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Sant' Ilario di Poitiers Vescovo e dottore della Chiesa

13 gennaio - Memoria Facoltativa

Poitiers, Francia, 315? - 367

Nato in una famiglia pagana probabilmente nel 315 a Poitiers, subì subito il fascino della filosofia, cercando risposte nel pensiero neoplatonico. Ma la lettura della Bibbia gli fece conoscere il cuore della fede cristiana e lo avviò verso un itinerario di approfondimento destinato a renderlo un "dottore della Chiesa". Subito dopo il Battesimo venne scelto come vescovo di Poitiers e come pastore e studioso s'impegnò a indagare la Verità contro le eresie del tempo, in particolare l'arianesimo. Questo gli costò anche sei anni di esilio, durante i quali continuò i suoi studi, dai quali nacque la sua opera più importante il "De Trinitate". Morì nel 367. Pio IX lo ha proclamato Dottore della Chiesa.

Etimologia: Ilario = gaio, allegro, dal latino

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Sant’Ilario, vescovo e dottore della Chiesa: elevato alla sede di Poitiers in Aquitania, in Francia, sotto l’imperatore Costanzo seguace dell’eresia ariana, difese strenuamente con i suoi scritti la fede nicena sulla Trinità e sulla divinità di Cristo e fu per questo relegato per quattro anni in Frigia; compose anche celeberrimi Commenti ai Salmi e al Vangelo di Matteo.

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Attorno al 300 d.C. si hanno notizie di cristiani a Poitiers, città della Gallia, all’estremità nord-occidentale dell’Imperium di Roma. La quieta città di provincia era nota con il nome di Pictavium. I cristiani erano pochi e venivano dalla gente semplice e umile del popolo. Pochi – pare – si accorgevano di loro.

Un giovane “rinato”
Verso il 315, da ricca famiglia patrizia, tra le più importanti della città, famiglia di stirpe senatoria e di religione pagana, nacque Ilario, il cui nome significa “gioia”. Ricevette fin da bambino istruzione e formazione di un nobile. Non gli mancava nulla per godersi la vita. All’inizio, fu un brillante uomo di mondo. Si sposò e la sua donna gli diede una figlia.
A 30 anni poteva dirsi un uomo realizzato, ma era inquieto, infelice come i letterati e i filosofi di cui leggeva le opere: nel fondo di se stesso, nel fondo di costoro, trovava il pensiero della morte, il non-senso della vita, la sottile melanconia per la fragilità e la fugacità di tutte le cose, per la vita umana che gli pareva inghiottita dal nulla.
Non sappiamo come, ma questo 30enne alla ricerca dell’Assoluto si imbatté nel piccolo gruppo dei cristiani di Poitiers... Racconterà, narrando quel primo incontro: «Il mio spirito agitato e inquieto vide allora brillare un raggio di speranza più vivo di quanto mi aspettassi». Ilario diventò davvero ilare, lieto, gioioso, quando fu folgorato da Gesù Cristo: «Non bisogna intendere – scriverà – che Egli non sia restato Dio, eppure Dio venne nella carne, in nulla diverso da noi, eccetto il peccato. Il mio spirito abbracciò con gioia questa santa dottrina; così la carne mi riconduceva a Dio, la fede mi chiamava a nuova nascita».
Seguì il tempo per conoscere bene il Cristianesimo e stringere amicizia con i cristiani della sua città... e Ilario venne battezzato la notte di Pasqua. Ora è un giovane uomo “rinato” a nuova vita, “dall’acqua e dallo Spirito Santo”, come ha spiegato Gesù a Nicodemo (Gv 3,5).
Il fatto fece grande scalpore a Poitiers, come succede per un avvenimento eccezionale, straordinario. Ma non era finita.
Tra il 345 e il 350, era morto il vescovo di quella piccola comunità cristiana. Allora quegli umili cristiani della Gallia, a una voce sola, acclamarono «Ilario vescovo!». Allo stesso modo in cui, a Milano, acclameranno: «Ambrogio vescovo!», e a Ippona (Africa): «Agostino vescovo!». La moglie e la figlia si fecero da parte e di loro non si seppe più nulla. Ora Ilario poteva essere solo di Cristo, sacerdote e vescovo, l’uomo tutto di Gesù solo.

