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Beato Pietro Donders Sacerdote redentorista

14 gennaio

Tilburg, Olanda, 27 ottobre 1809 - Batavia, Guyana Olandese, 14 gennaio 1887

Figlio di un tessitore di lana, a 32 anni venne ordinato sacerdote. Nel 1842 lasciò l’Olanda per raggiungere la Guyana olandese o Surinam, per lavorare poi tutta la vita nell’attività apostolica a favore degli ultimi, compresi i lebbrosi. Nel 1865 il Vicariato Apostolico della Guyana Olandese fu affidato alla Congregazione dei Redentoristi e padre Donders chiese di venirne ammesso e il 27 giugno 1867 emise i voti perpetui, ritornando poi tra i suoi amati lebbrosi con cui già lavorava instancabilmente dal 1856. La sua vita interiore era intessuta dalla preghiera e dalla penitenza, interrompeva spesso il sonno notturno per dedicare un’ora alla preghiera in ginocchio davanti al tabernacolo; dormiva su un asse di legno e usava la “disciplina” almeno una volta al giorno. La sua meravigliosa carità verso il prossimo gli procurò già in vita la fama di santità. Dopo quasi 45 anni vissuti sotto il sole tropicale, morì a Batavia nella colonia dei lebbrosi il 14 gennaio 1887; la sua tomba si trova attualmente nella cattedrale di Paramaribo. È stato beatificato da San Giovanni Paolo II il 23 maggio 1982.

Martirologio Romano: A Batavia nel Suriname, beato Pietro Donders, sacerdote della Congregazione del Santissimo Redentore, che con carità instancabile si prese cura dei corpi e delle anime dei lebbrosi.


L'uomo non può vivere senza amore. L'amore è la forza fondamentale che anima tutte le altre energie. Per questo Dio, suo Creatore, gli propone una vita d'amore. «La ragione più alta della dignità dell'uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l'uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perchè, creato per amore da Dio, da lui sempre per amore è conservato, nè vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e se non si affida al suo Creatore» (Concilio Ecum. Vaticano II, Gaudium et spes, 19, 1).

Laudato Sii!

Ma da che cosa si riconosce l'amore? Sant'Ignazio di Loyola fa notare che «l'amore sta nel reciproco scambio dei beni. Da un lato, la persona che ama dà e trasmette a quella che è amata ciò che ha, o parte di ciò che ha, o quel che può dare e trasmettere; dall'altro, la persona che è amata agisce nello stesso modo nei riguardi di quella che la ama. Se una ha cognizioni, le comunica a quella che non ne ha; lo stesso vale per gli onori e le ricchezze, e viceversa» (Esercizi Spirituali, 231).
Dio, eterna beatitudine, vita immortale, luce senza tramonto, vuol trasmettere agli uomini la gloria della propria vita beata. Questo disegno divino si manifesta nell'opera della creazione e dell'elevazione alla grazia, ma soprattutto in quella della Redenzione, dopo la caduta dell'uomo.
Già le magnificenze del creato ci manifestano l'amore di Dio e, con San Francesco d'Assisi, ci invitano alla lode:
«Laudato si, mi Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo quale jorna, et illumini per lui; et ellu è bellu e radiante cum grande splendore; de Te, Altissimo, porta significatione...
Laudato si, mi Signore, per sora luna e le stelle; in celu l'ai formate clarite et pretiose et belle!
Laudato si, mi Signore, per frate vento et per aere et nubilo...
Laudato si, mi Signore, per sor' acqua, la quale è multo utile, et humele, et pretiosa et casta...
Laudato si, mi Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bellu, et jucundo, et robustoso et forte!
Laudato si, mi Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta e governa, e produce diversi fructi, con coloriti fiori et herba...
Laudate et benedicete mi Signore, e rengratiate, e serviteli cum grande humilitate!»

