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San Francesco di Sales Vescovo e dottore della Chiesa

24 gennaio

Thorens, Savoia, 21 agosto 1567 - Lione, Francia, 28 dicembre 1622

Nel 1567, nel Castello di Sales, a Thorens, in Alta Savoia (Francia), nasce il primo figlio della famiglia dei nobili di Boisy. Lo chiamano Francesco. Il bambino è intelligente, buono, simpatico. Il padre ripone in lui tante speranze: una carriera brillante come avvocato e politico, un matrimonio prestigioso. Francesco si laurea in giurisprudenza a Padova, ma non ha nessuna intenzione di praticare la professione forense. Vuole essere un sacerdote. Il padre accetta la vocazione del figlio che diventa prete e, poi, vescovo di Ginevra (1602), in un momento in cui la Chiesa subisce l’allontanamento di una parte dei suoi fedeli. La città svizzera è, infatti, abitata dai riformatori protestanti, ispirati da Giovanni Calvino. Così il vescovo cattolico deve trasferire la sua sede nella vicina Annecy, suggestiva città francese adagiata sulle rive di un lago, considerata la “Venezia delle Alpi”. Francesco si distingue per la sua capacità di dialogare con i protestanti calvinisti. Grazie alle sue doti di persuasione, sia con la predicazione, sia con la parola scritta, Francesco riesce a far rientrare nel Cattolicesimo migliaia di calvinisti. E per arrivare a contattare più persone possibili si inventa un nuovo mezzo di comunicazione di massa: il manifesto. Scrive foglietti e li fa stampare in tanti esemplari, poi li attacca sui muri o li fa scivolare sotto le porte di casa. Per questo motivo Francesco di Sales è considerato il patrono dei giornalisti, degli scrittori cattolici, della stampa cattolica e dei mass media. Le sue parole semplici, che spiegano l’amore di Dio, si rivolgono sia agli umili, sia all’alta società, sia ai laici che agli uomini di Chiesa. Nel 1610, assieme alla baronessa Giovanna Francesca de Chantal (futura santa) fonda l’Ordine della Visitazione di Santa Maria (monache senza obbligo di clausura, al servizio dell’evangelizzazione e della carità verso i poveri e gli ammalati). Il vescovo scrive oltre duemila lettere e alcuni libri tra i quali Introduzione alla vita devota e Trattato dell’amore di Dio. Alla sua figura si è ispirato San Giovanni Bosco, fondatore della Famiglia Salesiana. Francesco di Sales muore a Lione (Francia) il 28 dicembre 1622.

Patronato: Giornalisti, Autori, Scrittori, Sordomuti

Etimologia: Francesco = libero, dall'antico tedesco

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Memoria di san Francesco di Sales, vescovo di Ginevra e dottore della Chiesa: vero pastore di anime, ricondusse alla comunione cattolica moltissimi fratelli da essa separati, insegnò ai cristiani con i suoi scritti la devozione e l’amore di Dio e istituì, insieme a santa Giovanna di Chantal, l’Ordine della Visitazione; vivendo poi a Lione in umiltà, rese l’anima a Dio il 28 dicembre e fu sepolto in questo giorno ad Annecy.
(28 dicembre: A Lione in Francia, anniversario della morte di san Francesco di Sales, vescovo di Ginevra, la cui memoria si celebra il 24 gennaio nel giorno della sua deposizione ad Annecy).

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Nasce a Thorens, in Savoia, nel 1567 da aristocratica famiglia. La sua piccola provincia dipende ancora da Torino, ma già partecipa allo sviluppo spirituale della Francia. Vi si parla il francese più puro, giunto a pieno compimento. Francesco di Sales terrà sempre uniti la sua Savoia e il regno di Francia.
A Parigi completa gli studi presso i Gesuiti che formano ottimi umanisti, brillanti per greco e latino, e cattolici ferventi. A 11 anni il giovanissimo Francesco chiede la tonsura e sorride in silenzio, persino un po’ divertito, quando suo padre parla di farne un giurista e un senatore. Nel collegio di Clermont si accosta alla Comunione eucaristica tutte le domeniche e i suoi compagni lo soprannominano “l’Angelo”.