Il primato della Verità
Il giovane Vescovo, neppure 40enne, si dedicò tutto a predicare Gesù, a Poitiers, così che la sua persona, la sua storia e la sua comunità cristiana diventarono note in tutta la Gallia, oggetto di dibattito e di contraddizione. La Gallia, al suo tempo, era pressoché quasi tutta pagana. Ilario volle portarla a Cristo nella Chiesa Cattolica. Lui per temperamento era un trascinatore, ma Gesù, se lo conosci, diventa subito il “seduttore delle anime” (“Seductor ille”, cf. Mt 27,63).
Molti giovani della comunità Ilario li ordina sacerdoti. Tra loro c’è anche Martino, appena congedatosi dall’esercito. Costruisce case, dove questi novelli sacerdoti facciano vita comune come i monaci e lo aiutino nel portare la Gallia a Cristo. Per farlo, occorre far conoscere Gesù, in una parola dare il primato alla Verità, a Lui che è la Verità. L’annuncio a Gesù è innanzitutto “luce della mente”, e il cristiano non è mai un cretino. Passano sei anni operosi e sereni, fino al 355.
Sono più di 50 anni che nella Chiesa dilaga l’eresia di Ario, che negava la divinità di Gesù, distruggendo il Cristianesimo. Il Concilio di Nicea, guidato da papa Silvestro I e sostenuto dall’imperatore Costantino, aveva condannato Ario e l’arianesimo, promulgando il Credo di Nicea, che riconosce Gesù «Dio da Dio, della sostanza del Padre», il Credo che diciamo nella Messa; ma l’arianesimo era dilagato, anche per l’appoggio di Costanzo imperatore e dei successori di Costantino. I vescovi ariani, che fingevano di essere cattolici, nelle diverse città dell’impero, erano molto numerosi.
Ma in Gallia quasi nulla si sapeva di Ario e dell’eresia ariana, neppure della condanna di Nicea. Non c’erano giornali, tanto meno internet! Solo il vescovo di Treviri, che aveva ospitato il grande sant’Atanasio in uno dei suoi esili di Alessandria d’Egitto dove era vescovo, sapeva. Ilario non ne sapeva nulla, perché “erano stati gli stessi Vangeli e gli Apostoli a insegnargli il Credo di Nicea, la vera fede cattolica”.
Così nel 355, venuto a conoscenza dell’arianesimo che nega «il Figlio di Dio, venuto nella carne» (1Gv 4,2) intraprende furiosa battaglia contro Saturnino, vescovo di Arles e capo dell’arianesimo nella Gallia, che «sotto apparenze cattoliche, minava la Verità e la salvezza di Cristo». Come fanno i modernisti odierni, “i teologi senza Cristo”, che imperversano dappertutto pure oggi.
A Ilario basta la fede, la fede integra: «Così l’ho appresa, così l’ho creduta... Troppo tardi vengono per me gli empi dottori che produce adesso il nostro secolo. La mia fede, nella quale Tu stesso, Gesù, mi ha istruito, non ebbe questi tardivi maestri. Prima che mi si parlasse di loro, io ti ho dato la mia fiducia, e così sono stato rigenerato in Te» (Ilario scrive nel IV secolo, ma sembra che abbia scritto oggi).

