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San Pietro Claver Sacerdote

9 settembre - Memoria Facoltativa

Verdu (Spagna), 25 giugno 1580 - Cartagena (Colombia), 8 settembre 1654

Nato a Verdù, a pochi chilometri da Barcellona, il 25 giugno 1580, Pietro Claver entra nella Compagnia di Gesù dopo aver pronunciato i primi voti nel 1604. Tra il 1605 e il 1608 studia filosofia a Palma di Maiorca e viene ordinato sacerdote a Cartagena nel 1616 e, diventato missionario, presta le sue cure pastorali agli schiavi neri, deportati dall'Africa. Qui, infatti, sbarcano migliaia di schiavi, quasi tutti giovani: ma invecchiano e muoiono presto per la fatica e i maltrattamenti; e per l'abbandono quando sono invalidi. In particolare, pronuncia il voto di essere «sempre schiavo degli Etiopi» (all'epoca si chiamavano «etiopi» tutti i neri) e per comprendere i loro problemi impara anche la lingua dell'Angola. Ammalatosi di peste, sopporta perfino i maltrattamenti del suo infermiere, che è un nero. Morto a 74 anni e canonizzato nel 1888 insieme con Alfonso Rodriguez, suo fratello gesuita e amico, è stato proclamato patrono delle missioni per i neri da Papa Leone XIII. 

Patronato: Negri

Etimologia: Pietro = pietra, sasso squadrato, dal latino

Martirologio Romano: San Pietro Claver, sacerdote della Compagnia di Gesù, che, a Cartagena in Colombia si adoperò per oltre quarant’anni con mirabile abnegazione e insigne carità per i neri ridotti in schiavitù, rigenerando di sua mano nel battesimo di Cristo circa trecentomila di loro.
(8 settembre: A Cartagena in Colombia, anniversario della morte di san Pietro Claver, sacerdote, la cui memoria si celebra domani).

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Negli Stati Uniti d’America oggi ci sono tante persone di colore. Essi sono i discendenti degli abitanti dell’Africa che alcuni secoli fa sono stati deportati con la forza: i loro villaggi devastati, vecchi e bambini uccisi, donne e uomini caricati su navi, incatenati, stipati come bestie, frustati, trasportati in condizioni disumane fino in America per essere venduti come schiavi. Essi venivano utilizzati per lavorare nelle immense distese di cotone, tabacco e canna da zucchero o per fare i servi in casa. Un sacerdote spagnolo dedicherà tutta la sua vita a questi poveri sfortunati. «Schiavo dei negri sempre» è il motto di Pietro Claver: la prova della sua devozione ad un popolo di innocenti, vittime del commercio degli schiavi.
Nato a Verdù in Catalogna (Spagna) nel 1580 in una modesta e religiosa famiglia, giovane novizio entra a far parte della “Compagnia di Gesù”. Nel 1604 pronuncia i voti monastici completando gli studi a Palma di Maiorca (Spagna). In questa città conosce Alfonso Rodriguez, umile confratello portinaio. La sua amicizia è fondamentale perché lo aiuta a rivelare a se stesso la sua vocazione di missionario. Infatti è Alfonso che consiglia al timido e insicuro giovane Pietro di farsi inviare nelle colonie americane. Pietro viene ordinato sacerdote nel 1616 a Cartagena (Colombia) dove inizia la sua missione in Sud America. Si dedica ad alleviare le sofferenze degli schiavi sbarcati dalle navi negriere e sottoposti a brutali atrocità da parte degli spietati padroni.
Padre Claver li aiuta, li battezza, dividendo con loro le terribili condizioni in cui sono costretti a vivere. Per la sua veemente difesa a favore dei poveri derelitti, subisce opposizioni e calunnie dai ricchi e potenti mercanti di schiavi che lo accusano di dare l’Eucaristia a chi, secondo loro, non è degno di riceverla. A queste accuse Pietro Claver risponde che sono degni agli occhi del Signore. Aiutato da gruppi di laici e religiosi, Padre Claver continua la sua opera evangelica per quarant’anni. Visita le prigioni portando conforto ai carcerati. Negli ospedali si prende cura anche degli ammalati più gravi, sia bianchi sia neri, li assiste, li conforta, prodigandosi per lenire il loro dolore. Muore di malattia nel 1654 a Cartagena. È patrono delle missioni cattoliche in Africa.

Autore: Mariella Lentini
 


 

Aethiopum semper servus: all’epoca sua si chiamavano “etiopi” tutti i neri. E lui, dicendosi “semper servus”, si impegna a vivere solo per loro. Cioè per i neri d’Africa, portati schiavi nell’America meridionale. Questo è il programma che s’impone Pietro Claver nell’aprile 1622 a Cartagena (Nueva Granada, detta poi Colombia) nel compiere la “professione definitiva”, l’atto che segna per sempre la sua piena appartenenza alla Compagnia di Gesù. Nato presso Barcellona, è entrato da ragazzo nel collegio dei gesuiti. All’università diretta da loro, nella capitale catalana, ha poi fatto gli studi umanistici, pronunciando i primi voti nel 1604.
Nel 1605-1608 ha studiato filosofia a Palma di Maiorca. E qui lo hanno aiutato le “lezioni” del portinaio Alfonso Rodriguez: è un mercante di Segovia che, perduta la famiglia, presta lietamente l’umile servizio al collegio dei gesuiti. Ma col tempo il suo stanzino diventa un’altra aula, e lui un maestro di spiritualità, consultato da sapienti e potenti e soprattutto dai giovani allievi come Pietro Claver. Che esce da quella portineria orientato.
Inizia gli studi di teologia a Barcellona e li completa a Cartagena di Colombia (dove diventa sacerdote nel 1616). Qui sbarcano migliaia di schiavi neri, quasi tutti giovani: ma invecchiano e muoiono presto per la fatica e i maltrattamenti; e per l’abbandono quando sono invalidi. Tra questa umanità la Compagnia di Gesù ha mandato i suoi missionari. Unitosi a loro, Pietro Claver conosce il mondo della sofferenza e della disperazione; discerne la volontà di Dio, che il portinaio di Maiorca gli insegnava a cercare: Dio vuole che egli serva gli schiavi con tutte le sue forze, ogni giorno della sua vita.
Così si ritrova a vivere la loro sofferenza, e a combatterla. Sta con loro per nutrire e per curare, imperturbabile ed efficiente anche nelle situazioni più disgustose. A questa gente che non ha nulla, che non è nulla, insieme al soccorso offre il rispetto. Si sforza di risvegliare in ognuno il senso della sua dignità, senza il quale non potrebbe parlare di Dio e del suo amore. Impara la lingua dell’Angola, parlata da molti di loro, e crea un’équipe di interpreti per le altre lingue. Ma si fa capire anche col suo modo di vivere, che è quello degli schiavi più sfortunati: basta guardarlo per dargli fiducia, credere in lui, confidarsi (e per questo gli si attribuisce il dono della “lettura delle anime”). Basta guardarlo per capire e condividere la devozione che egli predica per Cristo sofferente.
Poi si ammala, forse di peste. Sopravvive, ma senza più forze, trascinandosi allo stesso modo dei vecchi schiavi. Deve sopportare i maltrattamenti del suo infermiere: un nero. Anche in queste cose bisogna scorgere la volontà di Dio. Muore a 74 anni e verrà canonizzato nel 1888, con Alfonso Rodriguez, il fratello portinaio di Maiorca.


Autore:
Domenico Agasso


Fonte:
Famiglia Cristiana

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Aggiunto/modificato il 2023-08-20

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