Apostolo del Chiablese
A 18 anni vive una forte crisi, non dei sensi e degli istinti, ma dell’anima: «Come farò a salvarmi della perdizione eterna? Forse esiste davvero una predestinazione fatale? O l’uomo è libero?». Il giovane Francesco trova la luce nell’amore di Dio che vuole la salvezza di tutti, ma chiede la corrispondenza di ogni uomo a Lui. Come Giovanni il prediletto degli Apostoli di Gesù, sarà anche lui l’apostolo dell’amore.
Quando si fa luce nella sua anima, l’attesa è ormai finita: cade in ginocchio davanti all’immagine della Madonna des Grés e la Vergine Santissima riceve il suo cuore, l’impegno a offrire tutta la vita al Cristo, del quale da sempre è innamorato.
Passa quattro anni a Padova, dove si immerge nello studio di san Tommaso d’Aquino e di sant’Agostino, la teologia più sicura e luminosa, la teologia della Verità e dell’Amore, che fanno sintesi in Gesù solo. Francesco si conferma nella vocazione che ormai è sbocciata dal suo primo boccio quando era decenne: «Sarò sacerdote».
Mentre i suoi compagni di università si buttano a volte attraverso le giovanili follie, egli riceve gli Ordini minori in una settimana, il diaconato tre mesi più tardi, e il Sacerdozio, dopo altri tre mesi. Insomma, era un giovane che Dio si era prescelto e riservato per sé, e di lui san Gregorio Nazianzeno avrebbe detto: «Egli era prete prima di essere prete». Si mette subito all’opera.
Quasi subito il suo Vescovo lo nomina canonico del suo capitolo, e presto diventa preposito. Un incarico per aver diritto a qualche soldo e a una vita tranquilla? Il canonico Francesco predica in chiesa e sulle piazze («vogliano o non vogliano, devono ascoltare la verità della Fede cattolica, unica via di salvezza!»), soccorre i poveri, visita i malati, passa lunghe ore in confessionale sempre assediato da fedeli e da peccatori che si convertono, e parla molto, fino a far indignare suo padre, che lo vorrebbe predicatore con citazioni greche e latine, mentre lui predica in modo che tutti lo comprendano, e possano conoscere e amare Gesù.
Giovanissimo apostolo trentenne, con il suo stile umile e pacato, ma che dimostra la sua fiamma che arde di amore a Gesù, la sua fama si diffonde con una pericolosa distinzione che lo fa segnare a dito. Il Chiablese, cioè quel meraviglioso paese di monti e di colline, che costeggia a sud il lago di Ginevra, da Hermance a San Gingolph, è diventato protestante e calvinista. Il vescovo di Annecy – che è anche il pastore di Ginevra che gli è stata sottratta da Calvino – ha tentato di riportarlo alla Chiesa Cattolica, ma il primo tentativo è fallito. Ci prova una seconda volta e il preposito del capitolo, il giovane Francesco di Sales, chiede di essere in prima fila.
Si fa missionario percorrendo in lungo e in largo il paese, sotto il sole o in mezzo alla neve, rigandola di sangue dai suoi piedi... gelati e screpolati, passando le notti sotto le stelle anche quando tira vento gelato, rischiando la pelle in mezzo ad avversari che spesso hanno il pugnale lesto. È mobilitato dall’amore a Gesù, possiede lo stesso suo Cuore tormentato dall’ardore per la salvezza delle anime; per la conversione di calvinisti a Gesù (già, la salvezza delle anime: bel problema, sono anni, decenni che noi poveri laici cattolici non ne sentiamo più parlare da alcuno, anche se la “suprema ratio” rimane sempre la salus animarum!).
C’è chi non vuole ascoltarlo? Francesco scrive e fa scrivere dai suoi volontari volantini e manifesti, con concise e puntuali istruzioni sulla Fede cattolica, che affigge ai muri e fa scorrere sotto le porte delle case, che restano chiuse al suo bussare. Per questo sarà fatto patrono dei pubblicisti. Anche oggi ci sono laici che ricorrono a questo mezzo, aiutati da computer, internet o tipografie: un bell’apostolato di prima linea! Così quando nel 1598 il Vescovo esamina il lavoro compiuto, constata che quasi tutti i chiablesani sono tornati ad essere cattolici.
Nel 1599, Francesco ha 32 anni, ma la sua missione nel chiablese l’ha reso celebre in tutta la Chiesa; a Roma, papa Clemente VIII, davanti a un folto gruppo di vescovi e di cardinali, si fa raccontare l’avventura da Francesco stesso: ha convertito circa 30.000 persone (proselitismo? No, pratica del comando di Gesù: “Andate, predicate, convertite” (cf. Mc 16,9).

