolinea.
Nel 1867 don Bono era rettore della Chiesa della SS. Trinità, sede dell’omonima Arciconfraternita, i cui membri gestivano un “Pio Asilo di Convalescenti” da loro fondato, presso le Suore di Carità di San Salvario.
In questo compito di rettore, rimase fino al 1878, quando fu nominato cappellano dell’Ospedale di San Salvario, operante presso la Sede Centrale delle Suore della Carità; questo periodo di sette anni come cappellano, fu fecondo di esperienza pastorale fra gli ammalati e sofferenti, spesso senza speranza di guarigione, per loro seppe essere angelo consolatore e misericordioso, facendoli ritrovare il Dio della speranza.
Nel 1885 il cardinale arcivescovo Alimonda, lo nominò economo della parrocchia di Reaglie, sulla collina torinese, allora oggetto di contestazione fra la Curia arcivescovile e il Governo Italiano; quest’incarico durò fino al 1890, quando fu nominato il parroco effettivo, proposto dal Regio Governo.
Don Francesco Bono, in 30 anni di sacerdozio, aveva tentato più volte di ottenere un incarico di parroco, di pastore di una comunità di anime, partecipando ai vari concorsi di assegnazione, ma non si era mai classificato primo; ciò nonostante non aveva perso la fiducia nel suo sacerdozio, cacciando la naturale delusione per aver raggiunto ormai 56 anni, senza aver messo le radici in qualche posto della diocesi.

Parroco a Pozzo Strada
Ma inaspettatamente si rese libero il posto di vicario di Pozzo Strada e l’arcivescovo, il 12 aprile 1890 gli affidò la vicaria, prima come economo parrocchiale e poi confermandogli la carica di parroco il 1° ottobre 1890.
Pozzo Strada si trovava alla periferia rurale della città, ma per il processo di industrializzazione in atto, si andava trasformando, con l’affluire in città della manodopera proveniente dalle campagne e destinata all’industria, comportando tanti problemi connessi, come sviluppo disordinato, alloggi precari, povertà e disagio giovanile.
In quest’ambientazione, che non faceva gola a nessuno, si trovò don Francesco Bono, ormai alle soglie della terza età; la parrocchia affidatagli era dedicata dal 1740, alla Natività di Maria Vergine.
Il contesto sociale in cui venne ad operare il parroco don Bono, non era tanto dissimile da quello dell’intera provincia torinese; il nuovo Stato liberale, impegnava la metà dei soldi pubblici per finanziare le guerre d’indipendenza, non preoccupandosi di sollevare le tragiche condizioni del popolo, che al 90% era analfabeta, la situazione sanitaria, risentiva delle frequenti epidemie che investivano tutto il Regno, quali il colera, tisi, malaria, sifilide, vaiolo, una mortalità infantile esagerata, mancanza d’igiene; il lavoro del popolo era super sfruttato, a vantaggio di pochi proprietari borghesi; le carceri affollate, fatiscenti e malsane, la gioventù senza punti di riferimento, tranne che arruolarsi, volente o nolente nelle milizie.
E questo stato di cose, che man mano dava spunto alla fondazione di Scuole, Istituti, Opere ospedaliere, di ricovero, di assistenza, laboratori professionali, ecc., da parte di tante sante figure di religiosi, prima accennati, non era dissimile da Pozzo Strada, che per la vicinanza del grande centro urbano di Torino, fra l’altro risentiva anche degli esempi negativi, specie per i bambini e la gioventù, che provenivano dalla città.
A Pozzo Strada, il parroco constatò una deplorevole situazione, che lui stesso descrisse in un suo scritto sulle origini delle Suore del Ss. Natale: “Stringeva il cuore nel vedere tanti poveri fanciulli, specialmente del sesso femminile, girovagare quasi affatto abbandonate ed esposte a tutti i pericoli, crescere senza istruzione e timore di Dio”; “Sentivasi quindi il vivo desiderio, che in questo distretto parrocchiale, sorgesse qualche religiosa comunità, che ne prendesse cura di tante povere ragazze, almeno delle più bisognose e orfane”.
E con questi intenti, ma anche per avere conosciuta una comunità di religiose in fase di scioglimento, egli volendo ottenere il duplice scopo di salvare la comunità, dandole nel contempo un nuovo itinerario, con l’assistenza delle bambine bisognose, il parroco don Bono, all’inizio di maggio 1890, si rivolse alla Curia arcivescovile per ottenerne l’autorizzazione.

