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Lodovico Manoha Fanciullo

Testimoni

12 novembre 1904 – 4 febbraio 1914


Lodovico fu un prediletto della natura e della grazia.
La casa paterna sorgeva solitaria, sebbene non distasse gran che da S. Albano e dal Santuario di Nostra Signora di Ay, nella Francia meridionale. Era una fattoria che il nonno aveva in affitto, e la casa - rustica, costruita di pietra grigia - era circondata da boschi. In questa casa, chiamata Chapotier, nasceva Lodovico il 12 novembre 1904.
Il piccino, appena fu padrone delle sue gambette, si divertiva un mondo a scorazzare nelle vicinanze e a saltare nella pineta che nereggiava al di là di un bel prato smaltato di fiori. L’erica, il timo, le campanule, le digitali purpuree, i garofani rossi e i gigli campestri, a miriadi vi spandevano i loro profumi inebrianti.
La mamma lo addestrava man mano ai lavorucci convenienti alla sua età. Ancor piccino era capace di guardare il gregge, due mucche e alcune pecore, che formavano tutto il bestiame della fattoria.
Non solo i fiorellini del prato vaporavano dai calici variopinti i loro incensi al Creatore, ma in quel limpido cielo volteggiavano anche stormi di uccelletti a cantare le lodi del buon Dio: tortorelle, allodole, fringuelli e altri d’ogni specie, tutte le mattine riempivano l’aria di lieti gorgheggi.
Lodovico imparò il canto dagli uccellini del bosco; cominciò con la modulazione dei toni, finché imparò alcune canzoncine.

Luce di fede
La mamma riponeva la sua cura e la sua gioia nell’educazione di Lodovico. In casa c’erano il nonno materno e la sorella di Lodovico, Margherita. Il nonno, pieno di acciacchi, era diventato completamente cieco, e per otto anni sopportò la sua sventura con tanta pazienza e pietà, che passava quasi tutte le sue buie giornate in preghiera, o recitando il rosario o cantando i Salmi dei vespri, che aveva imparato a memoria. Non ostante i suoi continui malanni, il vecchio sopravvisse al nipotino.
Per le verità della fede Lodovico mostrava un’intelligenza superiore alla sua età. In certi bambini si riscontra questa grazia speciale dello Spirito Santo, infusa nelle anime col Battesimo: una grazia che produce effetti sorprendenti e che presenta loro i misteri della fede in una luce semplice e chiara. Vediamo bambini in tenera età, avere tali lumi dallo Spirito Santo, quali d’ordinario si vedono appena nei fanciulli più grandi.
All’età di sei anni Lodovico s’incontrò in un bambino che era ancora da battezzare.«Oh! Mamma!» esclamò inorridito «Quel bambino non è battezzato?... egli ha ancora il demonio nel cuore... Oh! L’infelice!... Che brutta cosa non appartenere al buon Dio e non conoscerlo!...».
Tanta era la stima che aveva Lodovico dell’innocenza battesimale! Nessuna cosa gli faceva così paura come il peccato.

Il fringuello di Gesù
Lodovico provava un gusto speciale a cantare le canzoncine di Natale. In S. Albano, nel tempo natalizio, si cantava ogni giorno l’inno Adeste fideles,che egli imparò ben presto a memoria; a casa non finiva mai di cantarlo e pretendeva che la sorellina Margherita lo accompagnasse. Ma questa non era sempre in vena.
«Lasciami stare,» diceva «quel tuo continuo canto mi dà fastidio».
Ma Lodovico non voleva smettere: «Se non canti con me, vado in collera!».
E Margherita, per non perdere il cuore del buon fratellino, l’accompagnava con la sua vocina squillante.
Gli abitanti del vicino villaggio venivano volentieri a Chapotier e si facevano ricantare dal piccolo fringuello - così chiamavano Lodovico - le canzoni di Natale.
Cantava volentieri anche le Litanie della Madonna ed era riuscito, con l’ingenuità del suo zelo, a farle cantare in famiglia tutte le sere dei giorni festivi.