Amo il Padre

Per conquistarci pienamente il cuore, non è bastato all'amore di un Dio immetterci nel possesso delle meraviglie dell'universo, Egli è giunto al dono totale di Se stesso. Infatti, il Padre celeste ci ha dato il suo proprio Figlio: In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo perchè noi avessimo la vita per lui (1 Giov. 4, 9). Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unigenito Figlio, perchè chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna (Giov. 3, 16). Dandoci suo Figlio, ci dà tutti i beni possibili: la sua grazia, il suo amore e il paradiso. Ma è andato oltre: ha permesso che suo Figlio morisse sulla croce per i nostri peccati: In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi ed ha mandato suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati (1 Giov. 4, 10). Dio dimostra il suo amore verso di noi, perchè, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi (Rom. 5, 8).
Dal canto suo, il Figlio asseconda perfettamente le intenzioni del Padre. Dal primo istante della sua Incarnazione, abbraccia il di lui disegno d'amore redentore: Ecco, io vengo... per fare, o Dio, la tua volontà (ved. Eb. 10, 5-10). Il sacrificio di Gesù per i peccati di tutto il mondo è l'espressione della sua comunione d'amore con il Padre: Il Padre mi ama perchè io offro la mia vita (Giov. 10, 17). Bisogna che il mondo sappia che amo il Padre, e che faccio quello che il Padre mi ha comandato (Giov. 14, 31). Con la sua obbedienza fino alla morte, Gesù ha compiuto la profezia di Isaia sul «Servo sofferente» che offre la sua vita in espiazione (ved. Is. 53, 10-12). È l'amore sino alla fine (Giov. 13, 1), che conferisce valore di redenzione e di riparazione, di espiazione e di soddisfazione al sacrificio di Cristo (ved. Catechismo della Chiesa Cattolica, CCC, 609).

L'amore produce l'amore

L'amore di Cristo ci spinge (2 Cor. 5, 14). L'amore manifestato da Gesù sofferente, ci induce a ricambiare l'amore con l'amore, ed a realizzare, come meglio possiamo, il reciproco scambio dei beni di cui parla Sant'Ignazio. Gesù ci ha tracciato la via, perchè ne seguiamo le orme (1 Pietro 2, 21). «Vuole, infatti, associare al suo sacrificio redentore quelli stessi che ne sono i primi beneficiari. Ciò si compie in maniera eminente per sua Madre, associata più intimamente di qualsiasi altro al mistero della sua sofferenza redentrice» (CCC, 618). «Dobbiamo sviluppare continuamente in noi e, infine, completare gli stati ed i misteri di Gesù, e pregarlo sovente che li porti Lui stesso a compimento in noi e in tutta la sua Chiesa... Perchè il Figlio di Dio desidera una certa partecipazione e come un'estensione e continuazione in noi e in tutta la sua Chiesa dei suoi misteri, mediante le grazie che vuol comunicarci e gli effetti che intende operare in noi attraverso i suoi misteri» (San Giovanni Eudes, CCC, 521). Del pari, tutti i santi sono stati chiamati a completare nella loro carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa (Col. 1, 24).
Il 23 maggio 1982, il Papa innalzava all'onore degli altari cinque beati, fra cui Padre Pietro Donders. «In questi uomini ed in queste donne, abbiamo visto un vero riflesso dell'amore che costituisce l'incomparabile ricchezza di Dio all'interno della vita trinitaria, che si è manifestata attraverso il dono del Figlio unigenito per la salvezza del mondo, particolarmente attraverso il sacrificio redentore... Con l'esempio della sua vita, Padre Donders ha mostrato come l'annuncio della Buona Novella della Redenzione e della liberazione dal peccato debbano trovare appoggio e conferma in una autentica vita evangelica, una vita d'amore concreto nei riguardi del prossimo, e soprattutto nei riguardi dei più umili fratelli di Cristo» (Omelia del 23 maggio 1982).