Vescovo di Annecy
Presto Clemente VIII lo consacra vescovo coadiutore di Annecy, con diritto di successione. Ha 32 anni. Re Enrico IV lo vorrebbe a Parigi, dove Francesco va nel 1602: è stimato nel salotto di Madame Acarie, cenacolo di cultura e di fede, è ricevuto con onori dal card. De Berulle, popolo e nobili si accalcano sotto il suo pulpito. Il Re gli offre di diventare vescovo di Parigi. Francesco rifiuta: «Sono già sposato con una povera donna [la diocesi di Annecy] e non posso lasciarla per una più ricca!». Morto il suo Vescovo, è lui il nuovo vescovo di Annecy, in una piccola diocesi savoiarda.
Ma quale Vescovo sarà! Per 20 anni potrà scavare il suo solco e piantare il suo seme. Intanto vive come un monaco, sempre con Dio e sempre a disposizione di chi lo cerca, «come – dice – un abbeveratoio pubblico». Organizza scuole di catechismo e lui stesso va a insegnare ai bambini. Ai preti che non hanno parrocchia ordina di mettersi a servizio dei parroci e delle anime e di non fare gli scansafatiche. Non ha ancora un seminario, ma provvede di persona tramite i preti migliori, alla formazione del clero, un clero che vuole incentrato in Gesù.
Ogni domenica celebra la Messa nella sua cattedrale e predica al popolo, ascoltatissimo, mediante colloqui familiari, dal tono delicatissimo, pieni di esempi, di domande e di risposte, con stile bonario e fortissimo, che certamente non rende antipatico Gesù, ma attira e affascina a Lui. Commenta: «Non ditemi che sono un grande predicatore, ma ditemi, se lo sono, che sono buono, servo di Gesù e delle anime».
Lui stesso è un uomo affascinante, ma di una purezza celestiale. Colpisce in lui soprattutto la sua mitezza, la sua carità (una volta, per via, si toglie le scarpe e le dona a un povero che non le ha!). Non urta mai con frasi severe, ma non fa sconti né è ambiguo sulla Verità che è pure sempre la prima misericordia e la più grande carità. Ha buon senso, prudenza, una fortezza come di diamante, nell’affrontare dispute con i calvinisti, che però sentono il suo amore di Padre, stile Gesù. Vuole formare anime forti in tutti i ceti sociali, tra i preti, i religiosi, gli sposi, a cominciare dalla donna, che ritiene per natura un’innamorata di Dio, una “Filotea”, e con questo titolo scrive il suo libro più famoso e più diffuso, bellissimo ancora oggi.
Per chi è chiamato a una forma più alta di santità, scrive il Trattato dell’amore divino – il Teotimo –, guida per i mistici, ma intanto afferma e spiega che la santità è per tutti, che va tradotta e declinata nella vita quotidiana della suora come della madre di famiglia, del prete come del soldato e del commerciante, del contadino come del giurista. Bellissime a riguardo sono le sue Conversazioni spirituali e le migliaia di Lettere di direzione che scrive ai figli e alle figlie spirituali sparsi per la Francia, l’Italia e l’Europa. Insomma, si tratta di un umanesimo cristiano: Francesco di Sales ama l’uomo e lo vede redento da Cristo sulla Croce, pertanto degno di amore e di cura per la sua salvezza eterna: Francesco di Sales ama l’uomo perché ama follemente Dio. Non l’umanesimo centrato sull’uomo da solo, sui suoi presunti “diritti civili”, come è in voga oggi, ma un umanesimo cristo-teocentrico. Fiducia nell’uomo? Sì, ma nell’uomo redento da Cristo, confidenza in Gesù l’unico Redentore dell’uomo. È la vocazione universale alla santità.
Con questo stile, con santa Giovanna De Chantal, Francesco di Sales fonda la Visitazione nel 1610. L’Ordine religioso femminile che diffonderà tra le giovani povere come tra le benestanti, la consacrazione a Dio, a Gesù Cristo, come Dio di amore, che porta a compimento l’umanità di ognuna. «Confidenza in Dio e seri sforzi dell’uomo»: ecco la regola di vita che egli propone. «Tessere fortemente la tela delle virtù piccole, ma divinizzare in Gesù tutte le virtù umane. Volersi dare a Dio, pregare, operare bene, ma soprattutto amare», amare come il Crocifisso, si intende. Alla base di tutto, Francesco pone la Confessione e la Comunione almeno settimanale, i Sacramenti che santificano ogni uomo/donna, l’umile come il dotto e il potente.
Di lui dirà il vescovo di Meaux, Jacques Benigne Bossuet: «Si usava relegare nei chiostri la santità, la si credeva eccessiva per poter comparire a corte e nel gran mondo. Francesco di Sales è stato scelto per andare a toglierla dal suo ritiro». La battaglia per condurre e ricondurre le anime più lontane a Dio la sostiene fino all’ultimo respiro.
Alla fine del 1622, benché debole e infermo per le fatiche e lo zelo dato alle anime, viene chiamato a Lione. Si ferma a Belley presso il suo amico, il saggio vescovo Camus. Ma riprende il cammino, sfidando la gelida tramontana delle rive del Rodano, verso Lione. Il 28 dicembre 1622, il santo Vescovo di Annecy vede Dio faccia a faccia così come Egli è. Ha solo 55 anni. Nel 1665, papa Alessandro VII lo iscrive tra i santi. Nel 1877, il beato Pio IX lo proclama Dottore della Chiesa. Di quanto ho letto di lui, mi assilla un’affermazione lucida e forte, rivolta soprattutto ai suoi preti e ai cattolici che sono chiamati in prima fila per Gesù (cito a braccio): “I protestanti sono dilagati nella nostra Europa, e occupano spazio, anche perché noi cattolici spesso non abbiamo studiato abbastanza per confutarli e smascherare i loro errori. Spesso ci siamo limitati a recitare l’Ufficio e non siamo scesi in campo a impedire le loro opere nefaste. È urgente sapere e approfondire la Verità e annunciarla a tutti coloro che la negano, rispondendo a tutte le loro obiezioni con la parola e con la nostra vita”.
Vale ancora oggi. Urgente e impellente più che mai. Direbbe san Paolo: “È l’ora di risvegliarci dal sonno” (Rm 13,11).

