Considerazioni generali
Parlare della Madonna è la cosa più bella e più cara per un cristiano. Al semplice nominarla il cuore si apre alla gioia e alla speranza. Sentimenti che crescono a livello esponenziale, se si prende a “guida” colui che della Vergine Maria è il Cantore e il Difensore della sua Immacolata Concezione.
Al momento della gioia spirituale, però, non è disgiunto quello della difficoltà a motivo della grandiosità e profondità dell’argomento. Sembra poter utilizzare l’affermazione di Isaia: “se non crederete, non comprenderete” (7, 9); e con l’osservazione mnemonica di un saggio: “prima di credere, ero in grado di parlare di Dio, ora che credo, ho perduto tale possibilità”.
Che vuol dire questo?
Il discorso intorno alla Madonna non è autonomo. Deve passare attraverso il discorso su Cristo. Ciò comporta che nei destinatari del messaggio mariano si esige una fede autentica e matura in Cristo Gesù. Come solo Cristo rivela il mistero di Dio, perché ne è la vera immagine visibile, così solo Cristo svela l’arcano segreto della Madre sua.
La fede in Cristo apre la via al discorso su Maria, la cui maternità verginale è presentata come segno della divinità del suo Figlio. Lo stretto legame di Madre-Figlio li rende uniti inseparabilmente sia nella storia sia nella preistoria e sia nella metastoria. L’unione non distrugge, però, la differenza qualitativa: Cristo è Dio e Maria, una creatura. Maria rimanda sempre a Cristo, mentre Cristo solo a Dio.
Queste indicazioni generali saranno illuminate da alcune intuizioni del suo Dottore per eccellenza, così da rendere il cammino verso la Vergine Maria scientifico e sistematico, originalità e attuale. Nella sua interpretazione mariologica si distinguono facilmente tesi originali e tesi comuni. Tra le prime sono da ricordare: la Predestinazione assoluta, la Maternità attiva, l’Immacolata Concezione e, di conseguenza, anche l’Assunzione. Qui, l’attenzione si polarizza sulla Maternità.
Unico caso di Madre di Dio
Unico caso accertato nella storia, che una creatura sia venerata come “Madre di Dio”, sembra quello proposto dalla Chiesa cristiana, che dichiara essere verità di fede la proposizione: la Vergine Maria è “Madre di Dio”. La dichiarazione dogmatica risale al 431, con il Concilio di Efeso che afferma essere in Cristo la natura umana e divina nell’unica persona del Verbo di Dio, e, di conseguenza, Maria come Madre di Cristo è anche Madre di Dio: Theotókos (da Theos: Dio e tikto: partorire; Colei che partorisce Dio; in latino: Deipara (Deus: Dio e para: da parere, partorire). In quanto Madre di Dio-Uomo, si può dire anche (Dei Genitrix: Madre di Dio) in forza del principio della communicatio idiomatum.
La traduzione italiana di “Madre di Dio”, per sé, anche se è comune, non rende bene né il testo greco né quello latino, anzi, potrebbe dare adito a qualche difficoltà, se non si è abbastanza attenti. L’imprecisione è dovuto al fatto che nella lingua italiana, il termine “madre” indica normalmente colei che genera, ossia colei da cui ha origine il figlio; invece, i due termini classici - greco e latino - indicano solo colei che ha partorito. Distinzione delicata che introduce al mistero: Maria ha dato alla luce, in “carne umana”, il Verbo, seconda persona della Trinità.
Teologicamente parlando, quindi, il Dogma è più di natura cristologica che mariana, nel senso che asserisce qualcosa meno su Maria che su Cristo. Finalità del dogma, infatti, è chiarire la relazione delle due nature di Cristo, come rispecchia il clima storico della definizione di Efeso. Il mistero dell’Incarnazione consiste proprio in questo: Cristo ha due nature, Divina e Umana e una sola Persona, quella del Verbo. Le due Nature sono in perfetta unione nella Persona di Cristo, e non sono separate. Cristo allora è nello stesso tempo vero Dio (Natura e Persona del Verbo) e vero Uomo (solo Natura Umana senza Persona Umana).
