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Beato Jacopo (Iacopone) da Todi Francescano

25 dicembre

Todi, 1236 c. - 25 dicembre 1306


Il suo vero nome era Jacopo de’ Benedetti, ed era nato a Todi intorno al 1230 da una nobile famiglia. Studiò giurisprudenza a Bologna, dopodiché intraprese la carriera notarile (secondo altre fonti fu invece procuratore legale) nella sua città.
Intorno al 1267 sposò una giovane nobildonna, Vanna di Bernardino di Guidone, della famiglia dei conti di Colmezzo. Questa prima fase della sua vita fu improntata al lusso e al divertimento: feste e banchetti si susseguivano senza sosta.

Dal lusso alla più ferrea penitenza

Ma nel 1268 accadde un fatto che mutò radicalmente la sua esistenza, orientandola verso un cambiamento profondo, verso la conversione. La leggenda narra che, a causa del crollo improvviso di un pavimento durante una festa che si stava svolgendo in un’aristocratica dimora di Todi, perse la vita la giovane moglie di Jacopone, che stava ballando. Avvisato dell’accaduto, egli si precipitò sul luogo dell’incidente e rimase profondamente sconvolto non solo per la grave improvvisa perdita, ma anche per aver scoperto che la moglie, sotto le lussuose vesti, portava, all’insaputa di tutti, un cilicio.
Al di là della credibilità di tale racconto, tutti concordano nell’affermare che la conversione di Jacopone avvenne dopo la morte della giovane moglie. Egli infatti, abbandonato il lavoro e le persone che fino ad allora lo avevano circondato ed elargite tutte le sue ricchezze ai poveri, iniziò un cammino di pubblica penitenza e umiliazione.
Di questo periodo della sua vita si narrano vicende quasi incredibili, al limite della follia: pare che a un convivio giunse carponi e gravato di un basto d’asino, e che alle nozze del fratello si presentò nudo, spalmato di grasso e ricoperto di piume.
Per dieci anni visse nel rigore più severo; poi, nel 1278, chiese di entrare nell’Ordine dei Frati Minori, nel quale fu ammesso dopo qualche iniziale diffidenza. Fu frate laico nel convento di  Pontanelli, presso Terni, e qui si immerse nello studio della filosofia e della teologia.

Nei Frati Minori

In questo periodo l’Ordine francescano stava attraversando un momento assai delicato, a causa dello scontro tra la fazione dei Conventuali, sostenuti da Papa Bonifacio VIII, che volevano attenuare il rigore della Regola di San Francesco, e gli Spirituali, che premevano perché venisse mantenuto intatto l’originario rigoroso spirito del Poverello.
Nel 1294 un gruppo di zelanti marchigiani chiese un riconoscimento ufficiale al neo-eletto Papa Pietro da Morrone, un ex-eremita salito al soglio pontificio col nome di Celestino V. Gli Spirituali lo vedevano come la guida che avrebbe dovuto purificare la Chiesa.
Jacopone si era schierato con l’ala rigorista e fu tra i firmatari della richiesta a Papa Celestino. Il pontefice risolse la questione collocando il gruppo in un nuovo Ordine. Ma il nuovo Papa si rivelò ben presto incapace di soddisfare le attese: privo di autonomia e inadeguato al ruolo, si dimise. Al suo posto fu nominato Bonifacio VIII, contro il quale si manifestò subito l’antipatia degli Spirituali francescani.
Bonifacio fu visto come una specie di usurpatore, e il fatto che avesse obbligato Celestino alla permanenza presso la corte papale e infine lo avesse  rinchiuso nel castello di Fumone, in Ciociaria, sicuramente acuì queste antipatie.
Inoltre il nuovo papa, di carattere opposto al predecessore, ovvero molto abile e particolarmente sicuro di sé, revocò i provvedimenti presi da Celestino a favore dei dissidenti marchigiani. Jacopone, insieme ai cardinali Jacopo e Pietro Colonna, dichiarò priva di validità l’elezione di Bonifacio VIII.

Carcerato e scomunicato

Il Papa scomunicò i Colonna e assediò Palestrina, la loro sede. Qui si trovava anche il Nostro, che subì la stessa sorte dei due cardinali. Quando la cittadina capitolò, nel 1298, Jacopone fu incarcerato e condannato alla prigionia conventuale perpetua.
I sacrifici, anzi gli stenti della reclusione non erano per lui molesti; ma con l’avanzare dell’età cominciò a sentirne il peso; così si appellò al Papa, chiedendogli la revoca della scomunica. Era il 1300, l’anno del grande Giubileo, ma nonostante questo il pontefice non perdonò Jacopone, che dovette restare in cella tra malattie e sofferenze. Nel 1303 Bonifacio VIII morì e il suo successore, Benedetto XI, ritirò la scomunica e concesse la libertà a Jacopone, che, gravemente malato, si spense nel dicembre del 1306.