Autore: Paolo Risso
 


 

Nato a Thorens il 21 agosto 1567, concluse a Lione i suoi giorni, consunto dalle fatiche apostoliche, il 28 dicembre del 1622, l’anno della canonizzazione di San Filippo Neri, che Francesco conosceva attraverso la Vita scritta dal Gallonio, a lui inviata dall’amico Giovanni Giovenale Ancina. Iscritto nell’albo dei Beati nel 1661, fu canonizzato nel 1665 e proclamato Dottore della Chiesa nel 1887 da Leone XIII.
Francesco di Sales si formò alla cultura classica e filosofica alla scuola dei Gesuiti, ricevendo al tempo stesso una solida base di vita spirituale. Il padre, che sognava per lui una brillante carriera giuridica, lo mandò all’università di Padova, dove Francesco si laureò, ma dove pure portò a maturazione la vocazione sacerdotale. Ordinato il 18 dicembre 1593, fu inviato nella regione del Chablais, dominata dal Calvinismo, e si dedicò soprattutto alla predicazione, scegliendo non la contrapposizione polemica, ma il metodo del dialogo.
Per incontrare i molti che non avrebbe potuto raggiungere con la sua predicazione, escogitò il sistema di pubblicare e di far affiggere nei luoghi pubblici dei “manifesti”, composti in agile stile di grande efficacia. Questa intuizione, che dette frutti notevoli tanto da determinare il crollo della “roccaforte” calvinista, meritò a S. Francesco di essere dato, nel 1923, come patrono ai giornalisti cattolici.
A Thonon fondò la locale Congregazione dell’Oratorio, eretta da Papa Clemente VIII con la Bolla “Redemptoris et Salvatoris nostri” nel 1598 “iuxta ritum et instituta Congregationis Oratorii de Urbe”. Il suo contatto con il mondo oratoriano non riguardò tanto la persona di P. Filippo, quanto quella di alcuni tra i primi discepoli del Santo, incontrati a Roma quando Francesco vi si recò nel 1598-99: P. Baronio, i PP. Giovanni Giovenale e Matteo Ancina, P. Antonio Gallonio.
L’impegno che Francesco svolse al servizio di una vastissima direzione spirituale, nella profonda convinzione che la via della santità è dono dello Spirito per tutti i fedeli, religiosi e laici, fece di lui uno dei più grandi direttori spirituali. La sua azione pastorale - in cui impegnò tutte le forze della mente e del cuore - e il dono incessante del proprio tempo e delle forze fisiche, ebbe nel dialogo e nella dolcezza, nel sereno ottimismo e nel desiderio di incontro, il proprio fondamento, con uno spirito ed una impostazione che trovano eco profondo nella proposta spirituale di San Filippo Neri, la quale risuona mirabilmente esposta, per innata sintonia di spirito, nelle principali opere del Sales - “Introduzione alla vita devota, o Filotea”, “Trattato dell’amor di Dio, o Teotimo” - come pure nelle Lettere e nei Discorsi.
Fatto vescovo di Ginevra nel 1602, contemporaneamente alla nomina dell’Ancina, continuò con la medesima dedizione la sua opera pastorale. Frutto della direzione spirituale e delle iniziative di carità del Vescovo è la fondazione, in collaborazione con S. Francesca Fremiot de Chantal, dell’Ordine della Visitazione, che diffuse in tutta la Chiesa la spiritualità del S. Cuore di Gesù, soprattutto attraverso le Rivelazioni di Cristo alla visitandina S. Margherita Maria Alacocque, con il conseguente movimento spirituale che ebbe anche in molti Oratori, soprattutto dell’Italia Settentrionale, centri di convinta adesione.

Autore: Mons. Edoardo Aldo Cerrato CO
 


 