La pace è Cristo
Anche dopo la morte di Ario, il suo veleno dilaga nella Chiesa, grazie alla falsità degli imperatori e di molti teologi e vescovi eretici, ma di nascosto: sotto la maschera superficialmente cattolica c’è la negazione di Cristo, uomo-Dio: Valente, Ursazio, Geminio, Gaio, Aussenzio, ecc... si dichiarano cattolici, in realtà sono ariani. Ilario, sulle orme di Atanasio, grida forte: «Tutti gli eretici nell’ora presente rifiutano di ammettere che la loro predicazione è blasfema. Citano la Scrittura, ma non hanno il senso della Scrittura. Senza avere la fede, si appellano alla fede». Così scrive all’imperatore Costanzo.
Cerca di radunare i vescovi della Gallia affinché sconfessino quanto avevano deciso ad Arles, succubi dell’imperatore. Vuole che Atanasio sia riconosciuto difensore della verità cattolica. Costanzo si “imbufalisce” e fa arrestare Ilario e lo manda esule in Asia Minore. La stessa sorte subiscono i vescovi cattolici, quali Eusebio di Vercelli, Osio di Cordova, Lucifero di Cagliari, Paolino di Treviri, Dionigi di Milano. In esilio, Ilario conosce la Chiesa d’Oriente e fa più “baccano” che a Poitiers. Scrive le sue opere più importanti, il De Trinitate, contro gli ariani, e una seconda lettera all’imperatore, nella quale gli rimprovera di aver costretto il papa Liberio a decisioni storte: «Sei un disgraziato».
Gli ariani, come ancora oggi succede, parlano di pace, di “comunione” e accusano Ilario e i vescovi fedeli di fomentare le divisioni: in realtà, come ben sa Ilario, la pace vera esiste solo nella verità: non esiste la pace e l’unione basata sull’eresia, che «questa è pace e unione nella comune rovina» (Pio XI, Mortalium animos, 1928; Pio XII, Humani generis, 1950). Ilario esule prende parte al Concilio di Seleucia e sa del disastro fatto dal sinodo di Nike: il Credo cattolico è spazzato via e gli ariani sembrano aver a spadroneggiare su tutta la Chiesa.
Ilario si fa bruciante: «Che i pastori urlino, perché i mercenari siano dispersi. Le nostre vite, fratelli, offriamole a Dio per le nostre pecore: i ladri sono entrati nella casa, il leone si aggira attorno [...]. Il nostro tempo è peggiore di quello di Nerone. Di fronte a nemici dichiarati sarei stato sicuro di trionfare, perché non ci sarebbe dubbio che costoro sono persecutori... Ma oggi la nostra lotta è contro una persecuzione camuffata, contro un nemico pieno di blandizie, contro Costanzo l’anticristo. Confessa Cristo per negarlo. Dice di preoccuparsi dell’unità della Chiesa, ma impedisce la pace vera! Signore Gesù, costui fa di tutto perché Tu non sia riconosciuto come Dio, uguale al Padre».
In esilio, Ilario è più forte e più influente che nella sua diocesi in Gallia: gli ariani lo definiscono seminatore di discordie e perturbatore dell’Oriente, ma lui sa che «la pace sta solo nel Cristo integro, il Cristo uomo e Dio». Così nel 360 Costanzo lo manda a casa sua a Poitiers, festeggiato dai suoi fedeli e dai suoi preti. A Poitiers ritorna anche il vescovo Martino, che informa Ilario della tragica situazione dell’Italia settentrionale, a causa della malvagità di Aussenzio, vescovo ariano di Milano. Allora Ilario va a Milano e convoca i vescovi italici per deporre Aussenzio, usurpatore della cattedra episcopale. Nel suo Liber contra Auxentium, è quanto mai aspro, ma vero: «Angelo di satana, nemico di Cristo, devastatore di anime, rinnegatore della fede confessata con la menzogna ma oltraggiata con la bestemmia».