Il poeta e le sue Laudi

Iacopone, il più famoso cittadino tuderte, è autore di numerose opere, tra cui spiccano le Laudi, componimenti tipici del periodo in cui egli visse. In esse traspare tutta la sua ricchissima esperienza religiosa, che si basa sull’analisi sincera e spassionata di se stesso, della propria condizione di credente e di peccatore.
Il motivo di fondo della sua produzione poetica è la contemplazione della miseria umana, che deve sollecitare il cristiano a praticare una forte disciplina ascetica. In ogni composizione è presente una struttura drammatica o dialogica, che propone costantemente il tema del contrasto tra anima e corpo, vita e morte, pietà e peccato.
Il discorso poetico è sempre inquieto, la lauda procede attraverso ripensamenti, ripiegamenti, interrogazioni, invettive. Nel suo complesso, l’opera di Jacopone è caratterizzata da una visione dolorosa della vita, forse anche in conseguenza di tutte le sventure che segnarono l’intera esistenza di questo significativo protagonista del Medioevo religioso e letterario italiano.

Autore: Maurizio Schoepflin
 




Jacopo di Benedetto nacque in Todi, verso il 1236. Compiuti, forse a Bologna, gli studi giuridici, esercitò in patria la professione di notaio e di procuratore (si noti nella Lauda XIV il verso: "Pro un becchieri una vultura") Sposò tra il 1265 e il 1267 Vanna di Bernardino di Guidone dei conti di Coldimezzo, nipote di suor Francesca compagna di s. Chiara. L'improvvisa tragica morte della giovane sposa, la quale nascondeva sotto le vesti eleganti un cilicio, costituí un motivo di rottura, già predisposto dalla grazia, tra la vita mondana di ser Iacopo e la ricerca della religiosa perfezione. Si spiegano cosiì nel primo decennio della conversione, stranezze, sia pure esagerate, conciliabili, secondo la tendenza mirifica degli agiografi, col temperamento proclive all'estremismo e, comunque, consono alla "santa pazzia", logica conseguenza della "follia della croce". Quel decennio in cui fu " bizzocone ", ossia terziario francescano, è caratterizzato da atteggiamenti di vita individualistica e dall'impegno ascetico, avendo egli del messaggio serafico colto, in principio, piuttosto la parte negativa, della rinuncia e dell'austerità, che non la novità costruttiva e profondamente mistica del gioioso senso cosmico dell'incarnazione, cui giunse piú tardi.
Nel 1278 fu ricevuto nell'Ordine dei Minori come frate laico; tuttavia in un documento inedito di Matteo d'Acquasparta, allora ministro generale, rogato ad Assisi nel 1287, si cita la presenza dei testimoni "fratris Jacobi de Tuderto, fratris Rainaldi de Tuderto lectorum"; di piú, il 7 novembre 1287 e il 15 marzo 1289, figura, con fra Lorenzo da Todi, come cappellano del card. Bentivenga, vescovo di Albano; ed il b. Bernardino da Feltre, tra numerose citazioni di passi del poeta, affermò di lui: "B. Jacoponus, semel vocatus coram Romana curia ut faceret sermonem...".
Fra Iacopone aderí al movimento allora vivacissimo degli Spirituali e forse al gruppo autonomo autorizzato da Celestino V, sebbene egli presagisse difficile l'adattamento dell'eremita di Monte Morrone all'arduo compito pontificio (cf. Lauda LIV). Il 10 maggio 1297 Iacopone firmò il manifesto di Lunghezza dei cardinali Giacomo e Pietro Colonna contro Bonifacio VIII e, dopo la caduta di Palestrina (sett. 1298), scomunicato, fu processato e rinchiuso in una sotterranea prigione conventuale, descritta, non senza umorismo, nella Lauda LV. Tale Lauda dimostra la rassegnazione alle pene fisiche ed insieme l'angoscia per la scomunica, dalla quale non ottenne l'assoluzione neppure nel giubileo del 1300, ma solo gli fu concessa da Benedetto XI, eletto il 22 ottobre 1303. Liberato dal carcere, trascorse gli ultimi tre anni non nel patrio convento di S. Fortunato, ma nell'ospizio dei frati presso il monastero di S. Lorenzo a Collazzone, dove spirò piamente la notte di Natale, confortato dai sacramenti, somministratigli dall'amico fra Giovanni della Verna o da Fermo.