San Francesco di Sales, vescovo di Ginevra e dottore della Chiesa, è sicuramente il più importante e celebre fiore di santità sbocciato in Savoia, sul versante alpino francese.
Figlio primogenito, Francois nacque il 21 agosto 1567 in Savoia nel castello di Sales presso Thorens, appartenente alla sua antica nobile famiglia. Ricevette sin dalla più tenera età un’accurata educazione, coronata dagli studi universitari di giurisprudenza a Parigi e a Padova. Qui ricevette con grande lode il berretto dottorale e ritornato in patria fu nominato avvocato del Senato di Chambéry. Ma sin dalla sua frequentazione accademica erano iniziati ad emergere i suoi preminenti interessi teologici, culminati poi nelle scoperta della vocazione sacerdotale, che deluse però le aspettative paterne. Nel 1593 ricevette l’ordinazione presbiterale ed il 21 dicembre celebrò la sua prima Messa.
Fu sacerdote zelante ed instancabile lavoratore nella vigna del Signore. Visti gli scarsi frutti che ottenuti dal pulpito, si diede alla pubblicazione di fogli volanti, che egli stesso faceva scivolare sotto gli usci delle case o affiggeva ai muri, meritandosi per questa originale attività pubblicitaria il titolo di patrono dei giornalisti e di quanti diffondono la verità cristiana servendosi dei mezzi di comunicazione sociale. Ma anche quei foglietti, che egli cacciava sotto le porte delle case, ebbero scarsa efficacia.
Spinto da un enorme desiderio di salvaguardare l’ortodossia cristiana, mentre imperversava la Riforma calvinista, Francois chiese volontariamente udienza al vescovo di Ginevra affinché lo destinasse a quella città, simbolo supremo del calvinismo e massima sede dei riformatori, per la difficile missione di predicatore cattolico. Stabilitosi a Ginevra, non si fece remore a discutere di teologia con i protestanti, ardendo dal desiderio di recuperare quante più anime possibili alla Chiesa, ma soprattutto alla causa di Cristo da lui ritenuta più genuina. Il suo costante pensiero era rivolto inoltre alla condizione dei laici, preoccupato di sviluppare una predicazione e un modello di vita cristiana alla portata anche delle persone comuni, immerse nella difficile vita quotidiana. Proverbiali divennero i suoi insegnamenti, pervasi di comprensione e di dolcezza, permeati dalla ferma convinzione che a supporto delle azioni umane vi fosse sempre la provvidenziale presenza divina. Molti dei suoi insegnamenti sono infatti intrisi di misticismo e di nobile elevazione spirituale.I suoi enormi sforzi ed i grandi successi ottenuti in termini pastorali gli meritarono la nomina a vescovo coadiutore di Ginevra già nel 1599, a trentadue anni di età e dopo soli sei anni di sacerdozio. Dopo altri tre anni divenne vescovo a pieno titolo e si spese per l’introduzione nella sua diocesi delle riforme promulgate dal Concilio di Trento. La città rimase comunque nel suo complesso in mano ai riformati ed il novello vescovo dovette trasferire la sua sede nella cittadina savoiarda di Annecy, “Venezia delle Alpi”, sulle rive del lago omonimo.
