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San Severino Manlio Boezio Filosofo e martire

23 ottobre

Sec. VI

Anicio Manlio Torquato Severino Boezio per tutti rappresenta spesso solo un paragrafo del manuale di storia della filosofia. Dagli studiosi è visto come il filosofo che sintetizzò il pensiero classico e la cultura cristiana, lasciando l'unica eredità filosofica di rilievo della seconda metà del primo millennio. Boezio nasce a Roma, attorno al 475 da un patrizio della gens Anicia che fu console sotto Odoacre. È senatore a 25 anni e console unico nel 510. Sposa Rusticiana divenendo genero dell'imperatore Simmaco e cognato delle sante Proba e Galla; ebbe due figli che diventeranno consoli nel 522. Collaborò con Teodorico contribuendo a diffondere fra i Goti il pensiero romano e la fede cristiana. La sua integrità lo oppose però a Teodorico stesso che lo condannò ingiustamente. Esiliato a Pavia, fu chiuso da Eusebio, prefetto di quella città, nel battistero della vecchia cattedrale in Agro Calventiano e lì ucciso nel 524. L'opera più famosa di Boezio è quella da lui scritta in carcere nel 523-524: il «De consolatione philosophiae», scritto ben conosciuto, oltre che da Dante, anche dai letterati e dagli umanisti rinascimentali. (Avvenire)

Etimologia: Manlio significa “Mattino” dal latino Mānius e veniva imposto a quei bambini che

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Pavia, commemorazione di san Severino Boezio, martire, che, illustre per la sua cultura e i suoi scritti, mentre era rinchiuso in carcere scrisse un trattato sulla consolazione della filosofia e servė con integritā Dio fino alla morte inflittagli dal re Teodorico.


È cosa ovvia affermare che "tutti gli uomini desiderano sapere" (Aristotele) e che l'oggetto di questa incessante ricerca è la verità: sul mondo (Cosmologia), su Dio (Teologia) su se stessi (Antropologia). Se ogni uomo può essere considerato cercatore della verità, alcuni personaggi della storia assurgono anche a martiri per la verità. Tra questi ricordiamo Severino Boezio. Dante lo chiamava "anima santa" e lo considerava la cerniera tra la cultura romana e la nascente Scolastica. Fu un filosofo dallo straordinario influsso per molti secoli.

La persona è…

Severino Boezio è nato a Roma nel 480 in una famiglia aristocratica. A trent'anni era già un uomo famoso. Si sposò ed ebbe due figli.
Nel 497 l'Italia veniva invasa dagli Ostrogoti di Teodorico. Questi riusciva in un primo tempo a creare un certo equilibrio tra il suo popolo e i Romani. Boezio era tra i Romani colti del tempo che speravano in una progressiva romanizzazione dei "barbari" Goti. Con questa motivazione culturale e civile, cominciò a tradurre i classici (Aristotele, Platone, Porfirio… ecc.), traduzioni che gli diedero una grande notorietà nel Medio Evo. Scrisse inoltre trattati di logica, matematica, musica e teologia. Lo scritto però più rilevante che lo farà famoso sarà il De Consolatione Philosophiae, scritto da condannato a morte. Ma cos'era capitato?
Nel 522 due figli di Boezio erano stati nominati consoli. Qualche tempo dopo però, dovette scontrarsi con alcuni funzionari corrotti: questi per vendetta lo accusarono, ingiustamente, di tradimento. L'imperatore Teodorico (ariano e anticattolico), senza neppure ascoltarlo, lo condannò. Morirà in esilio a Pavia nel 526. Severino moriva ma la sua opera rimase nei secoli. Per esempio: la sua famosa definizione di persona. Eccola: la persona è "una sostanza individuale di natura razionale". In essa si mette in rilievo sia la sostanzialità e l'individualità della persona e quindi il suo essere-in-sé, sia la sua autonomia e razionalità. "La 'persona' vi appare come l'essere di frontiera, che tiene insieme i due mondi, e perciò come la categoria che può essere applicata agli uomini, agli angeli e a Dio, senza escludere una solidarietà col piano degli esseri di altra natura, pur mantenendo la sua irriducibile singolarità" (B. Forte).