Uno scolaro di ventidue anni

Pietro Donders nasce il 27 ottobre 1809. La sua famiglia abita in una catapecchia di legno nella periferia di Tilburg, nei Paesi Bassi. Pietro, dopo aver compluto gli studi elementari, aiuta il padre, che esercita il mestiere di tessitore, ma, fin dalla più tenera infanzia, si sente attirato dal sacerdozio. Ha sette anni, quando sua madre lascia la terra per l'aldilà. Quando il sacerdote viene ad assisterla, Pietro si impadronisce del libro liturgico: «Un giorno, dice, ne avrò uno così». Scriverà più tardi: «Non ringrazierò mai abbastanza il buon Dio per avermi preservato dai numerosi pericoli che avrebbero potuto compromettere la mia salvezza, e per avermi orientato verso Maria, sua Madre. Dopo Dio, devo attribuire a lei la mia vocazione». Ma dovrà lavorare come tessitore ancora per parecchi anni.
Un giorno, scrive al suo parroco per chiedergli di aiutarlo a cominciare a studiare il latino. Il prete è molto imbarazzato: respingere il giovane, costituirebbe un errore; ma non costituirebbe un'imprudenza mandarlo in un seminario? Il giovane ha già 22 anni, e non è che fosse brillante alle elementari... Dopo molte difficoltà, eccolo però seduto sui banchi della scuola, sottoposto ai lazzi dei giovani alunni. Un po' alla volta, riesce a riscuotere la simpatia di tutti i professori, alunni e impiegati. Nel 1839, entra al seminario maggiore di Haaren, con l'intenzione di farsi missionario. Lì, incontra Monsignor Giacomo Grooff, vicario apostolico del Suriname (Guyana Olandese). Il prelato espone agli alunni di teologia le necessità spirituali del suo vicariato. I seminaristi lo ascoltano con interesse, ma uno solo, Pietro Donders, manifesta l'intenzione di seguirlo. Monsignor Grooff lo accetta. Pietro, ordinato prete il 5 giugno 1841, e nominato ufficialmente «missionario apostolico» il 14 aprile 1842, raggiunge immediatamente il posto assegnatogli, con l'anima traboccante di gioia.
Il Suriname, territorio equatoriale del Nord dell'America Meridionale, è quattro volte più vasto dell'Olanda. A quell'epoca, non conta che 140.000 abitanti, di cui 20.000 risiedono a Paramaribo, la capitale. Un'immensa foresta, popolata di animali selvaggi, ricopre quasi tutto il paese. La popolazione è quanto mai cosmopolita: indigeni, creoli, africani, cinesi, arabi, inglesi, tedeschi, francesi e olandesi.
È a partire da Paramaribo che, durante i primi quattordici anni, si eserciterà l'apostolato di Pietro Donders. Fin dal 7 ottobre 1842, Monsignor Grooff lo conduce con sè al lebbrosario governamentale di Batavia, in mezzo ad una foresta di palme. Ci arrivano in battello la sera dell'8. Dopo aver benedetto i lebbrosi, il vicario apostolico si reca nella chiesa di legno, dove si canta il 'Padrenostro'.

