Figlia illegittima di Giulio Cesare Da Varano signore di Camerino, Camilla nacque il 9 aprile 1458 e crebbe a corte sotto lo sguardo di Giovanna Malatesti sposa del “magnifico signore”.
Molte notizie della sua vita le ha descritte lei stessa in una lunga lettera autobiografica (conosciuta come Vita spirituale) diretta al francescano Domenico da Leonessa che indirettamente aveva fatto iniziare il suo cammino interiore quando, predicando a Camerino il venerdì santo del 1466 o 1468 e descrivendo la Passione di Gesù, colpì la fantasia della bambina che poco tempo dopo fece voto di piangere almeno una lacrima ogni venerdì sulla Passione di Cristo, secondo l’esortazione del predicatore. Però quanto dapprima sembrava un gioco, le costò sempre più fatica, perché la ragazza, educata in lettere antiche e moderne, confesserà che si sentiva più incline al canto, alla danza e agli svaghi che a devozioni e pie letture e la vista di persone consacrate la irritava. Solo la sua indomita volontà supplì l’entusiasmo perduto per la preghiera del venerdì: «Beata quella creatura che per nessuna tentazione tralascia il bene incominciato!», dirà poi. Così pian piano la lacrima produsse preghiera, meditazione, digiuno e impegno ad evitare almeno il venerdì qualche difetto, però confessa: «facevo tutto questo bene non solo per aver premio in cielo, ma molto più in terra [...] Intensificavo la preghiera per timore dell’inferno».
Sui diciotto anni d’età cominciò a sentire interiormente l’invito a farsi suora, ciò le ripugnava perché «non si sentiva il cuore libero da alcune passioni, di cui deve essere totalmente libero chi veramente vuol servire Dio». Nonostante il contrasto, perseverò nella preghiera da cui ritraeva «una certa tranquillità e pace»; la resistenza all’invito divino cessò un venerdì e, dopo un forte conflitto psico-fisico da farla abbondantemente sudare, la ventunenne Camilla decise di offrire la vita a Cristo, il quale iniziò subito a ricolmarla di straordinarie esperienze mistiche. Ma iniziò l’opposizione paterna durata due anni e mezzo e fatta di lusinghe, minacce, prigione: in questo tempo di combattimento Camilla ebbe la visione di Gesù che esce dal suo cuore e le cammina davanti e quella del suo nome scritto sul cuore di Cristo: «Io ti amo, Camilla».
Il 14 novembre 1481 poté entrare nel monastero delle Sorelle Povere di santa Chiara a Urbino, assumendo il nome di suor Battista. Durante il noviziato appuntò le parole udite da Cristo fino allora, riscrivendole nel 1491: è l’opera I ricordi di Gesù.
Per disposizione dei superiori, con otto consorelle lasciò Urbino per il nuovo monastero di Camerino che lei volle fondato sulla Regola di santa Chiara senza attenuanti e dove entrò il 4 gennaio 1484. Si susseguirono altri doni straordinari dello Sposo divino di cui parla nell’Autobiografia: illuminazioni interiori, estasi che l’immergevano nelle profondità divine, visioni di angeli, di santa Chiara e di santa Caterina da Bologna, ecc. Per cinque anni suor Battista contemplò i piedi crocifissi di Cristo che poté abbracciare e baciare con amore e devozione. Di tutte queste grazie lei scrive: «È meglio parlare poco del molto che del poco dire troppo».
Nell’anno di permanenza al monastero di Urbino il Signore le aveva rivelato le sofferenze provate nel cuore durante la passione, che diventarono l’argomento principe della meditazione di Camilla Battista. Poco prima dell’agosto 1488 lei ebbe un’insistente ispirazione a mettere sulla carta quelle rivelazioni e Cristo stesso le suggerì l’artificio dell’anonimato. Così suor Battista finge di averne sentito parlare da una suora di Urbino. I dolori mentali di Gesù nella sua Passione è la più nota opera della santa che scrive: essendo Gesù persona divina, l’amore del suo cuore era infinito, di conseguenza non ebbero limite anche i suoi dolori interiori (mentali), raggiungendo il culmine nell’agonia del Getzemani, perciò dice: come chi si accontenta di una goccia di miele all’esterno di un vaso non sa quanto è racchiuso all’interno, così chi meditando si ferma al dolore fisico del Signore non comprenderà l’infinita sofferenza che Egli provò nel cuore. Lei aveva deciso di «entrare nel sacratissimo Cuore di Gesù e di annegare nell’oceano delle sue acerbissime sofferenze», come pure che «tutti i giorni dell’anno fossero per lei come un Venerdì Santo». Dietro sua insistenza e secondo quanto le era stato promesso, Gesù glieli fece assaporare dall’ottobre 1488 al 1493 attraverso il silenzio di Dio, una presenza-assenza di Colui che era l’unico motivo della sua vita, per lei esperienza angosciante, simile all’abbandono che Cristo stesso aveva provato nella sua passione.