Consolato… da Signora Filosofia

L'occasione per scrivere "La Consolazione della Filosofia" fu la sua condanna a morte. Boezio riprende un genere letterario diffuso nell'antichità e cioè ricorrere a un po' di "consolazione filosofica" per affrontare le difficoltà esistenziali. Due 'Signore' lo consolano: Filosofia e Fortuna. Sarà specialmente la prima, nelle sembianze di una maestosa dama, a interrogare, a far ragionare, a consolare il prigioniero. A Boezio che si lamenta per l'esilio ingiusto che subisce Signora Filosofia risponde: "Condannato all'esilio? Nessuno può dirsi in esilio quando è con se stesso. Non mi impressiona l'aspetto del luogo in cui ti trovo, ma lo stato del tuo spirito". Ed un rimprovero: "Invece di misurare quello che hai perduto, perché non consideri quello che ti è rimasto? Perché non confronti la tua vita con quella degli altri?... La ricchezza, le cariche, la fama... sono poi i veri beni?".

Ma che cos'è la felicità?

Ancora Filosofia: "... Ma che cos'è la felicità?". Boezio: "Io direi che la felicità consiste in un bene, posseduto il quale, non se ne desiderano altri". Ma lei gli rinfaccia che non è una definizione completa: mancano certezza e durata. Poi Filosofia dà la definizione: "La Felicità consiste nell'avere tutte queste cose e altre insieme a queste, senza la possibilità di perderle con la certezza di poterle sempre aumentare, se lo si desidera. Ma se questo è vero, la felicità non si può trovare che nell'Infinito, cioè nel Bene sommo, cioè in Dio, per usare un termine d'uso abituale tra noi". E i cattivi? Ecco la risposta originale: "I cattivi dovrebbero essere portati in tribunale non da accusatori sdegnati ma da amici carissimi, proprio come si fa per il malato con il medico". Ultima domanda. Che cos'è la vita dell'uomo? È Filosofia (meglio è Boezio stesso!) che risponde: "La vita è un combattimento e non un gioire tra le delizie o un marcire tra i piaceri. Bisogna dunque che ogni uomo si faccia la propria fortuna…" cioè costruisca se stesso nell'impegno quotidiano. Un ultimo consiglio sulla libertà: "L'uomo è libero quanto più si mantiene legato al piano provvidenziale di Dio ed è tanto meno libero quanto più si lega al corpo e alle sue passioni". Che sia valido ancora oggi?

Autore: Mario Scudu sdb

 


 

Boezio, nato a Roma nel 480 circa dalla nobile stirpe degli Anicii, entrò ancor giovane nella vita pubblica, raggiungendo già a venticinque anni la carica di senatore. Fedele alla tradizione della sua famiglia, si impegnò in politica convinto che si potessero temperare insieme le linee portanti della società romana con i valori dei popoli nuovi. E in questo nuovo tempo dell'incontro delle culture considerò come sua propria missione quella di riconciliare e di mettere insieme queste due culture, la classica romana con la nascente del popolo ostrogoto. Fu così attivo in politica anche sotto Teodorico, che nei primi tempi lo stimava molto. Nonostante questa attività pubblica, Boezio non trascurò gli studi, dedicandosi in particolare all’approfondimento di temi di ordine filosofico-religioso. Ma scrisse anche manuali di aritmetica, di geometria, di musica, di astronomia: tutto con l'intenzione di trasmettere alle nuove generazioni, ai nuovi tempi, la grande cultura greco-romana. In questo ambito, cioè nell’impegno di promuovere l'incontro delle culture, utilizzò le categorie della filosofia greca per proporre la fede cristiana, anche qui in ricerca di una sintesi fra il patrimonio ellenistico-romano e il messaggio evangelico. Proprio per questo, Boezio è stato qualificato come l’ultimo rappresentante della cultura romana antica e il primo degli intellettuali medievali.