Il pretino in azione
Quando fu capace di scrivere, incominciò a raccogliere in un quaderno tutte le canzoni che aveva imparato; quel piccolo repertorio era il suo tesoro.
Già sognava di farsi prete e di mostrare la sua raccolta di canzoni a tutti i cantori del coro, per accendere il loro zelo e indurli a fare lo stesso.
Dotato di un fine spirito di osservazione, apprendeva con facilità le sacre cerimonie e si studiava di imitarle con gravità e devozione. Invero a Chapotier trovava ben poco di arredi e suppellettili, ma Lodovico sapeva ingegnarsi. Si procurò dapprima l’oggetto principale, il calice (era una bella coppa di cristallo fino, che la mamma gli aveva messo a disposizione) che copriva con un cartoncino bianco ed una pezzuola a colori. La carta gli forniva le ostie, e le sue manine ingegnose e pazienti fecero il leggio. Pescò in qualche cantuccio un vecchio barattolo del pepe, che gli serviva benissimo da turibolo. E il messale? Come si poteva procurarlo? Lodovico pensò subito a un vecchio e grosso libro di canti sacri, che uno zio frate gli aveva mandato dall’America: niente di meglio per sostituire il messale.
Margherita, a destra del celebrante, doveva rappresentare il coro; e quando Lodovico predicava, ella formava tutto l’uditorio. Veramente, questo sistema era pericoloso, perché Margherita scattava come una furia, se il minuscolo predicatore le rimproverava certe scappatelle che poco prima le avevano meritato i rimbrotti del nonno! Allora la predica veniva bruscamente interrotta e la cerimonia finiva in un bisticcio.
Qualche volta, con infantile gravità, facevano la processione in giardino, cantando inni sacri e lanciando fiori per onorare il buon Dio che avrà guardato dal cielo con compiacenza quei due cari innocenti. Erano tanto compresi di ciò che facevano! Lodovico specialmente prendeva le cose proprio sul serio, tanto da aver l’aria di un parroco in funzione!

Delicatezza di coscienza
Un giorno, passando davanti a un’osteria, udì una bestemmia. Lodovico senti un brivido d’orrore in tutta l’anima e ne fece riparazione.
«Mio Dio,» gemette «vi amo con tutto il mio cuore!».
Da quel giorno provò sempre ripugnanza ad entrare in un’osteria; anche se la mamma lo mandava, cercava, di schermirsi.
«Mamma mia» le osservava «lo non voglio metter piede nella casa del peccato, non vado dove si bestemmia!».
E se vi andava, era solo per ubbidienza.
Un giorno sotto il solleone fece una passeggiata con un compagno più grandicello. L’uva era già matura, la sete li bruciava. Il compagno spiccò furtivamente due bei grappoli d’uva e ne diede uno a Lodovico perché si dissetasse. Questi, tornato a casa con una punta di rimorso, non vedeva l’ora di liberarsi da un peso che gli stava sul cuore.
«Mamma,» disse «ho rubato un grappolo d’uva; quanto costa? Voglio andar subito a riparare il mio fallo».
La mamma cercò di metterlo in pace, ma egli non fu contento, finché non si fu confessato e non lasciò cadere alcuni soldi nella cassetta dei poveri.
Per recarsi alla scuola i due fratelli dovevano attraversare una selva oscura. Poiché Margherita aveva un po’ di paura, avrebbero preso più volentieri la strada maestra che costeggiava la selva; ma la mamma lo aveva proibito, non volendo che i suoi figlioli bazzicassero con gli altri fanciulli del villaggio e imparassero villanie e cattiverie.
«Questa sera» disse un giorno la mamma «se tornate presto dalla scuola, vi preparo una buona merenda».
Questa volta la gola mise loro la tentazione addosso e disubbidirono. Invece di passare per la selva presero di gran corsa la strada maestra e, arrivando a casa trafelati, esclamarono: «Mamma siamo già qui, siamo venuti diretti per la selva».
Ebbero perciò il premio promesso; ma quella merenda pareva non volesse andar giù. Lodovico non fu capace di tener nascosto a lungo il suo peccato.
«Mamma, mamma,» confessò candidamente «abbiamo mentito: abbiamo preso la strada più lunga, correndo in fretta per arrivare più presto. Mamma, perdonaci, non racconteremo più bugie».
Un altro giorno, nel cortile della scuola, raccattò un baccello mezzo pesto, con l’idea di seminarlo nel suo giardino. Se ne fece scrupolo e, giunto a casa, domandò alla mamma se fosse peccato. La buona donna con poche parole dissipò le inquietudini di quella coscienza delicata fino al segno da sentire l’ombra del male.
A scuola era uno dei migliori. La sua viva e pronta intelligenza afferrava subito i quesiti che gli venivano proposti e li scioglieva speditamente. Anche la memoria aveva facile e tenace, perciò non è da meravigliarsi se dopo circa venti mesi di scuola riuscì il primo della classe. Quando lo seppe, corse a casa e si precipitò nella stanza, gridando in aria di trionfo:
«Mamma, il primo!... il primo!... sono il primo!».
Ma subito il suo buon senso si ridestò e disse tra sé: «Sì, sono il primo!... ma non ho alcun motivo d’insuperbire. Se ho più intelligenza degli altri, è tutto dono del buon Dio».
Nonostante Lodovico amasse la madre di tenerissimo affetto, non riusciva ad essere sempre e in tutto corretto. Era da compatire! La sua indole allegra e vivacissima lo faceva trasmodare e l’ingegno sveglio lo rendeva troppo attaccato alle sue idee. Di qui i frequenti bisticci con la sorella: pur di aver da dire, litigavano talvolta per nulla.
La mamma aveva proibito ai figlioli di scendere alla paratoia del rivo, ma Lodovico disubbidiva spesso all’ordine della mamma e qualche volta faceva l’impertinente.
Egli stesso notava questi difetti che derivavano dal suo temperamento e si sforzava sinceramente di correggersi.