Emozione profonda

Racconta P. Donders: «Un'emozione profonda mi stringeva il cuore alla vista di tale assemblea. Certi malati avevano perso le dita dei piedi, altri quelle delle mani; altri ancora avevano le gambe terribilmente gonfie. Alcuni, colpiti alla lingua, non potevano più parlare; tutti non camminavano che a fatica». E conclude: «La loro malattia non è una disgrazia. Quanto è buono Dio con loro, e quanto è paterna la sua Provvidenza! Poichè, per la maggior parte di essi, la malattia è l'unico mezzo di salvezza». Infatti, «molto spesso, la malattia provoca una ricerca di Dio, un ritorno a Lui» (CCC, 1501).
Monsignor Grooff ed il suo accompagnatore rimangono al lebbrosario fino al 20 ottobre. Il giovane missionario battezza tre bimbi e due vecchi. Fa anche fare la prima comunione a tre donne anziane e ad una ragazzina di 11 anni, destinata ad una morte precoce. Unisce in matrimono due malati quasi privi delle dita delle mani. Ma, soprattutto, i missionari riconfortano quegli infelici che, al momento della partenza, vanno ad accompagnarli piangendo al battello.
Sul fiume, Monsignor Grooff indica al suo accompagnatore un altro campo d'azione: le piantagioni di caffè, di cotone e di canna da zucchero, dove durano fatica gli schiavi. Esistono circa 400 stabilimenti di questo tipo, in cui 40.000 Africani sono costretti a lavorare senza posa, sotto la sferza dei guardiani. Solo la morte li libererà. Non è facile avvicinarli, perchè i proprietari diffidano dei missionari cattolici, nemici dichiarati della loro immoralità e della loro vergognosa speculazione. Padre Donders deve affrontare i terribili guardiani. Ma, se lo si respinge, si allontana sorridendo e formulando voti di prosperità. Poi, non appena possibile, dopo aver pregato a lungo, torna una volta, due volte, più volte, cercando di rabbonire quegli esseri dal cuore di pietra. È così che riesce a conciliarsi un guardiano che gli permette di agire. Nello stesso modo, si fa ammettere in tre, poi cinque, poi trentadue di quei bagni penali, dove diffonde fra gli schiavi l'istruzione religiosa. Il numero di battezzati passa da 1145 nel 1851 a 3000 nel 1866. La preghiera, l'instancabile pazienza e la semplicità del missionario hanno provocato quel balzo in avanti.
Malgrado i viaggi apostolici nell'entroterra, P. Donders è trattenuto per una buona parte dell'anno a Paramaribo, dove si occupa dei circa 2000 cattolici della capitale. Con la sua carità, è diventato il padre di tutti; distribuisce ai poveri tutto quello che ha. Quando non ha più nulla, si serve di stratagemmi per far aprire la borsa al suo vescovo: «Ma, caro mio, gli dice questi un giorno, lei non fa che dare, dare! Come farà quando io sarò morto? – Oh! Dio non muore mai», gli risponde.
Un giorno, gli rimane solo più l'orologio per soccorrere una famiglia nel bisogno. Va dunque a trovare un rigattiere e glielo vende. Commosso, il rigattiere vuol restituirgli l'oggetto; ma P. Donders non è in casa ed egli lo consegna quindi al vescovo. All'ora del pasto, questi annuncia ai commensali: «Amici miei, mi è stato regalato un orologio. Sorteggiamolo, e vediamo chi sarà il fortunato vincitore». Evidentemente, l'orologio tocca a P. Donders, che ringrazia con un sorriso.
Nel 1843, in occasione di un'epidemia di colera, P. Donders si sacrifica al di là delle proprie forze, ma non è colpito dal male. Sette anni dopo, è la volta della febbre gialla, peggiore del colera. Lì, P. Donders è stroncato dalla malattia e passa quattro settimane fra la vita e la morte, prima di ristabilirsi.
«Chi di voi andrebbe volentieri a Batavia, dove il governo fa ammassare i lebbrosi?» chiede un giorno il vescovo ai suoi missionari. – «Io, Monsignore», risponde subito P. Donders.

Ventotto anni fra i lebbrosi

Parte; Vi rimarrà per 28 anni: è un posto in cui nessuno prima di lui ha potuto resistere per più di due anni. «Questo sacerdote ha fatto per i lebbrosi quel che nessun altro al mondo avrebbe potuto fare», testimonierà un soldato di stanza nel Suriname. «Un giorno che gli chiedevo di permettermi di dare un'occhiata nelle baracche. – Oh! no, giovanotto, rispose il Padre, lei non potrebbe sopportare un orrore simile!» Per l'eterna salvezza dei lebbrosi, P. Donders sormontò quotidianamente, e durante più di un terzo della sua esistenza, quello spettacolo insopportabile.
Di tanto in tanto, battelli sbarcano nel lebbrosario nuovi lebbrosi che urlano di disperazione vedendo il luogo da cui non potranno mai uscire. Ma, improvvisamente, si placano, quando appare il viso livido e scarno di P. Donders. Molta bontà negli occhi; sulle labbra, il sorriso; dalla bocca fluiscono incoraggiamenti. Conduce i nuovi arrivati nelle loro capanne e porta loro dolci e rinfreschi. Li invita a rallegrarsi, perchè, dice loro, «ormai siamo amici», e lo dimostra loro.
Istruisce i suoi lebbrosi nella religione, li aiuta a pregare, li cura, imboccando quelli che non hanno più mani. Eppure, rifiuta di assistere agli interventi chirurgici, perchè non riesce a sopportare la vista del sangue. Si capisce quindi meglio l'eroismo di cui fa prova nel sormontare per tanti anni una sensibilità messa ogni giorno a dura prova.
Nel 1873, il governatore della colonia vuol sottrarre al pericolo del contagio i figli dei lebbrosi. Quando si cerca di strapparli con la forza ai genitori, nel lebbrosario scoppia una sommossa. Il Padre chiede allora ai soldati di ritirarsi, poi si rivolge alla folla: «Se amate i vostri figli, non lasciateli morire di lebbra!» Allora, le madri si separano dai piccoli. Solo un cinese fugge col suo bambino, deciso ad ucciderlo piuttosto che separarsene. P. Donders lo raggiunge e lo convince.
Nel 1867, a 57 anni, dopo sei mesi di noviziato, fa professione religiosa nella Congregazione dei Redentoristi: eventi imprevisti ve l'hanno condotto, ma non nasconde la gioia di essere ammesso alla vita religiosa. Oltre all'apostolato presso i lebbrosi, si consacra allora alla conversione della tribù dei Caribi, selvaggi e cannibali. Bisogna già andarli a raggiungere nelle foreste o nelle paludi, poi avvicinarli con dolcezza. Ascoltano senza difficoltà quando si parla loro del cielo, dell'inferno, dell'eterna salvezza e di Gesù Redentore. Ma quando il missionario espone la morale cristiana, diventano sordi, abituati come sono alla poligamia ed ai vizi. Nemici irriducibili, gli stregoni dichiarano agli indiani: «Se lasciate battezzare i vostri figli, essi morranno». Perciò gli indigeni nascondono la prole, quando vedono arrivare un missionario. Eppure, P. Donders riesce a convertire parecchi stregoni, il cui esempio è ben presto seguito da altri, a tal punto che un testimone potrà dire: «In questa regione, quasi tutti gli indiani hanno abbracciato la fede».