La sua opera certamente più nota è il De consolatione philosophiae, che egli compose in carcere per dare un senso alla sua ingiusta detenzione. Era stato infatti accusato di complotto contro il re Teodorico per aver assunto la difesa in giudizio di un amico, il senatore Albino. Ma questo era un pretesto: in realtà Teodorico, ariano e barbaro, sospettava che Boezio avesse simpatie per l’imperatore bizantino Giustiniano. Di fatto, processato e condannato a morte, fu giustiziato il 23 ottobre del 524, a soli 44 anni. Proprio per questa sua drammatica fine, egli può parlare dall’interno della propria esperienza anche all’uomo contemporaneo e soprattutto alle tantissime persone che subiscono la sua stessa sorte a causa dell’ingiustizia presente in tanta parte della ‘giustizia umana’. In quest’opera, nel carcere cerca la consolazione, cerca la luce, cerca la saggezza. E dice di aver saputo distinguere, proprio in questa situazione, tra i beni apparenti – nel carcere essi scompaiono – e i beni veri, come come l’autentica amicizia che anche nel carcere non scompaiono. Il bene più alto è Dio: Boezio imparò – e lo insegna a noi – a non cadere nel fatalismo, che spegne la speranza. Egli ci insegna che non governa il fato, governa la Provvidenza ed essa ha un volto. Con la Provvidenza si può parlare, perché la Provvidenza è Dio. Così, anche nel carcere gli rimane la possibilità della preghiera, del dialogo con Colui che ci salva. Nello stesso tempo, anche in questa situazione egli conserva il senso della bellezza della cultura e richiama l’insegnamento dei grandi filosofi antichi greci e romani come Platone, Aristotile – aveva cominciato a tradurre questi greci in latino - Cicerone, Seneca, ed anche poeti come Tibullo e Virgilio.

La filosofia, nel senso della ricerca della vera saggezza, è secondo Boezio la vera medicina dell’anima (lib. I). D’altra parte, l’uomo può sperimentare l’autentica felicità unicamente nella propria interiorità (lib. II). Per questo, Boezio riesce a trovare un senso nel pensare alla propria tragedia personale alla luce di un testo sapienziale dell’Antico Testamento (Sap 7,30-8,1) che egli cita: “Contro la sapienza la malvagità non può prevalere. Essa si estende da un confine all’altro con forza e governa con bontà eccellente ogni cosa” (Lib. III, 12: PL 63, col. 780). La cosiddetta prosperità dei malvagi, pertanto, si rivela menzognera (lib. IV), e si evidenzia la natura provvidenziale dell’adversa fortuna. Le difficoltà della vita non soltanto rivelano quanto quest’ultima sia effimera e di breve durata, ma si dimostrano perfino utili per individuare e mantenere gli autentici rapporti fra gli uomini. L’adversa fortuna permette infatti di discernere i falsi amici dai veri e fa capire che nulla è più prezioso per l’uomo di un’amicizia vera. Accettare fatalisticamente una condizione di sofferenza è assolutamente pericoloso, aggiunge il credente Boezio, perché “elimina alla radice la possibilità stessa della preghiera e della speranza teologale che stanno alla base del rapporto dell’uomo con Dio” (Lib. V, 3: PL 63, col. 842).