“Attenti all’anticristo!”
Gli ariani lo accusano di alimentare divisioni e battaglia dentro la Chiesa. Ilario, come un leone, risponde: «Voi, secondo il bel nome di pace, ci fate scivolare poco a poco nell’unione dell’eresia». Il potere politico della cosiddetta “pace” faceva la sua bandiera per far accettare il suo intervento abusivo nella Chiesa. Ilario non arretra di un millimetro. «Il nome della pace è certo ammirabile, e bello è il pensiero dell’unità – scrive Ilario –, ma chi può dubitare che esista altra pace al di fuori di quella di Cristo? L’unità dell’eresia non è quella di Cristo».
Nonostante tutto, Aussenzio rimane in cattedra sino alla morte (373), quando, chiamato a voce di popolo, gli succederà sant’Ambrogio, il più cristocentrico dei Padri.
Sulla scena politica passano in quegli anni Costanzo, Giuliano l’Apostata, poi Valentiniano... Ilario non teme alcuno, libero e forte in Cristo, e interviene con parole infuocate contro i soprusi del potere e del mondo, parole che hanno un punto fermo, come roccia: «Chiunque nega che tale quale – Dio da Dio – Cristo fu predicato dagli Apostoli, è anticristo». Scontrandosi con la fede cattolica di Atanasio e Ilario e dei loro fedeli, la peste ariana, che sembrava onnipotente, finì polverizzata.
Alla fine del 367, alla buona età di circa 55 anni, Ilario andò a vedere Gesù faccia a faccia. Di lui ci resta un avviso: «Unum moneo: cavete Antechristum!» (Vi do un solo avvertimento: attenti all’Anticristo!), che inciso sul bronzo della verità assoluta ed eterna, scritto con il sangue dei martiri di ieri e di oggi, solo ci avvia alla santità e sfida la storia.

Autore: Paolo Risso

Fonte: www.settimanaleppio.it

  


  

