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Paul Alexander

Chiese della Riforma

Dallas, Stati Uniti d'America, 30 gennaio 1946 - 11 marzo 2024

Paul Alexander è morto a 78 anni, di cui 72 vissuti in un respiratore artificiale dopo che a 5 anni aveva contratto la poliomielite. La sua voglia di vivere e la ostinata e creativa capacità di mostrare il valore della persona umana, anche in situazioni estreme di salute, sono un'eredità che va ben oltre la sua morte.



La vita può essere più o meno facile. Può attraversare prove terribili. Può ferirti e perfino schiacciarti con il suo peso. Ma avrà sempre un senso. E quel senso è donarsi agli altri. L'esistenza di Paul Alexander – morto all’inizio di questa settimana a Dallas a 78 anni, di cui 72 passati in un polmone d’acciaio – ha testimoniato proprio questo: non importa quanto ristretto sia lo spazio che la vita ti lascia, ce ne sarà sempre abbastanza per amare. A cinque anni, Paul viene colpito dalla poliomielite. E’ il 1952. Il vaccino anti-polio verrà scoperto 3 anni dopo. Nel giro di pochi giorni il suo corpo si irrigidisce fino alla totale immobilità dal collo in giù. I medici comunicano ai genitori che ha pochi mesi di vita e viene “rinchiuso” in un polmone d’acciaio che gli consente di respirare. Sorprendentemente il bambino non muore e con grande ostinazione riesce ad imparare ad incamerare aria nonostante l’atrofia dei suoi muscoli. Questo gli consente, negli anni, di vivere qualche ora del giorno fuori dal cilindro d’acciaio che lo mantiene in vita. Sono ore che Paul mette a frutto in un modo sorprendente: si diploma, si laurea e poi supera le prove per diventare avvocato. Pubblica anche una autobiografia. Ci mette otto anni, perché l’unico modo per scrivere è utilizzare una penna che tiene in bocca e muove pazientemente sui fogli di un quadernino.
Paul Alexander è animato da una profonda fede in Gesù Cristo, trasmessagli dai suo genitori, cristiani pentecostali. Sull’apertura del polmone d’acciaio ha voluto far mettere una croce con la scritta For God so loved the world, “Dio infatti ha tanto amato il mondo” (Giovanni 3,16). In una intervista con il canale Youtube Special books for Special Kids – vista da oltre tre milioni di persone – sottolinea quanto questo amore abbia plasmato la sua esistenza. “Ho vissuto tutta la mia vita con i miei genitori, loro mi parlavano dell’amore di Dio. Queste – osserva – potrebbero essere solo belle parole, ma quando tu ricevi proprio questo amore allora è davvero un’esperienza straordinaria”. Quell’amore ricevuto non lo tiene gelosamente per sé, lo dona generosamente. Gli amici più cari lo descrivono come una persona gioviale, che amava ridere. “La sua energia era talmente gioiosa e vibrante – rammenta uno di loro – che diventava contagiosa”. Un uomo dunque che – per quanto sembri paradossale viste le sue condizioni – amava la vita e sapeva goderne a pieno. Negli anni, Paul capisce che la sua testimonianza può aiutare tante persone che aoffrono a causa di malattie e disabilità. Diventa un campione dei diritti delle persone disabili, si lascia intervistare per raccontare la sua storia e mostrare che, anche se impossibilitato a fare tante cose, ogni essere umano ha un valore unico ed un potenziale infinito.
E’ anche un eccezionale comunicatore, dimostrando che – anche nell’era dei social – non è necessario puntare tutto sull’immagine se hai un buon contenuto da condividere. Il suo canale TikTok Conversations with Paul supera i 400 mila follower ed ogni suo video è commentato da tantissime persone – spesso malate – che lo ringraziano per l’iniezione di fiducia che ha offerto loro. In uno di questi risponde alla domanda “Come fai ad essere così positivo?”. “Essere positivo – risponde – per me è uno stile di vita. Io penso che se le persone sono positive non lasceranno che le difficoltà della vita le abbattano. Ho visto così tante persone soffrire nella mia vita e ho imparato che non bisogna lasciarle abbattere, ma dare un contributo per aiutarle. Se una ragazza viene a trovarmi, le dico: ‘Stai benissimo!’ e lei sorride. Quel sorriso mi rende felice”.
La vita di Paul Alexander ha dunque donato speranza a quanti lo hanno incontrato in vario modo e lo farà ancora a lungo perché quella vita, così sacrificata, ha avuto un senso. “La speranza – diceva Vaclav Havel con parole che potrebbero ben descrivere la parabola esistenziale dell’uomo che visse in un polmone d’acciaio – non è ottimismo. La speranza non è la convinzione che ciò che stiamo facendo avrà successo. La speranza è la certezza che ciò che stiamo facendo ha un senso.”


Autore:
Alessandro Gisotti


Fonte:
www.vaticannews.va

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Aggiunto/modificato il 2024-03-16

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