La perorazione finale del De consolatione philosophiae può essere considerata una sintesi dell’intero insegnamento che Boezio rivolge a se stesso e a tutti coloro che si dovessero trovare nelle sue stesse condizioni. Scrive così in carcere: “Combattete dunque i vizi, dedicatevi ad una vita virtuosa orientata dalla speranza che spinge in alto il cuore fino a raggiungere il cielo con le preghiere nutrite di umiltà. L’imposizione che avete subìto può tramutarsi, qualora rifiutiate di mentire, nell’enorme vantaggio di avere sempre davanti agli occhi il giudice supremo che vede e sa come stanno veramente le cose” (Lib. V, 6: PL 63, col. 862). Ogni detenuto, per qualunque motivo sia finito in carcere, intuisce quanto sia pesante questa particolare condizione umana, soprattutto quando essa è abbrutita, come accadde a Boezio, dal ricorso alla tortura. Particolarmente assurda è poi la condizione di chi, ancora come Boezio che la città di Pavia riconosce e celebra nella liturgia come martire della fede, viene torturato a morte senza alcun altro motivo che non sia quello delle proprie convinzioni ideali, politiche e religiose. Boezio, simbolo di un numero immenso di detenuti ingiustamente di tutti i tempi e di tutte le latitudini, è di fatto oggettiva porta di ingresso alla contemplazione del misterioso Crocifisso del Golgota.

Autore: Papa Benedetto XVI (Udienza Generale 12.03.2008)




Manlio è parte integrante del lungo nome del grande filosofo e poeta, cancelliere del re ostrogoto Teodorico: Anicio Manlio Torquato Severino Boezio. Nato a Roma circa il 475 da un patrizio della gens Anicia che fu console sotto Odoacre, è uno dei più grandi rappresentanti della cultura greco-romana nell’età dei regni barbarici, congiungendo nella sua opera, l’eredità del classicismo pagano con gli ideali e il pensiero cristiani, dando un profondo contributo alla formazione della filosofia medioevale.
Fu senatore a 25 anni, console unico nel 510. Sposò Rusticiana divenendo genero dell’imperatore Simmaco e cognato delle sante Proba e Galla; ebbe due figli Simmaco e Boezio che diventeranno consoli nel 522.
Collaborò con Teodorico contribuendo a diffondere fra i Goti l’humanitas romana e cristiana.
L’integrità della sua coscienza lo costrinse ad opporsi ad ingiustizie perpetrate alla corte di Teodorico, difendendo anche il senatore Albino, accusato ingiustamente di tramare contro il re d’accordo con l’imperatore d’Oriente Giustino.
A Verona la difesa dell’accusato lo rese inviso a Teodorico, ormai disposto a vendette sanguinose. Fu accu-
sato a sua volta sulla base di calunnie prezzolate, pertanto fu condannato senza appello dal re, il quale chiese la ratifica della pena ad un senato pauroso e servile. Esiliato a Pavia, fu racchiuso da Eusebio prefetto di quella città, nel battistero della vecchia cattedrale in Agro Calventiano e lì ucciso nel 524.
Dopo la morte di Teodorico avvenuta il 30 agosto 526, il corpo di Boezio fu sepolto a Pavia nella chiesa di s. Pietro in Ciel d’Oro.
Benché non riportato nel ‘Martirologio Romano’, ebbe culto a Pavia almeno dal sec. XIII, la sua festa fu celebrata il 23 ottobre data supposta della sua morte. La dignità di martire e la sua santità furono celebrate anche da Dante nella Divina Commedia (Paradiso, X, versetto 124 e segg.); anche Giosué Carducci nel poetare sulla fine di Teodorico nel Vulcano di Lipari, scorge in cima al monte brillare un’ampia fronte: “sanguinosa in un sorriso / di martirio e di splendor: / di Boezio è il santo viso, / del romano senator”.
L’opera più famosa di Boezio è quella da lui scritta in carcere nel 523-524: il De consolatione philosophiae
in 5 libri che raccolgono la ‘Summa’ delle sue esperienze culturali e umane. Nelle miniature che ornano i
Codici delle sue opere, il santo è raffigurato seduto in cattedra o sdraiato in atto di scrivere con a lato assistito e ‘consolato’ dalla Filosofia, donna bella che reca ricamate nelle sue vesti le lettere greche simbolo della filosofia pratica e teoretica, unita fra loro da una scala.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto/modificato il 2016-12-15

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