Poco tempo dopo Camilla Battista provò un altro genere di sofferenze. Nel 1502 Cesare Borgia detto il Valentino, figlio di papa Alessandro VI, aveva iniziato a spodestare i signorotti del territorio pontificio per renderlo tutto direttamente soggetto al governo pontificio. A Camerino Giulio Cesare da Varano preparò la difesa insieme ai figli Venanzio, Annibale e Pirro, dopo aver inviato a Venezia il figlio minore Giovanni Maria con la madre e il tesoro di stato per salvare la dinastia e aver fatto partire l’amata Camilla con una consorella alla volta di Fermo. Non accolta, Camilla Battista proseguì per il regno di Napoli e ad Atri fu ospitata da Isabella Piccolomini moglie del duca Matteo Acquaviva Aragona. Intanto il 21 luglio a Camerino Giulio Cesare e i figli furono fatti prigionieri e il 9 ottobre trucidati il primo nella fortezza di Pergola e gli altri nella torre di Cattolica. Ferita nei sentimenti naturali,lei trovò rifugio nel Cuore del suo amatissimo Sposo. Dopo la morte di Alessandro VI (18 settembre 1503), Giovanni Maria da Varano restaurava la signoria a Camerino non senza vendette sui nemici, vi tornò anche la sorella che di tutte le dolorose vicende mai disse una parola di riprovazione.
Più volte nel suo monastero, oltre che vicaria, fu eletta abbadessa dalle consorelle che l’amavano e delle quali “lei pensava sempre bene e ne scusava i difetti”, come scrive il testimone Antonio da Segovia, monaco olivetano che riporta questa preghiera di Camilla Battista: “Quando sentirò di avere questa grazia, cioè fare del bene con perfetto cuore a chi mi fa male, dire bene e lodare senza ipocrisia chi so che dice male di me e a torto mi biasima, allora Padre dolcissimo mi riterrò tua vera figlia per la reale conformità fra me e il tuo dolcissimo figlio Cristo Gesù crocifisso, unico bene dell’anima mia”.
Camilla Battista continuò ad avanzare nella via della perfezione con un’eroica amore verso Dio, pur affermando nelle sue opere che l’uomo è incapace di corrispondere all’infinita carità di Dio che si china verso le vilissime creature, tanto che lei, dopo una straordinaria illuminazione interiore, aveva esclamato: «O pazzia, o pazzia! Nessun vocabolo mi pareva più vero e conveniente a tanto amore». Di conseguenza lei stessa si stimava degna dell’inferno e di essere posta sotto i piedi di Giuda, ma con evidente paradosso aggiungeva: «Purché là ti ami, mio Dio!». Una volta ebbe la transverberazione: «Mentre entravo in chiesa per la celebrazione del vespro, guardai verso il Santo Sacramento e mi parve che da quello ne uscisse una saetta che mi ferì il cuore di amore divino».
Coltivò pure un amore alla più alta povertà personale e comunitaria. Sempre aperta verso ogni necessità altrui, da Giulio II fu inviata a fondare il monastero delle Clarisse di Fermo (1505-1506); per circa dieci mesi (1521-1522) si fermò nella città di Sanseverino Marche dove, secondo una fondata ipotesi, si adoperò per plasmare la nuova comunità di Clarisse; scrisse lettere per incoraggiare o consigliare monache e laici o per intercedere in favore di due camerti condannati a morte. Una sua consorella attesta che suor Battista era “talmente assorta dallo zelo delle anime che si sentiva ardere e non aveva altra consolazione né altro pasto se non questo e quando parlava della salvezza delle anime sembrava che languisse”, inoltre afferma che suor Battista “spesso ardeva talmente per il desiderio di rinnovamento della Chiesa da non poter dormire o mangiare né ascoltare chi le parlava, in modo che alle volte per questo si ammalava gravemente”: era il tempo in cui la Chiesa di Cristo manifestava un rilassamento di costumi che nel 1517 aveva indotto Martin Lutero al distacco dalla Chiesa romana. Verso il 1521, su richiesta di un religioso, scrisse l’opera La purità del cuore, sublime itinerario di perfezione che ci comunica la sua straordinaria esperienza di vita. Vi leggiamo tra l’altro: «I guardiani della città sono i prelati che hanno il dovere della cura delle anime, che sono la bella città di Dio […] Questi prelati indiscreti sono sì guardiani delle mura cerimoniali ma non delle mura dei buoni e santi costumi. Guai a tali prelati che dissipano il gregge del Signore!», ma la conclusione fa di Camilla Battista un’illuminata amante della Chiesa della quale brama la “renovazione” suggerendone il mezzo: «Dio, con somma e stabile provvidenza, lascia che avvengano queste cose che non tocca a noi poveri uomini giudicare. Non per questo dobbiamo smettere di onorare tali prelati, anzi dobbiamo frequentemente pregare per loro […] e l’orazione per loro tornerà a beneficio proprio».
