Tanti cattolici in Myanmar stanno dando un’intensa testimonianza di fede mentre la guerra civile sconvolge l’ex Birmania, dopo il colpo di stato del febbraio 2021. Sacerdoti, religiosi, suore, laici, volontari, continuano a tenere acceso il lumicino della fede in mezzo alla violenza, come ha fatto suor Ann Rose Nu Tawng, religiosa saveriana che, inginocchiatasi davanti ai militari, ha detto: «Uccidete me, non la gente». O come fa Celso Ba Shwe, da poco ordinato vescovo di Loikaw, capitale dello stato Kay ah, nel Myanmar orientale, che si reca a portare l’Eucarestia in zone e quartieri sottoposti a bombardamenti. E sono tanti coloro che si dedicano a una feconda opera di solidarietà verso i più vulnerabili, i sofferenti, gli sfollati, le persone costrette a fuggire dalle loro case e che hanno perso tutto a causa della violenza diffusa.
Fra costoro spicca la testimonianza di Alfred Ludo e Patrick Bo Reh, due giovani cattolici birmani che, nella città di Demoso, proprio nella diocesi di Loikaw, portavano cibo e aiuti umanitari agli sfollati interni. In quel tragitto in motocicletta, nel maggio 2021 i colpi dei cecchini li hanno raggiunti e uccisi. Nel territorio di Loikaw proseguono gli scontri tra l’esercito regolare e le «forze popolari di difesa», nate per resistere alla repressione militare. Il fuoco non risparmia case, chiese, ospedali, zone abitate da civili, con la conseguenza di seminare il terrore e causare migliaia di profughi. Alfred e Patrick erano tra i volontari della Chiesa locale che, come altri coetanei, sognavano un futuro prospero e pacifico per il loro Paese. Questo li rende parte dello spirito della «Commissione dei nuovi martiri — testimoni della fede» costituita il 3 luglio scorso dal Papa presso il Dicastero delle cause dei santi, in vista del Giubileo del 2025.
I due diciottenni, che nella parrocchia di san Giuseppe a Demoso erano cresciuti e avevano ricevuto i sacramenti, non hanno esitato quando c’è stato bisogno di tutta la loro energia per aiutare il prossimo. Nei poveri, negli indigenti, negli sfollati — dicevano — c’è Gesù Cristo povero, indigente, sfollato. Alfred e Patrick hanno accolto la chiamata del parroco e, mentre erano all’opera per consegnare gli aiuti, sono stati colpiti a morte. I due erano ben consci del fatto che quella fosse un’operazione rischiosa. Ma l’urgenza di portare aiuti umanitari a persone indifese, bisognose, sofferenti, accolte in conventi, sale parrocchiali, cappelle, scuole, era più forte del pericolo. «Iddio ci aiuterà», dicevano. Il loro sacrificio ha lasciato una traccia di profonda commozione tra i membri della comunità che, senza remore, li definiscono orgogliosamente «martiri» ed «eroi della fede», in quanto capaci di donare la vita, sull’esempio di Cristo.
Nel crudele conflitto civile che scuote la Nazione, i militari spesso prendono di mira i giovani, che sono gli animatori principali della protesta contro la dittatura. Gli omicidi mirati, tuttavia, però, hanno l’effetto di unire e confermare i giovani birmani nella lotta per un futuro di giustizia, pace, risp etto della dignità umana. Lo spirito evangelico di Alfred e Patrick lo ha riassunto un sacerdote locale, don Philip Aung Nge: «Rifiutiamo, con Alfred e Patrick, l’odio verso gli altri, anche i nostri nemici, per scoprire Cristo che vive in loro. Abbandoniamo pessimismo e pensieri oscuri che si addensano nel nostro cuore, per riempirci di speranza cristiana. Digiuniamo dalle preoccupazioni per il futuro perché, come Alfred e Patrick, vogliamo riempirci di fiducia e fede in Dio. Lasciamo tutto ciò che ci separa da Cristo Gesù per essere, in tutto e per tutto, in questa situazione di travaglio e sofferenza, vicini a Lui».
Autore: Paolo Affatato
Fonte:
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L’Osservatore Romano
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