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Santa Ferbuta Vedova, martire in Persia

5 aprile

† 9 aprile 342

La sua figura di vergine consacrata o vedova, sorella del celebre martire Simeone Bar-Sabbàeé, emerge dalle pagine della Historia Ecclesiastica di Sozomeno, seppur offuscata da imprecisioni e leggende. Accusata di aver avvelenato la regina persiana e condannata a morte con le sue due compagne, subì il martirio tramite la segazione, offrendo la sua vita in testimonianza della fede cristiana. La data del suo martirio, variabile nei diversi martirologi, oscilla tra il 19 marzo e il 5 maggio, mentre il luogo rimane incerto, forse coincidente con la città persiana di Seleucia. La sua storia, intrecciata con quella del fratello e ricca di dettagli curiosi, come la vana speranza della regina di guarire dai malefici passando tra le membra dilaniate delle martiri.

Martirologio Romano: A Seleucia in Persia, santa Ferbuta, vedova, che fu sorella del vescovo san Simeone e sotto il regno di Sabor II subě insieme alla sua serva il martirio.


Ricorre molte volte nei martirologi sia orientali sia occidentali sotto date e nomi diversi: Pherbutha, Thermutha, Thermo, Derphuta, Tartufa, Tbarbo; quest'ultima variante è la più vicina all’originale persiano. Fonte principale, ma assai inquinata, della sua vita è la Historia Ecclesiastica di Sozomeno, cui posteriori commentatori hanno aggiunto altre imprecisioni.
Sorella di san Simeone Bar-Sabbàeé, vescovo di Seleucia-Ctesifonte, uno dei più illustri martiri della persecuzione di Sapore, ucciso probabilmente il 17 aprile 341, secondo Sozomeno e gli scrittori che da lui dipendono, Ferbuta era vergine consacrata a Dio, mentre, secondo le fonti siriache, era vedova, ma egualmente decisa a osservare perfetta castità, come le sue due compagne di martirio, la sorella, talvolta chiamata Mekadosta, ed un'ancella. Con esse fu arrestata sotto l'accusa di aver provocato nella regina una grave malattia con veleni propinatile per vendicare la morte del vescovo Simeone: e l’accusa apparve attendibile in quanto veniva dall’ambiente giudaico della capitale vicino alla regina. Il processo che non si distinse da altri simili contro i cristiani se non forse per le proposte di matrimonio fatte dai giudici alle tre accusate, le quali, naturalmente, le respinsero. Condannate a morte, furono segate in due parti. Per colmo di ludibrio, la regina ammalata fu fatta passare tra quelle membra dilaniate, con la speranza che potesse superare i malefici influssi dei veleni.
Sozomeno pone il martirio il 9 aprile 342, cioè esattamente ad un anno da quello di san Simeone. Quanto al luogo, il citato autore e le altre fonti sembrano indicare una delle città della Persia, nelle quali prendeva sede periodicamente l’aula regia: forse la stessa Seleucia.
I martirologi ricordano il martirio di Ferbuta, con o senza le compagne, in giorni diversi. I Greci lo pongono al 19 marzo, il 4, 5 e 6 aprile; i Siri al 5 maggio e al 19 aprile. Il Martirologio Romano ne inserisce l’elogio in una delle più lunghe serie di martiri di tutto Panno, il 22 aprile («Tarbula, cum pedissequa sua») e forse anche il 20 marzo («Derphuta et soror eius»).


Autore:
Giorgio Eldarov


Fonte:
Bibliotheca Sanctorum

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Aggiunto/modificato il 2018-02-07

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