Subito dopo morte il corpo di Iacopone fu portato da Collazzone a Todi, nel monastero di Montecristo, proprietà delle Clarisse che i biografi, per l'assonanza dei nomi, hanno confuso con Montesanto; cosí nel 1385 Bartolomeo da Pisa scriveva: " In Tuderto, non in loco fratrum, sed in monasterio S. Clarae de Monte Sancto iacet sanctus frater Tacobus Benedictoli, qui dicitur fr. Jacobus de Tuderto".
Nel gennaio 1433 il vescovo di Todi, Antonio da Anagni, fatta la ricognizione delle ossa, ed espostele a venerazione nella vicina chiesa dell'Ospedale della Carità, le trasferí processionalmente a S. Fortunato, in una cassa lignea recante l'immagine raggiata. Nel 1596, a cura del vescovo Angelo Cesi, i resti vennero posti in un sarcofago di marmo con.busto del beato ed epitafio del Possevino (autore anche di una Vita); mentre il capo, in reliquiario, fu collocato tra le reliquie dei cinque santi martiri, protettori di Todi: Fortunato, Callisto, Cassiano, Degna e Romana, che si trovavano nella cripta di quella chiesa. Onori di culto si tributavano annualmente a Iacopone anche in cattedrale e nella chiesa di S. Terenziano, e inoltre a Collazzone, Montecastrilli, Collevalenza, Pontacuti, Santa Maria in Camucia, Montecristo, nella chiesa della Concezione e nei monasteri delle Servite della S.ma Annunziata, delle Clarisse di S. Francesco, delle Benedettine dette le "Milizie". Per disposizione testamentaria (19 dicembre 1631) di Costanza Benedettoni, della famiglia che si riteneva consanguinea di Iacopone, si fece ardere in perpetuo una lampada davanti al sepolcro del beato (cf. Strumento degli eredi, 22 apr. 1655); ve la trovò mons. Formeliari nella sua visita e l'uso perdurava ancora nel 1868.
Nel 1595 il vescovo Cesi avanzò richiesta di celebrare l'Ufficio di Iacopone, ma dal Baronio, che pur lodava l'epitafio, ebbe risposta negativa, mancando al titolo di beato il riconoscimento della S. Sede. Il 28 maggio 1618 il consiglio comunale decretava di rinnovare la petizione, di cui non si conosce l'esito. Il Wadding, pubblicando nel 1634 il vol. VI degli Annales, annotava l'errore nella data di morte fatto dal Possevino (25 marzo 1296, che potrebbe sospettarsi voluto per scagionare Iacopone dalle accuse di ribellione contro Bonifacio VIII) e scriveva che: "memoria eius requiritur de generatione in generat?onem, cu? sacros honores universus populus attribuit". Il legato del 7 sett. 1775 di Carlo Dionisio Battisti, perugino, a Girolamo e Giacomo Benedettoni "ad promovendam canonizationem B. Jacoponis" venne piú tardi commutato in cappellanie di Messe (Pio VII, 6 sett. 1801).
Nel 1868 si avviò dalla postulazione dei Frati Minori un serio tentativo di introdurre la causa, ma esso non ebbe seguito. P. Luigi da Costamolle con lettera del 12 settembre 1869 suggeriva una "via di disincaglio" per l'ostacolo costituito dalle invettive di Iacopone contro il papa Caetani, composte "nel bollore della passione, mentre molti autori e personaggi di dottrina tenevano per nulla l'elezione di Bonifacio" e richiamava "i cantici di penitenza, la morte preziosissima, il culto susseguente amplissimo gloriosissimo".
Oggi, distinguendosi serenamente tra potestà spirituale del papato e potere temporale, e riconosciuta l'ortodossia di Dante, non vi sarebbe neppure bisogno di appigliarsi ad una presunta apocrificità di quel gruppo di Laudi, per spianare la via al riconoscimento dell'anulata tradizione del culto del b. Iacopone.
Nel Martirologio Francescano, Iacopone figura al 25 dicembre.


Autore:
Fausta Casolini


Fonte:
Bibliotheca Sanctorum

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Aggiunto/modificato il 2013-01-17

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