Fu direttore spirituale di San Vincenzo de’ Paoli. Nel corso della sua missione di predicatore, nel 1604 conobbe poi a Dijon la nobildonna Giovanna Francesca Frèmiot, vedova del barone de Chantal, con cui iniziò una corrispondenza epistolare ed una profonda amicizia che sfociarono nella fondazione dell’Ordine della Visitazione.
“Se sbaglio, voglio sbagliare piuttosto per troppa bontà che per troppo rigore”: in questa affermazione di Francois de Sales sta il segreto della simpatia che egli seppe suscitare tra i suoi contemporanei.
Il duca di Savoia, dal quale Francesco dipendeva politicamente, sostenne l’opera dell’inascoltato apostolo con la maniera forte, ma non addicendosi l’intolleranza al temperamento del santo, quest’ultimo preferì portare avanti la sua battaglia per l’ortodossia con il metodo della carità, illuminando le coscienze con gli scritti, per i quali ha avuto il titolo di dottore della Chiesa. Le sue principali opere furono dunque “Introduzione alla vita devota” e “Trattato dell'amore di Dio”, testi fondamentali della letteratura religiosa di tutti i tempi. Quello dell’amore di Dio fu l’argomento con il quale convinse i recalcitranti ugonotti a tornare in seno alla Chiesa Cattolica.
L’11 dicembre 1622 a Lione ebbe l’ultimo colloquio con la sua penitente e qui morì per un attacco di apoplessia il 28 dello stesso mese nella stanzetta del cappellano delle Suore della Visitazione presso il monastero. Il 24 gennaio 1623 il corpo mortale del santo fu traslato ad Annecy, nella chiesa oggi a lui dedicata, ma in seguito fu posto alla venerazione dei fedeli nella basilica della Visitation, sulla collina adiacente alla città, accanto a Santa Giovanna Francesca di Chantal. Francesco di Sales fu presto beatificato, l'8 gennaio 1662, e già tre anni dopo venne canonizzato, il 19 aprile 1665, dal pontefice Alessandro VII. Successivamente fu proclamato Dottore della Chiesa nel 1877, nonché patrono dei giornalisti nel 1923.
Il Martyrologium Romanum riporta la sua commemorazione nell’anniversario della morte, cioè al 28 dicembre, ma per l’inopportuna coincidenza con il tempo di Natale, il calendario liturgico della Chiesa universale ha fissato la sua memoria obbligatoria al 24 gennaio, anniversario della traslazione delle reliquie.
San Francesco di Sales, considerato quale padre della spiritualità moderna, ha avuto il merito di influenzare le maggiori figure non solo del “grand siècle” francese, ma anche di tutto il Seicento europeo, riuscendo a convertire al cattolicesimo addirittura alcuni esponenti del calvinismo. Francesco di Sales a ragione può essere considerato uno dei principali rappresentanti dell’umanesimo devoto di tipica marca francese. Fu un vescovo santo, innamorato della bellezza e della bontà di Dio.
E’ infine doveroso ricordare come al suo nome si siano ispirate parecchie congregazioni, tra le quali la più celebre è indubbiamente la Famiglia Salesiana fondata da San Giovanni Bosco, la cui attenzione si rivolge più che altro alla crescita ed all’educazione delle giovani generazioni, con un’attenzione tutta particolare alla cura dei figli delle classi meno abbienti.