Liturgicamente la festa venne istituita da Pio XI, nel 1931, a ricordo del XV centenario del concilio di Efeso, fissando la celebrazione all’11 ottobre, giorno in cui nel 431 venne proclamato il dogma. Con la riforma liturgica del 1969, invece, la Chiesa ha riportato la festa al 1° gennaio, come auspicio di bene per ogni uomo e modello per ogni cristiano; celebrazione che conclude anche l’ottava di Natale.
Spiegazione teologica del dogma
Per comprendere la possibilità che la Vergine Maria possa essere venerata come Madre di Dio, è da premettere un’osservazione: tutte le verità in suo onore non sono né autonome né indipendenti, ma dipendono tutte dal Cristo, suo Figlio.
La prima e fondamentale verità su Cristo, da cui discendono tutte le altre verità, come cascata di perle preziose e gioiose, che allietano il cuore e illuminano gli occhi, è quella della “predestinazione assoluta”; nella quale, è logico, che Cristo si sceglie la Madre da cui nascerà storicamente nella “pienezza del tempo” (Gal 4, 4), dopo averla arricchita di ogni grazia, che una creatura possa sopportare, rendendola prima Immacolata e poi Assunta in ciel di “Sol vestita” (Ap 12,1).
Così, nell’unico e medesimo atto di predestinazione, Dio predestina sia Cristo che Maria, come è stato già ricordato nel dogma dell’Immacolata Concezione da Pio IX, che nella sua bolla Ineffabilis Deus, accetta l’interpretazione data da Duns Scoto. E tutto questo è implicitamente incluso nel grandioso e sublime mistero del disegno di Dio rivelato da Paolo: “Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui [Cristo] ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto” (Ef 1, 3-6).
Questo testo rivelato è fondamentale per inquadrare direttamente le verità cristologiche e quelle mariologiche indirettamente, perché rappresenta la struttura generale entro cui è racchiuso in nuce tutto il patrimonio della storia della salvezza, che gradualmente si stenderà nell’arco del tempo fino alla sua consumazione.
Predestinazione differenziata
Per predestinazione s’intende, normalmente, quella decisione libera ed eterna di Dio con la quale decreta anticipatamente la salvezza o la dannazione definitiva di qualcuno. Tuttavia, la predestinazione alla gloria e alla grazia avviene ante praevisa merita, cioè prima di conoscere i meriti ed è del tutto gratuita, per questo si chiama anche assoluta e indipendente; quella alla riprovazione, invece, avviene post praevisa demerita, cioè dopo la previsione dei demeriti di condotta esistenziale in ordina alla fede e alla carità, e per questo è detta relativa e condizionata. Senza una particolare rivelazione, nessuno può ritenersi predestinato, per cui tutto viene dato all’uomo per “grazia” di Dio.
Secondo la Rivelazione e la Teologia sono predestinate ante praevisa merita solo due persone: Cristo Gesù e Maria Vergine. In questo delicatissimo e difficilissimo mistero, si ritrovano realizzate due norme ermeneutiche del “Rappresentante più qualificato della Scuola Francescana” (Paolo VI): non subordinare mai Cristo a qualcuno; e attribuire a Maria il meglio che si può attribuire nel rispetto della Scrittura e della Chiesa.
In un passaggio fondamentale del Maestro francescano, viene espresso l’intuizione dell’istante dell’agire ad extra di Dio, solo logico e non cronologico: “In primo luogo, Dio ama se stesso. In secondo luogo, Dio ama se stesso negli altri. In terzo luogo, Dio vuole essere amato da chi lo può amare in modo degno. In quarto luogo, Dio prevede l’unione ipostatica che deve amarlo sommamente”.