L’incontro con la ‘fondatrice’ Giuseppina Fumagalli
In una situazione ‘fumosa’, Giuseppina (Pasqualina) Fumagalli, originaria di Cassano d’Adda (Milano), fu in effetti strumento della futura fondazione.
Dotata di un particolare attivismo e di capacità manageriali, ella si era proposta di dar vita ad una congregazione femminile, che avesse la cura delle piccole orfane; e con questo intento si era messa a girare per tutta la Lombardia, alla ricerca di ragazze disposte a seguirla in questa impresa di carità.
Collaborata da una sorella, ne aveva reclutate alcune, le aveva dato un abito da suora, accogliendole nelle sue case di Milano o di Torino e poi le mandava in giro per la questua, per conto di sedicenti “Figlie della Consolata”; ma quelle che mancavano erano proprio le orfanelle.
L’esperimento di questa nuova congregazione, forse per la mancanza di una propria spiritualità e di un chiaro progetto di vita religiosa, non si consolidava. Fra l’altro l’approvazione dell’arcivescovo diocesano di Torino non arrivava, perché la Fumagalli, non aveva voluto cambiare la denominazione della nuova congregazione, benché il cardinale Alimonda, avesse fatto presente che a Torino esisteva già dal 1887, una Congregazione “Figlie della Consolata”, fondata da Marianna Mancini e il cui nome era stato scelto proprio dall’arcivescovo.
L’ostinazione della Fumagalli, produsse l’ostilità della Curia e quando le poche ‘suore’ esistenti seppero ciò, decisero di lasciare la Casa e in questo contesto si inserì la figura dell’inconsapevole parroco di Pozzo Strada, don Francesco Bono, il quale aveva ricevuto Giuseppina Fumagalli, che l’aveva informato dell’imminente apertura del suo Istituto; il parroco fu entusiasta del progetto e promise di farle visita e quindi benedire la sua casa di Torino.
Ma quando egli giunse trovò soltanto un gran disordine e le poche ‘suore’ che smesso l’abito, si apprestavano ad andarsene; pur rimanendo deluso di ciò, dietro l’insistenza e la promessa della Fumagalli di obbedirgli, don Bono assicurò che avrebbe perorato la sua causa presso l’arcivescovo.
Non fu una cosa facile, il cardinale Alimonda infuriato, considerava la Fumagalli come donna bugiarda, ipocrita e falsaria, ritenendola non degna di essere a capo di una comunità religiosa.
Don Bono, che godeva della fiducia del suo vescovo, seppe trovare le parole giuste, perché alla fine il cardinale concesse di continuare l’esperimento sotto la guida del parroco garante, purché cambiassero il nome della comunità.
Nonostante le buone intenzioni e le promesse fatte, la Fumagalli continuò a fare di testa sua, e a non ascoltare le direttive del parroco, per cui, durante il 1890, fra maggio ed ottobre, avvenne la rottura definitiva fra don Bono e ‘madre’ Giuseppina Fumagalli; il parroco come vedremo, fondò lui stesso una nuova congregazione, accogliendo le suore di Torino; mentre Giuseppina Fumagalli, continuò la sua opera a Milano, incappando in vari processi civili e penali, di cui la stampa dell’epoca riportò vasta eco, anche per il clima massone e anticlericale che aleggiava nel Regno; comunque ebbe assoluzioni e anche una condanna a qualche mese di carcere, e alla fine la sua opera si dissolse; pur dotata delle più buone intenzioni, specie all’inizio, non aveva poi saputo essere duttile ed equilibrata nei rapporti con l’Autorità ecclesiastica, indispensabili per la realizzazione di queste fondazioni religiose.
Di lei si persero le tracce, si sa che verso il 1930, morì travolta da un treno; in ogni caso Giuseppina Fumagalli fu strumento della Provvidenza e merita di essere ricordata con comprensione.