DALLA “INTRODUZIONE ALLA VITA DEVOTA”

Nella creazione Dio comandò alle piante di produrre i loro frutti, ognuna “secondo la propria specie” (Gn 1, 11). Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione.
La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta, bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona.
Dimmi, Filotea, sarebbe conveniente se il vescovo volesse vivere in una solitudine simile a quella dei certosini? E se le donne sposate non volessero possedere nulla come i cappuccini? Se l’artigiano passasse tutto il giorno in chiesa come il religioso, e il religioso si esponesse a qualsiasi incontro per servire il prossimo come è dovere del vescovo? Questa devozione non sarebbe ridicola, disordinata e inammissibile? Questo errore si verifica tuttavia molto spesso. No, Filotea, la devozione non distrugge nulla quando è sincera, ma anzi perfeziona tutto e, quando contrasta con gli impegni di qualcuno, è senza dubbio falsa.
L’ape trae il miele dai fiori senza sciuparli, lasciandoli intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non reca pregiudizio ad alcun tipo di vocazione o di occupazione, ma al contrario vi aggiunge bellezza e prestigio.
Tutte le pietre preziose, gettate nel miele, diventano più splendenti, ognuna secondo il proprio colore, così ogni persona si perfeziona nella sua vocazione, se l’unisce alla devozione. La cura della famiglia è rèsa più leggera, l’amore fra marito e moglie più sincero, il servizio del principe più fedele, e tutte le altre occupazioni più soavi e amabili.
E’ un errore, anzi un’eresia, voler escludere l’esercizio della devozione dall’ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati. E’ vero, Filotea, che la devozione puramente contemplativa, monastica e religiosa può essere vissuta solo in questi stati, ma oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di rendere perfetti coloro che vivono in condizioni secolari. Perciò dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta.

ORAZIONE DAL MESSALE

O Dio, tu hai voluto che il santo vescovo Francesco di Sales
si facesse tutto a tutti nella carità apostolica:
concedi anche a noi di testimoniare sempre,
nel servizio dei fratelli, la dolcezza del tuo amore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.


Autore:
Fabio Arduino

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Aggiunto/modificato il 2023-12-11

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