L’Incarnazione, allora, è il Summum Opus Dei, cioè il Capolavoro di Dio, la cui ragione primaria è quella di amare lodare ringraziare glorificare benedire…Dio ad extra. La presenza storica di Cristo, come si può notare, allora è autonoma e indipendentemente da qualsiasi altro fattore esterno, perché voluto e amato per primo da Dio. In questo modo, Cristo è predestinato alla gloria e alla grazia indipendentemente da qualsiasi fattore esterno alla stessa volontà divina. Tutto ciò che accadrà dopo, storicamente, non è altro che una liberale elargizione di Cristo come “dono”: sia la creazione, sia la redenzione e sia la glorificazione.
Nell’ottica della predestinazione assoluta di Cristo, per logica conseguenza, ossia per diritto “grazioso”, cioè per grazia, entra anche la predestinazione della sua Madre, scelta abbellita e resa graziosa al massimo, fin dall’istante della sua accettazione del mandato del Padre. Così, dai “tempi antichissimi” (Mi 5, 1) e nell’unico l’unico e medesimo atto di predestinazione, Dio ha voluto nella sua massima libertà di amore la coppia originale e originante di Cristo-Maria, indipendentemente dalle future e previste vicissitudini storiche della realizzazione del suo disegno, come la tragedia del rifiuto di Cristo da parte di un gruppo di Angeli e da parte dei progenitori dell’umanità ingannata dal “serpente”, simbolo di Satana. Nell’ordine della predestinazione, perciò, si può distinguere una varietà di gradi in base al principio scotista “della vicinanza a Cristo”: dal massimo al minimo: al primo posto c’è Cristo-Maria, che è incondizionata assoluta e indipendente da qualsiasi condizione esterna, con la dovuta distinzione, però: Cristo riceve tutto dall’Amore del Padre; e Maria, invece, dall’Amore di Cristo; all’ultimo posto, invece, l’uomo in proporzione della sua fedeltà a Cristo, per cui la sua predestinazione è relativa e condizionata al grado di fede testimoniale durante l’esistenza storica.
La maternità di Maria
Il primo frutto della doppia predestinazione assoluta di Cristo e di Maria è certamente uno scambio reciproco d’amore: Cristo dona a Maria la grazia della Maternità, rendendola “piena di grazia”; e Maria dona a Cristo l’Umanità, per la quale diviene “vero Uomo”. In questo “gioco” d’amore, le azioni di Cristo e di Maria sono contemporaneamente attive e passive insieme: Cristo è attivo perché dona a Maria la “grazia” ed è passivo in quanto riceve da Maria l’“umanità”; così anche Maria è attiva in quanto dona a Cristo l’“umanità” ed è passiva in quanto riceve da Cristo la “grazia”. Tra Cristo e Maria si instaura, quindi, un duplice vincolo, naturale e morale insieme, con la precedenza certamente del primo sul secondo.
Precisato tale rapporto, l’attenzione verte ora sulla delicata complicata e difficile analisi del concetto di “maternità”. Dalla storia si sa che i grandi teologi del passato, come ad esempio Tommaso d’Aquino e Bonaventura da Bagnoregio, rifacendosi all’autorità di Aristotele (De animalium generatione, I, c. 21; Metafisica, V, c. 15, 1020b 29-31), e in parte anche a qualche espressione del Damasceno e di Agostino, sostenevano che nella procreazione della prole, solo il padre (o maschio) è principio attivo; mentre la madre (o femmina) è semplice passività, avente il compito di far sviluppare in sé il seme vitale dell’uomo. Principio che applicato alla Maria comporta, di conseguenza, che essa non ha operato nulla di attivo nella concezione e nello sviluppo embrionale del Figlio Gesù, ritenuto totalmente opera dello Spirito Santo, interpretando alla lettera il testo di Luca (1, 35).