In chiesa
In chiesa Lodovico pregava con tale pietà e devozione, che pareva un angelo. Quando vi si recava, si atteggiava a compostezza e modestia ancor sulla via e ammoniva i compagni a star buoni.
«È la casa di Dio!» diceva. «Se fossimo invitati dal Presidente della Repubblica, come vorremmo andarvi ben composti! Dunque, andando in chiesa non conviene saltare come i capretti».
Il suo intimo desiderio era di diventare cantore e chierichetto.
Voleva che lo svegliassero tutte le mattine per la messa; quando non lo si faceva, anche per buone ragioni, egli si disperava. Ben presto il curato notò questa sua assiduità e un giorno gli fece la gran proposta.
Era un venerdì Santo: «Lodovico, vuoi venire domattina per la benedizione dell’acqua?».
«O sì, signor curato».
«Verremo a prenderti» gli dissero i piccoli chierici «e ti faremo vedere come si fa».
Finita l’ufficiatura, il curato, soddisfatto, concluse: «Lodovico, d’ora in poi verrai tutte le mattine a servirmi la messa».
In mezza giornata imparò le risposte. Era inutile esercitarlo a servire; lo aveva imparato da tanto tempo osservando i chierici. L’indomani era già al suo posto e vi restò, finché le sue forze glielo permisero.
I suoi compagni, vedendolo debole, per evitargli ogni fatica, non gli permettevano dì maneggiare il turibolo troppo pesante.
L’ultimo anno, potendo camminare a fatica, piangeva a dirotto quando gli dicevano: «Sei troppo debole per alzarti così presto e servire la messa».
«No, vi prego, ancora una volta!».
Ai piedi dell’altare la sua debolezza sembrava sparire, perfino il grosso messale gli riusciva leggero.
La mamma aveva notato che non abbassava mai il capo all’elevazione e alla benedizione del SS. Sacramento. Credendola una negligenza, glielo osservò. «Ma, mamma,» rispose Lodovico «io preferisco guardare l’Ostia santa; io non so come tu la veda, ma io sovente la vedo circondata di luce. Credi, mamma che il buon Dio mi abbia a rimproverare se abbasso un po’ meno il capo, per guardare meglio l’Ostia santa?».
Vedendo che la mamma si mostrava incredula, il piccino insistette: «È vero, è vero, mamma, lo sai bene che non dico bugie. Molte volte io vedo l’Ostia circondata di luce. Ti darò un segno quando la vedrò di nuovo raggiante».
Diverse volte, al momento dell’elevazione e della benedizione, fece il segno promesso: «Guarda, mamma, la bella luce ch’è intorno all’Ostia santa!».