Somiglianza perfetta

Per perfezionare la somiglianza di P. Donders con Gesù, respinto e disprezzato da coloro che veniva a salvare, la Provvidenza permette che il missionario venga allontanato, nel gennaio del 1883, dal suo campo d'apostolato. Alcuni lebbrosi, capeggiati da un certo Giuseppe cui P. Donders ha rimproverato la sua condotta scandalosa, vanno a trovare il vescovo. Chiedono con insistenza che il missionario sia mandato via, col pretesto che è troppo vecchio. Il vescovo accetta. Ma nel novembre del 1885, P. Donders è rimandato a Batavia, per far fronte ad urgenti necessità. È lì che finirà la vita, in mezzo ai lebbrosi che lo accolgono in ginocchio.
Nel dicembre del 1886, è colpito da una grave nefrite. Nella notte dal 5 al 6 gennaio 1887, chiede gli ultimi sacramenti, che gli sono somministrati da un Padre Redentorista lebbroso. Il 12 gennaio, il malato dice al medico: «Ancora un po' di pazienza! Morirò venerdì, verso le tre pomeridiane!» È una profezia: spira il venerdì 14 gennaio alle tre e mezzo pomeridiane. Tutti i lebbrosi lo piangono, anche quelli che, qualche anno prima, avevano voluto allontanarlo da Batavia.
Nessuno ha amore plù grande di colui che sacrifica la propria vita per i suoi amici (Giov. 15, 13). Come il Redentore, P. Donders ha dato la vita per i suoi fratelli. Che possiamo, seguendo il suo esempio, leggere nella Passione di Cristo la manifestazione più clamorosa dell'Amore di Dio per noi: «O incommensurabile amore di carità, per riscattare lo schiavo, dai il Figlio» (Liturgia della Vigilia di Pasqua). Chiediamo allo Spirito d'Amore di scendere dal Cuore di Gesù crocifisso fin nell'intimo dei nostri cuori. Capiremo allora queste parole di Santa Teresa di Gesù Bambino: «Vivere d'amore, sulla terra, non significa installare la propria tenda sulla cima del Monte Tabor, significa salire il Calvario con Gesù, significa guardare la Croce come un tesoro». San Benedetto esorta i suoi monaci nello stesso senso, nel Prologo della Regola: «Partecipiamo con la pazienza alle sofferenze di Cristo, per meritare di partecipare al suo regno».


Autore:
Dom Antoine Marie osb


Fonte:
Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia - www.clairval.com

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Aggiunto/modificato il 2019-12-03

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