Giuseppina Cavagnero
Giuseppina Cavagnero nacque ad Asti l’11 maggio 1858 e verso i 24 anni, dopo una gioventù trascorsa nel lavoro domestico, nel poco studio e dedita alla preghiera e alla carità verso il prossimo, avvertì in lei la vocazione alla vita consacrata, che voleva realizzare entrando nella Congregazione del Cottolengo a Torino, ma all’ultimo momento dovette rinunciare a questa possibilità, perché i genitori malandati in salute, avevano bisogno delle sue cure; le altre due sorelle e un fratello erano sposati con figli.
Ma dopo poco tempo, i genitori morirono a breve distanza l’uno dall’altro, prima la madre e poi il padre, la futura cofondatrice annotò in un suo quadernetto di memorie, che mentre pregava davanti ad un quadro del Sacro Cuore di Gesù, sentì una voce che dentro di sé le diceva: “Parti và; quelli che ti davano pena non ci sono più”.
Interpretando ciò come un segno del cielo, Giuseppina Cavagnero, il mattino seguente si recò dal parroco di San Paolo, chiedendogli di scrivere al Cottolengo per farla ammettere fra loro. Ma mentre era a Messa, le parve di ricevere una forte spinta sulla spalla e avvertì una voce interna che le diceva: “Non è lì che ti voglio”.
A questo stato d’incertezza si aggiunse anche la ferma opposizione della sorella, alla quale Giuseppina ribadì l’autenticità della sua vocazione.
E fu in questo periodo, che un giorno, nel negozio di scarpe di sua cognata, si fermò per un acquisto Giuseppina Fumagalli, la quale conversando con la cognata, venne a sapere dell’esistenza della giovane parente orientata verso la vita religiosa.
La Fumagalli, giunta a Torino agli inizi del 1885, aveva preso alloggio in una stanza con cucina, insieme alla sorellastra, e da lì partiva girando tutta la provincia alla ricerca di postulanti, per la congregazione che intendeva fondare.
La Fumagalli chiese d’incontrare la giovane, e presentandosi come suora del Buon Soccorso, le propose di aggregarsi a lei e alla nuova istituzione che aveva per fine l’assistenza degli ammalati, gestire gli asili e andare alla questua.
Giuseppina Cavagnero accettò e dopo un colloquio a tre con il parroco, il 15 maggio 1885, seguì la Fumagalli a Torino, dove ebbe subito una serie di delusioni, l’appartamento affittato nella zona del Martinetto, era poverissimo, tre pagliericci di foglie, tre sgabelli e sei bottiglie di vino ricevute in regalo.
Col suo saper fare gentile, la Fumagalli la privò di ogni sua cosa, dicendo che tutto era in comune; dal baule portato dalla Cavagnero prelevò le lenzuola per i tre letti; inoltre con loro non vi era nessuna suora, solo una sua sorellastra laica.
L’indomani fu condotta vestita da suora, dal parroco di San Donato don Griva, al quale fu presentata e fu chiesto una raccomandata per andare alla questua; poi fu condotta dalla Fumagalli anche in Francia, in una località dove aveva in affitto delle stanze, ma anche qui non v’erano suore.
Cominciò così, una volta ritornata a Torino, per Giuseppina Cavagnero una vita solitaria, perché la ‘fondatrice’ era sempre fuori alla ricerca di postulanti; usciva per la Messa mattutina e poi per la questua a favore di un’opera per il momento inesistente.
Dopo qualche mese arrivarono altre due signorine, che la Fumagalli vestì subito da suore, senza alcuna preparazione specifica, mandandole con la Cavagnero alla questua, munite della raccomandata rilasciata con faciloneria dal parroco don Griva.
E fu durante una questua a Pianezza, che le ‘suore’ ebbero la fortuita occasione d’incontrare il cardinale arcivescovo Alimonda, che chiese loro spiegazioni, apprendendo che facevano parte delle “Figlie della Consolata”; da qui scaturì la reazione del prelato, come già detto.
Un’altra scossa le ‘suore’ l’ebbero quando successivamente , ignare dell’ostinazione della Fumagalli a cambiare denominazione alla comunità, si recarono in Curia per chiedere il permesso d’istallare nella loro Casa una cappellina con la Via Crucis, questo per fare una sorpresa alla loro madre fondatrice; ma la reazione del vicario della Curia fu forte, il quale fra l’altro riferì che la loro superiora, era una grande disubbidiente e quindi lui non poteva chiedere niente all’arcivescovo.
Per le ignare donne questo fu un colpo durissimo, alcune smisero l’abito e se ne tornarono a casa, altre attesero i parenti che venissero a prenderle, un paio si recarono a riferire tutto nella Casa di Milano, dove era da qualche tempo la Cavagnero, che nel frattempo aveva ricevuto dal parroco locale, l’ingiunzione a restituire le carte che autorizzavano la questua nel milanese; evidentemente informato da Torino.
Così Giuseppina Cavagnero ritornata a Torino, chiamò il fratello per farla venire a prendere e quando ormai i bagagli erano già sul carro, in quel trambusto comparve il parroco don Francesco Bono.