Camilla Battista, che aveva ardentemente desiderato di morire per essere con Cristo, fu accolta nella gloria di Dio il 31 maggio 1524 durante un’epidemia di peste.
Riconosciuto da Gregorio XVI nel 1843 il culto ininterrotto a lei attribuito, nel 1891 Leone XIII approvò gli atti del processo che, in vista della canonizzazione, si era svolto presso la Curia Arcivescovile di Camerino e nel 1893 approvò i suoi scritti. Benedetto XVI l’ha canonizzata il 17 ottobre 2010.
Autore: Silvano Bracci
Figlia del principe Giulio Cesare Da Varano, signore di Camerino, sostenitore delle arti, abile nelle armi, buon diplomatico, generoso con il popolo, vendicativo con i nemici e dedito alle avventure sentimentali.
Il principe a vent’anni si era sposato con la dodicenne Giovanna, figlia di Sigismondo Malatesta di Rimini, dalla quale ebbe successivamente tre figli, ma come già detto, non disdegnando altri legami amorosi, aveva avuto altri cinque figli illegittimi, i quali comunque furono educati a corte insieme agli altri tre.
Ed è dall’unione con la nobildonna Cecchina di Mastro Giacomo che nacque Camilla il 9 aprile 1458, primogenita di tutti i figli. Cresciuta ed educata nel palazzo paterno, essa assimilò anche lo spirito guerriero del padre, dedicando il suo tempo alle gioie giovanili come suonare, ballare, cantare e fare pazzie, così come lo racconta lei stessa nella sua autobiografia.
Aveva da bambina fatto un voto, dopo aver ascoltato una predica del francescano Domenico da Leonessa, ed era quello di versare una lacrima ogni venerdì in ricordo della Passione di Gesù. Ma questo voto mal si conciliava con la vita frivola e gioiosa che conduceva, perciò quando non le riusciva di versarla, ci rimaneva male per tutta la settimana, ma poi crescendo e leggendo libri spirituali, tale pratica le riuscì facilmente, tanto da essere punzecchiata dall’ironia degli altri.
Diciottenne pensò di ritirarsi a vita religiosa, ma in lei si accese una lotta, perché si sentiva attratta anche dalla vita gaudente e mondana, ma passate e vinte le tentazioni, decise per il chiostro. Qui sorsero però le difficoltà da parte del padre, il quale negò con caparbietà l’assenso, Camilla si ammalò per sette mesi, non accettando la volontà paterna che la osteggiava in ogni modo.
Passarono così due anni, ricevendo anche visioni celestiali, perché aveva ormai raggiunto una maturità e intensità spirituale verso Cristo; alla fine il principe acconsentì e il 14 novembre 1481, poté vestire l’abito francescano nel monastero di s. Chiara di Urbino, prendendo il nome di suor Battista. Il principe suo padre non si arrese alla lontananza e dopo aver comprato il monastero degli Olivetani, vicino Camerino, lo donò alle autorità francescane per farne un convento di clarisse, il cui nucleo doveva venire da Urbino.
Suor Battista fu una delle nove suore prescelte e il 4 gennaio 1484, sotto una grossa nevicata, fecero il loro ingresso con il concorso del popolo e di tutta la corte del principe.
Seguirono anni di grande misticismo, la Passione di Cristo continuò ad essere il suo punto di riferimento, specie sui dolori del suo Cuore umano-divino, i suoi elevati pensieri mistici, li scrisse in un libro “I dolori mentali di Gesù nella sua passione”, che divenne la guida per le meditazioni di futuri grandi santi.
Nei 1502 Cesare Borgia, chiamato ‘duca Valentino’, nell’intento di unificare l’intero territorio pontificio sotto il governo del papa Alessandro VI, suo padre, attaccava con la forza quelle Signorie locali, che non si sottomettevano volontariamente.
Il principe Da Varano mise al sicuro il figlio minore a Venezia con le donne, mentre con gli altri figli organizzava la resistenza di Camerino. Suor Battista, insieme ad un’altra consorella di nobile casato, dovette fuggire prima a Fermo e poi nel Regno di Napoli ad Atri, lì le raggiunsero le notizie che Cesare Borgia aveva fatto strangolare il padre a Pergola e il giorno dopo i suoi fratelli Annibale, Pirro e Venanzio nella rocca di Cattolica.
Passata la bufera dei Borgia al potere, suor Battista ritornò a Camerino, in cui era stata ripristinata la Signoria Da Varano con il giovane fratello Giovanni Maria e lì rimase fino alla morte come badessa, divenendo un punto di riferimento per tutti, autorità civili e religiose ed elevandosi sempre più nell’unione intima con Dio.
Camilla Battista morì a Camerino il 31 maggio 1524, durante un’epidemia di peste, i funerali si svolsero nel cortile del palazzo paterno..
Papa Gregorio XVI ne ha riconosciuto il culto e il titolo di beata il 7 aprile 1843, Benedetto XVI l’ha iscritta nel canone dei santi il 17 ottobre 2010.
Autore: Antonio Borrelli
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