Il Cantore dell’Immacolata, invece, rifacendosi alla sua teoria della con-causalità dei principi nel processo conoscitivo e alla teoria sessuologica del medico Galeno (De usu partium corporis humani. De semine mulieris,1,1), ripreso da Avicenna e reinterpretando sia Damasceno che Agostino, insegna categoricamente che sia il padre sia la madre sono entrambi principi attivi nella procreazione della prole (Ordinatio, III, d. 4, q. un., n. 5). E con squisita sensibilità e onestà intellettuale, aggiunge che, in argomenti così delicati, è meglio affidarsi a un medico che a un filosofo! E applicando tale principio anche alla Madonna si pone contro la comune opinione dell’epoca e afferma: “Io dico che la beata Vergine Maria ebbe una vera funzione di principio attivo nella formazione del corpo di Cristo” (Reportata Parisiensia, III, d. 4, q. 2, n. 10). E pur riconoscendo la naturalità del parto, ammette che il “modo” come è avvenuto richiede necessariamente l’intervento soprannaturale (Ivi, n. 7).
La con-causalità di Maria nella maternità
Ora, secondo questo principio di sessuologia, precisa sempre il Cantore dell’Immacolata, mentre per la donna il principio attivo è dato dall’uomo, per Maria, invece, dallo Spirito Santo. Tuttavia, precisare lo specifico tipo di collaborazione, è difficile e arduo, delicato e complesso, perché si entra nell’alone del mistero, in cui la ragione umana oltre non può andare: il mistero si accetta solo con fede.
La con-causalità di Maria non deve essere intesa in senso morale, come concorso volontario all’accettazione dell’Incarnazione e neppure come condiscendenza a fornire la materia alla formazione del corpo del Figlio, ma veramente in senso reale e fisico, cioè di vera causa efficiente della stessa unione ipostatica, anche se secondaria e strumentale. La causa principale resta sempre l’azione dello Spirito Santo o della SS. Trinità, perché nell’Annunciazione il termine “Spirito Santo” è da intendersi come sinonimo di Trinità, dal momento che si tratta di un’opera ad extra di Dio.
Maria, perciò, è realmente e fisicamente collaboratrice con lo Spirito Santo, come causa essenziale secondaria, che agisce sempre in subordinazione e in dipendenza della causa principale. Di conseguenza, alla formazione del “corpo” di Cristo concorrono due cause essenziali, ordinate essenzialmente: lo Spirito Santo come causa principale e Maria come causa secondaria. Due, le conseguenze importanti che scaturiscono da questa singolare e ardita interpretazione: Maria è vera Madre di Gesù, e Gesù è vero Figlio di Maria.
Ulteriore precisazione
Per meglio intendere ancora la delicata verità della “maternità” di Maria, il Cantore dell’Immacolata aggiunge una ulteriore precisazione. Nella procreazione della prole, si dice che la donna partorisce un “uomo”, benché concorra solo alla formazione del corpo, mentre l’anima è creata direttamente da Dio; così nella Maternità divina, benché Maria concepisce solo il corpo di Cristo, è riconosciuta come Madre di Dio, in quanto la maternità è determinata dall’elemento più nobile, cioè dal Verbo che sostanzialmente ha assunto in sé la natura umana da Maria concepita. Partecipazione naturale e attiva di Maria, che ben si sposa con la collaborazione con lo Spirito Santo, che svolge la funzione vicaria del padre nella generazione di Cristo.
Ciò non vuol dire che Maria sia causa dell’esistenza del Verbo o dell’esigenza nella natura umana a unirsi allo stesso Verbo, perché il Verbo, in quanto Dio, preesiste alla Madre; e l’essere assunto dipende unicamente dalla volontà di Dio. Anche nell’animazione, l’esigenza del corpo a unirsi con l’anima dipende esclusivamente dalla volontà divina, nel senso che Dio ha stabilito che il corpo prodotto dalla donna venga informato dall’anima, creata sempre esclusivamente dallo stesso Dio, in Cristo.
Questo, un semplice lembo svelato sulla delicata e misteriosa Maternità Divina di Maria.
Autore: P. Giovanni Lauriola ofm
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