Il dolore lo prepara a ricevere Gesù
Nel 1911 Lodovico contava sette anni, e sentiva vivissimo il desiderio della prima Comunione. Ma ecco venirgli la prova dolorosa, una di quelle prove che Gesù riserva ai suoi prediletti.
Lodovico s’ammalò di encefalite che lo portò sull’orlo della tomba. Durante la malattia sentiva di giorno in giorno più viva e più tenera la devozione e la fiducia verso la sua cara Madre celeste. Egli respingeva le medicine con le parole: «Questi rimedi non giovano a nulla. Solo l’acqua di Lourdes mi può guarire. Oh! Lasciatemi bere un sorso di quell’acqua miracolosa, e mi sentirò meglio!».
Infatti cominciò a riaversi e la guarigione fece rapidi progressi; ma intanto il giorno sospirato della prima Comunione sì differiva di mese in mese.
Finalmente il 22 dicembre 1912, col cuore colmo di gioia e di riconoscenza, si accostò alla mensa degli Angeli, angelo egli stesso. Da quel giorno la S. Comunione divenne per lui il centro irradiatore di luce e di vita.

L’apostolo della gioia
L’anima di Lodovico risuonava sempre di gioia; la sua passione per il canto e il fervore nel gioco erano l’espressione della perenne letizia del suo spirito. Amava gli uccelli e gli animali domestici per la loro giocondità; la gioia della natura gli si rifletteva negli occhi vividi, risuonava nel suo cuore innocente, si vedeva nei tratti e nelle parole del piccolo fringuello di Gesù.
Quando intonava una canzone, esigeva che tutti lo accompagnassero, anche a costo di riuscire indiscreto. La sua vita fu un canto continuo; come da bambino soleva gareggiare con gli uccelletti del bosco, così cantò sempre, cantò fino alla fine.
Non era egoista della sua gioia: avrebbe desiderato effonderla, comunicarla a tutti, specialmente ai vecchi e agl’infermi, che provano tanta tristezza!
Regalava volentieri la frutta che riceveva o raccoglieva nel bosco. Risparmiava ogni centesimo, pur di procurare per capo d’anno una gioia ai suoi cari.