Questo Padre e Dottore della Chiesa nacque a Poitiers, nell'Aquitania, verso il 315, da una distinta famiglia pagana, che gli fece impartire una solida educazione letteraria e filosofica a base neoplatonica. S. Ilario stesso nel trattato De Trinitate l'espone come, agitato dal problema del nostro destino, non ne abbia trovato una risposta soddisfacente nella filosofia pagana, ma soltanto nel prologo del Vangelo di S. Giovanni, in cui è detto che il Verbo disceso dal cielo dona a coloro che lo ricevono il potere di diventare figli di Dio.
Ilario era adulto quando ricevette il battesimo, sposato e padre di una figlia, Abra. Non è improbabile che per la sua vita austera e ferventissima il vescovo della città lo abbia aggregato alla sua chiesa con qualche ordine sacro. È certo però che quando morì, Ilario gli successe nell'episcopato e si sforzò di praticare quanto scriverà più tardi: "La santità senza la scienza non può essere utile che a se stessa. Quando si insegna, occorre che la scienza fornisca un alimento alla parola e che la virtù serva di ornamento alla scienza" (De Trinitate, VIII, l). Attratto dalla fama di lui S. Martino, lasciata, la milizia, venne a mettersi alla scuola acconsentendo a lasciarsi ordinare esorcista.
"Il Santo pastore fu ben presto spinto dalle circostanze a lottare tanto strenuamente contro l'arianesimo da essere considerato l'Atanasio dell'Occidente". Molti vescovi non accettavano la dottrina di Nicea (325) della consustanzialità del Figlio di Dio con il Padre, preferendo insegnare che gli era soltanto simile. Costanzo, figlio di Costantino, pretendeva di fare accettare le loro idee da tutto l'impero, pena l'esilio. Per la difesa dell'ortodossia S. Ilario convocò forse a Parigi nel 355, un'assemblea che scomunicò Valente e Ursacio, ambiziosi vescovi di corte, persecutori di Atanasio, e Saturnino, primate di Arles. che aveva condiviso le loro violenze. Costui e i suoi complici, imbaldanziti dall'indifferenza con cui Giuliano, governatore della Gallia, trattava le dispute dei teologi, si riunirono a Béziers. Per ordine di Costanzo, Ilario dovette prendervi parte, ma avendo ricusato di aderire alla politica religiosa dell'imperatore, fu deportato nel 356 nella Frigia. I vescovi della Gallia, in maggioranza ortodossi, non vollero che un intruso s'impadronisse della sede di Poitiers. Durante il suo esilio S. Ilario poté, difatti, con lettere dirigere la sua chiesa.
Nell'Asia Minore non rimase ozioso. Approfittò del tempo per comporre il suo capolavoro, De Trinitate in 12 libri, per studiare a fondo i problemi dell'oriente con larghezza di vedute, e cercare di ricondurre gli erranti alla fede nicena. "Non ho considerato come un delitto, dirà più tardi, di aver avuto colloqui con loro, anzi, pur rifiutando loro la comunione, di entrare nelle loro case di preghiera e di sperare ciò che si doveva attendere da loro per il bene della pace, allorché aprivamo loro una via al riscatto dei loro errori mediante la penitenza, un ricorso a Cristo mediante l'abbandono dell'anticristo". (Adv. Costant. 2). La stessa sollecitudine per la conciliazione manifesterà nel De Synodis, libro scritto per informare i vescovi della Gallia riguardo alle varie professioni di fede degli orientali.
Il suo esilio durava da quattro anni, quando, nel 359, Costanzo convocò un concilio a Rimini per gli occidentali, e un altro a Seleucia, nell'Isauria, per gli orientali. Ilario vi fu accolto favorevolmente e poté esporre la fede nicena, ma la concordia non fu raggiunta per il malanimo di molti. Dopo il sinodo il santo si portò a Costantinopoli per ottenere da Costanzo il permesso di discutere pubblicamente con Saturnino che era stato la causa del suo esilio, e di comparire nel concilio che si teneva allora nella città imperiale per potervi difendere la fede ortodossa sull'autorità delle Sacre Scritture. Per tutta risposta Costanzo lo rimandò a Poitiers sobillato dagli ariani, i quali, per sbarazzarsi dello scomodo avversario, glielo avevano dipinto "come seminatore di discordia e perturbatore dell'oriente".
A Poitiers Ilario fu accolto in trionfo. Appena seppe del suo ritorno, S. Martino lo raggiunse dal suo ritiro nell'isola Gallinaria (Albenga), e sotto la direzione del suo maestro fondò a Ligugé il più antico monastero della Gallia onde neutralizzare in parte almeno i tristi effetti della eresia.
Ilario ogni tanto andava a visitare i cenobiti per seguire le loro regole e prendere parte ai loro canti. È risaputo che fu egli il primo compositore di inni dell'occidente nell'intento di contrapporsi all'attività poetica degli ariani.
La situazione politica intanto era notevolmente cambiata dal mese di maggio 360, quando i soldati di stanza a Parigi avevano gridato imperatore Giuliano. Ilario ne approfittò con decisione e moderazione per radunare sinodi provinciali, onde confermare nell'ortodossia i vescovi rimasti fedeli, e richiamarvi quelli che avevano sottoscritto per ignoranza o timore formule erronee o compromettenti, come quella del concilio di Rimini. La deposizione di Saturnino di Arles e di Paterno di Périgueux segnò la disfatta dell'arianesimo nell'occidente. La morte di Costanzo (+361) diede un colpo decisivo alla supremazia ariana in Oriente, perché i vescovi furono richiamati dall'esilio, e l'anno dopo S. Atanasio potè radunare ad Alessandria il celebre "concilio dei confessori" e adottare con successo la moderazione del vescovo di Poitiers.
S. Ilario insieme con S. Eusebio, vescovo di Vercelli, combatté pure per due anni l'arianesimo in Italia, e tentò di cacciare dalla sede di Milano, Aussenzio, che il concilio di Parigi del 361 aveva anatematizzato. Questi, nel 364, appellò all'imperatore Valentiniano, allegando i decreti del concilio di Rimini da lui fatti sottoscrivere da tanti vescovi, e accusando i suoi avversari di turbare la pace religiosa. Queste considerazioni impressionarono l'imperatore il quale mantenne Aussenzio nella sua sede, soddisfatto di una professione di fede equivoca che costui aveva fatto alla presenza di dieci vescovi e di alti funzionari. S. Ilario, ricevuto l'ordine di lasciare Milano, scrisse il suo Contra Auxentium per smascherare le ipocrite reticenze di lui e mantenere l'integrità della fede tra il popolo.
Ritiratosi nella sua diocesi, il santo poté dedicarsi ai suoi studi prediletti e al commento dei Salmi, finché lo colse la morte il 1° novembre 367.
Le sue reliquie nel 1562 furono bruciate dagli ugonotti. Pio IX nel 1851 lo proclamò Dottore della Chiesa.


Autore:
Don Guido Pettinati

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Aggiunto/modificato il 2022-01-23

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