Il sorgere della nuova Istituzione
Don Francesco Bono con molta insistenza, convinse Giuseppina Cavagnero a rimanere ed attendere gli sviluppi della situazione, essendosi impegnato a fare qualcosa personalmente per l’insicuro gruppo delle “Figlie della Consolata”; Giuseppina convinta, decise di obbedire al sacerdote e non più alla Fumagalli che l’aveva ingannata.
Il seguito burrascoso dei rapporti fra don Bono e la fondatrice Fumagalli, prima descritto, portò alla realizzazione di un vecchio ideale del parroco, che verso ottobre del 1890, convinse Giuseppina Cavagnero a seguirlo nella realizzazione di una nuova comunità, a cui diede il nome di “Suore del SS. Natale”; Giuseppina e altre suore si trasferirono a due alla volta, al numero 15 di via delle Scuole (odierna via Bligny), in una casetta di sei stanze, superando le resistenze della Fumagalli, accorsa a Torino dopo essere stata informata dalla sorellastra, su ciò che stava accadendo.
La nuova comunità era ancor più povera della precedente, mancava di tutto, ma la differenza fu che le prime dodici aderenti si misero subito all’opera accogliendo due orfane e andando a curare gli ammalati a domicilio, secondo gli scopi della nuova fondazione, fidando nel contempo nella Provvidenza per le necessità.
La Curia torinese, seguì con attenzione e approvazione la nuova opera, autorizzando la vestizione delle giovani e dando loro una Regola, sempre sotto la guida di don Bono.
La vestizione e la professione religiosa delle prime 12 suore avvenne il 22 agosto 1891, nella parrocchia di Pozzo Strada, il parroco don Francesco Bono nominò Giuseppina Cavagnero, che prese il nome di suor Natalina, prima Superiora delle Suore del Ss. Natale, che ne divenne in effetti anche la cofondatrice.
Il primo Statuto, redatto il 10 dicembre del 1891, così prescriveva: “Scopo di questa Istituzione è di accettare e provvedere alla sussistenza, alloggio, custodia, istruzione intellettuale, morale, religiosa e fisica delle fanciulle povere, orfane di entrambi i genitori e di assistere gratuitamente i poveri infermi a domicilio”.
L’opera delle Suore del Ss. Natale, secondo le scelte fatte da don Bono, s’inseriva nel generale precario contesto storico ed economico del tempo, dove la frequenza alla scuola era scarsa, in particolare per le bambine; il numero degli orfani era enorme a causa dell’alta mortalità di adulti per malattie, guerre, epidemie, povertà, e per molte nascite illegittime; infine l’inadeguata assistenza ospedaliera era tale, che le fasce sociali più deboli, erano lasciate fuori.