La morte preziosa
Nonostante la salute malferma, Lodovico tirò innanzi benino e disinvolto fino al settembre del 1913, poi le forze vennero a mancargli rapidamente, diventava ogni giorno più debole, sicché il medico gli ordinò di rimanere a letto.
Ora non può più andare in chiesa! Essere il fringuello del buon Gesù! Servire all’altare! Che sacrificio!
Gli sanguinava il cuore, ma trovò la forza di rassegnarsi. Il piccolo santo andava incontro al termine dei suoi giorni, e, sebbene fosse nella primavera della vita, capiva che la corona di tutte le virtù consisteva nel perfetto abbandono dell’anima alla volontà divina.
«Voglio fare tutto quello che Dio vuole!» diceva alla mamma «Non sono io forse nelle sue mani? Nulla avviene senza il suo volere: Egli è il nostro Signore, il nostro Padre. Sia fatta la sua volontà!».
Nella solitudine della sua cameretta, Lodovico riandava col pensiero alle mancanze, ai difettucci commessi, confidando nel perdono di Dio.
«Mamma, un peccato mortale non l’ho mai commesso, ma peccati veniali sì!. Spesso non ti ubbidivo,... ero troppo vivace,... stuzzicavo Margherita,... una volta o due ho dato dei calci e dei pugni ai miei compagni... Li ho sempre confessati, me ne sono pentito davvero!... Sono certo del perdono di Dio. Ora sconto i miei peccati, perché soffro tanto... tanto, mamma!».
«Figliolo mio,» diceva la mamma con le lagrime alla gola «offri al buon Dio coi dolori del corpo anche le pene dell’anima tua!».
«Oh! sì , li offro in unione ai dolori di Gesù per tutta l’umanità».
Quando la prostrazione non gli consentì più di pregare, mormorò all’orecchio della madre:
«Non posso più pregare, cara la mia mamma; ma offro i miei patimenti al buon Dio in espiazione dei miei peccati».
L’ultima Comunione di Lodovico fu quella di un angelo. Il suo viso pallido e quasi diafano apparve trasfigurato dal lampo degli occhi e da un celestiale sorriso che gli errava sulle labbra. Stette in lungo e intimo colloquio col Signore, quindi chiamò a sé la mamma: «Mamma, quando il sacerdote mi porgeva la S. Eucaristia, vidi una bella colomba bianca... era quasi trasparente... Oh! se l’avessi veduta anche tu!... Era così bella!...».
Ai primi di febbraio faceva molto freddo; le sofferenze di Lodovico lo avevano talmente estenuato, che la mamma non si staccava più dal suo letto: doveva sostenerlo e adagiarlo, perché il poverino, dall’estrema debolezza, riusciva appena a fare qualche leggero movimento.
«Come sei buona con me, mamma! le diceva con un fil di voce. Come ti sono riconoscente!».
Il 4 febbraio fu l’ultimo e il più penoso giorno della sua vita. Venne a trovarlo il signor curato.
«Caro figliolo» gli disse «quando sarai in paradiso, pregherai anche per il tuo vecchio curato, non è vero?».
«Sì, signor curato! glielo prometto».
«Dirai anche al buon Dio di voler benedire il mio popolo?».
«Se Iddio buono mi prenderà in paradiso, non dimenticherò certamente i parrocchiani... Le prometto anche questo, signor curato».
L’istante supremo s’avvicinava. Si accese la candela benedetta, e si appressò il Crocifisso alle labbra del morente, il quale con grande devozione baciò le sante Piaghe, il suo Rosario, la Medaglia miracolosa.
«Lodovico» disse la madre tra i singhiozzi «ce lo farai sapere se sarai in paradiso?».
«Sì, mamma!... ti assicuro... se il buon Dio me lo permette».
Verso sera il respiro si fece sempre più affannoso; l’agonizzante domandò per l’ultima volta un po’ d’acqua di Lourdes, ma non poté inghiottirla: soffriva troppo.
«Mamma, non posso più bere! Basta! È ora!... Me ne vado al buon Dio...».
La madre strinse quel suo caro angioletto tra le braccia e scoppiò in lagrime.
«Oh! mamma, come sono stanco! Riposerò accanto, al buon Dio!...».
Il sacerdote gli impartì l’ultima assoluzione. Nella stanza era raccolta tutta la famiglia in un silenzio d’angoscia, rotto da singulti.
Lodovico li guardò tutti, uno per uno, poi fissò sulla mamma i suoi occhi pieni d’amore. Diede un ultimo sguardo alla cara statua della sua Madonna, un dolce sorriso trasfigurò il suo volto, un lieve sospiro sfuggì dal suo labbro e l’anima sua volò al cielo.
Aveva nove anni e tre mesi. La sua vita fu breve, ma tanto feconda di bene.
Dopo la morte di Lodovico, i familiari udirono picchiare leggermente nella sua stanza e parve loro il segnale promesso: che egli era in paradiso col buon Dio.
Presso il trono di Dio egli canterà eternamente le lodi del Signore. Il fringuello di Gesù è diventato un Angelo di Dio.
Sia lodato il Signore nei suoi santi fanciulli!


Fonte:
www.vocechegrida.it

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Aggiunto/modificato il 2009-06-25

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