L’Istituzione si irrobustisce
Il numero delle suore e delle stesse orfanelle, aumentò sempre più, per cui si rese necessario lasciare l’angusta casa di via delle Scuole e con l’aiuto della Provvidenza, che attraverso la beneficenza pubblica e privata, sosteneva tutte, nel marzo 1892 si acquisì una nuova sede nella zona della Tesoriera in Corso Francia, a cui seguì la costruzione di un nuovo edificio e di una Cappella, benedetta dall’arcivescovo il 12 ottobre 1897.
Don Bono si alternava nella cura della parrocchia di Pozzo Strada e nella guida spirituale della nuova comunità, giungendo fra loro il pomeriggio, per le confessioni, predicazioni, catechismo domenicale, consigli spirituali e gestionali.
Le suore a loro volta, con la guida di Madre Natalina Cavagnero, in poco tempo aprirono due asili a Pozzo Strada, uno a Formigliana (Vercelli), uno a Borgo San Paolo, cominciando così ad uscire anche dal territorio diocesano, probabilmente con sorpresa di don Bono, che aveva inteso fondare all’inizio, una comunità legata alla sua parrocchia di Pozzo Strada; il Consiglio di Amministrazione era composto da quattro benefattrici laiche e da quattro suore e presieduto dal parroco.

La crisi del 1897 e sue conseguenze
All’Istituzione che cresceva rigogliosa, però mancava qualcosa; il rapido sviluppo dell’opera, colse di sorpresa il fondatore, il quale non ebbe il tempo di elaborare per iscritto, una linea formativa adeguata alle esigenze di una missione non facile per le suore; la spiritualità era quella tipica del santo Natale, infatti la gioia era la costante delle prime suore, che nei loro appunti scrivevano: “Come eravamo contente!”.
Ma la carenza di una specifica preparazione delle suore, finì per allarmare alcune di loro, provenienti da quelle “della prima ora”, che non volevano trovarsi in un secondo fallimento, dopo quello vissuto con la Fumagalli.
Cominciarono a circolare malcontenti e reazioni d’intolleranza verso i vertici dell’Istituzione; forti contrasti nell’interpretazione del carisma sorsero nel 1897, al punto che i fondatori dovettero reagire, sospendendo per tre mesi quattro suore “della prima ora”, privandole dell’abito religioso. Tre di esse si ribellarono e abbandonarono la Congregazione, confluendo in altre Comunità similari.
Altre postulanti le seguirono, mettendo in crisi l’Istituto, nel contempo si cominciò a sparlare del fondatore e della cofondatrice, sia all’interno sia all’esterno della Congregazione, toccandoli persino nell’onore, tanto che ne fu informata anche la Curia Arcivescovile di Torino.
Nel frattempo a capo della diocesi, era subentrato l’arcivescovo e futuro cardinale, Agostino Richelmy, e altri ecclesiastici avevano sostituito quelli deceduti, che ben conoscevano il vicario don Bono; i nuovi venuti senza tanto approfondire, diedero importanza alle dicerie e senza tanti preamboli, nel 1902 destituirono don Francesco Bono dalle sue funzioni nella comunità delle suore, ingiungendogli di non mettere più piede nell’Istituto, e madre Natalina Cavagnero destituita dalla carica, fu trasferita nell’asilo di Buriasco presso Pinerolo. Ambedue obbedirono con umiltà, coscienti che ogni Natale ha la sua strage degli Innocenti.
Contro di loro non fu mai provato nulla, tanto che don Francesco continuò a fare il vicario a Pozzo Strada e madre Natalina, difesa dal parroco di Buriasco, fu richiamata a Torino, dove trascorse i suoi giorni fino alla fine, nel nascondimento e nella preghiera.
La Congregazione continuò ad attraversare un turbolento periodo di crisi, con la Curia che nel 1902 ritirò la Regola, la questua fu proibita portando al collasso economico della comunità; ispezioni governative colpirono anche gli orfanotrofi delle “Suore del Ss. Natale”, come del resto tutti gli istituti femminili di Torino.
Ma con la guida del canonico Cravesana, che nel 1900 era subentrato a don Bono e di madre Maddalena Chiaisso subentrata a madre Natalina, e soprattutto con l’aiuto della Provvidenza e del mutato clima ostile, l’Istituto riprese a decollare positivamente nella normalità, con la restituzione della Regola aggiornata, il 18 agosto 1903, dove fra l’altro era stato stabilito che il noviziato durasse un intero anno.

Il tramonto dei due fondatori – La loro riabilitazione
Don Francesco Bono, continuò in silenzio e obbedienza la sua missione di vicario nella parrocchia della Natività di Pozzo Strada alla periferia di Torino; quella specie di morte civile fu interrotta finalmente il 1° giugno 1909, in occasione del suo 50° di ordinazione sacerdotale, quando fu insignito dell’onorificenza di Cavaliere dei Ss. Maurizio e Lazzaro, mentre l’arcivescovo lo nominò canonico onorario della Collegiata di Moncalieri; senz’altro un tardivo riconoscimento dei suoi meriti e della riabilitazione dalle calunnie subite.
Ma sembra che la sua Congregazione l’abbia ignorato per alcuni decenni, tanto che molte suore delle generazioni successive, non sapevano per niente della sua esistenza.
Il vicario e fondatore don Francesco Bono, morì a 79 anni a Torino, il 4 gennaio 1914; non vi sono testimonianze scritte dei suoi funerali, né un ricordo, né una dichiarazione; le sue spoglie mortali rimasero sepolte nel cimitero di Pozzo Strada fino al 1947, quando furono trasferite nella tomba di famiglia a Sommariva Bosco; poi il 28 giugno 1958, i suoi resti furono traslati con tutti gli onori, nella Cappella della Casa Madre delle Suore del Ss. Natale in Corso Francia a Torino.
Nonostante che fosse vissuta fino al 13 giugno 1951 e 93 anni di età, di suor Natalina non si seppe più niente; per 49 anni dopo la sua destituzione, visse in silenzio e nell’ombra come semplice suora; in un suo quadernetto di memorie scrisse di sé: “I soggetti aumentavano, è vero, ma aumentavano anche le necessità, e allora non si poteva fare bene il noviziato perché le suore erano sempre molto occupate per la questua. Pensavo allora di fare come si poteva, che Iddio provvedeva Lui a fare in modo che le cose procedessero bene. Io però sentivo di non essere più in grado di governare la Casa e pregavo il Signore di darci una Superiora, perché io ero senza istruzione”; “Portai la mia croce per dodici anni, ma quanti dispiaceri e quante calunnie, non mi credevano più e giunsero al punto di dissigillarmi anche le lettere. Ora sono subalterna e sono felice; Deo gratias! Ciascuna farà la sua parte. Sia lodato Gesù Cristo!”.
Anche i suoi resti mortali furono traslati nella Cappella della Casa Madre il 27 dicembre 1974, dove già riposavano quelli del fondatore don Bono, che nel lontano 1890, le aveva chiesto di rimanere come suora a Torino.
Bisogna fermarsi qui, perché la scheda riguarda solo il fondatore e la cofondatrice; perché l’ultra centenaria e benemerita Congregazione delle Suore del Ss. Natale, continua con una storia sofferta, splendida di avvenimenti, umanità, carità, che l’ha resa nota ed apprezzata in tutto il territorio nazionale e nei Paesi del mondo, dove le suore svolgono la loro attività missionaria; seguendo il carisma del Santo Natale, ispirato dai loro fondatori.


PREGHIERA
O Signore, ti ringraziamo per aver suscitato nella tua Chiesa il Can. Francesco Bono
sacerdote fedele, pastore zelante e sensibile ai bisogni dei poveri,
fondatore di una famiglia religiosa che, consacrata al mistero del tuo Natale, annuncia la tua salvezza.
Ascolta la nostra preghiera, degnati di glorificare il tuo servo qui in terra
e, per sua intercessione, concedici la grazia che, fiduciosi, ti chiediamo.


Per immagini e relazioni di grazie, rivolgersi a:
Suore del Santo Natale
Corso Francia, 164
10145 Torino (Italia)
Tel. 011.74.04.60


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto/modificato il 2007-03-06

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