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Venerabile Giuseppe Picco Sacerdote gesuita

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Nole Canavese, Torino, 4 luglio 1867 – Gozzano, Novara, 31 agosto 1946

Giuseppe Picco nacque a Nole Canavese, in provincia e diocesi di Torino, il 4 luglio 1867. Alunno del Seminario di Torino, entrò nella Compagnia di Gesù a Chieri il 22 settembre 1885. Fu ordinato sacerdote l’8 aprile 1901. Dopo alcuni anni di ministeri sacerdotali a Torino, Genova e Cuneo, il 15 ottobre 1912 iniziò il suo apostolato di esercizi e ritiri spirituali a Gozzano e nell’Alto Novarese. Si distinse per lo zelo pastorale rivolto specialmente verso gli uomini operai e la povera gente. Fu trovato morto, disteso sul pavimento della sua camera di Gozzano, il 31 agosto 1946, con lo sguardo rivolto all’immagine di san Giuseppe. Il 18 dicembre 1997 è stato dichiarato Venerabile. I suoi resti mortali riposano nel cimitero di Gozzano, nella sua tomba monumentale, con altri gesuiti.



Famiglia e prima formazione
Giuseppe Picco nacque il 4 luglio 1867 a Nole Canavese (in provincia e diocesi di Torino) in una modesta famiglia, nella quale la fede era la nota dominante del vivere quotidiano. I genitori, che assistevano quasi tutti i giorni alla celebrazione della Messa, educarono i dieci figli secondo i principi cristiani; Giuseppe era il terzo. Alla sua educazione partecipò anche lo zio Giovanni Battista Picco, sacerdote e maestro nella scuola elementare di Nole.
A undici anni prese a frequentare la scuola apostolica retta dal canonico Ortalda a Torino; dopo i due anni del ginnasio, si trasferì nel 1880 a Lanzo nel collegio affidato ai Salesiani di Don Bosco, dove frequentò la terza e la quarta ginnasio. Ebbe frequenti incontri con il grande santo della gioventù e gli servì parecchie volte la Messa, ricevendone un benefico influsso.

Nella Compagnia di Gesù
Dopo quattro anni trascorsi in collegio, il 14 ottobre 1883 Giuseppe entrò nel Seminario Arcivescovile di Chieri e due anni dopo, il 22 settembre 1885, passò al Noviziato della Compagnia di Gesù, sempre a Chieri; anche un suo fratello, Giulio, divenne gesuita nel 1893. Iniziò così il lungo periodo di formazione tipico dei gesuiti: dopo il noviziato, svolse per due anni studi umanistici e poi fu Assistente dei ragazzi dell’Istituto Sociale di Torino e del collegio San Tommaso di Cuneo.
Dal 1891 al 1894 svolse il triennio di studi di Filosofia, fu ancora Assistente dei ragazzi all’Istituto Sociale di Torino e nel 1896 iniziò lo studio della Teologia presso la Facoltà dei gesuiti a Chieri. In quei anni di studi intensi, pur senza trascurarli, si dedicò anche alla cura di un gesuita ammalato, padre Romualdo Fumagalli, il cui corpo era ricoperto di piaghe profonde. Le sue forze fisiche si logorarono e, dopo la morte del confratello, ebbe bisogno di un lungo periodo di riposo, per cui si dovette rimandare l’ordinazione sacerdotale, che poté ricevere solo l’8 aprile 1901, Lunedì dell’Angelo, a 34 anni.

Un gesuita “itinerante”
Quasi a voler recuperare il tempo trascorso, gli vennero affidati in rapida successione vari ministeri apostolici: dal 1902 al 1912 fu di nuovo all’Istituto Sociale di Torino, poi alla Casa di Genova, a Quarto al Mare, ancora a Genova, al Collegio di Cuneo e alla Residenza di Sanremo. Nell’ottobre 1912 fu destinato come assistente, detto allora “Adiutor”, del direttore della Casa di Esercizi per gli Operai di Gozzano (Novara) e promotore degli esercizi e delle Leghe di perseveranza dell’Alto novarese. Tranne un periodo trascorso a Cuneo come cappellano dell’ospedale militare, durante la Prima Guerra Mondiale, il luogo del suo lavoro di “Operarius”, cioè di “sacerdote missionario itinerante” rimase fino al termine della vita la città di Gozzano e i paesi limitrofi. Nel 1902 e dal 1927 in poi svolse sempre le sue vacanze estive presso il Santuario di San Chiaffredo a Crissolo, dove esercitava i ministeri sacerdotali per i pellegrini e assisteva i pastori presso le baite alpine.
Ha detto di lui padre Paolo Molinari, suo confratello e a lungo Postulatore generale delle Cause di beatificazione e canonizzazione dei gesuiti: «Egli fu il sacerdote della Compagnia di Gesù che, spinto dall’amore di Dio e dallo zelo per le anime, si prodigò instancabilmente nell’assolvimento del ministero sacerdotale, recandosi di villaggio in villaggio, da un casolare all’altro, per portare il conforto ai bisognosi, l’Eucaristia agli ammalati ed ai moribondi, il perdono ai peccatori, la parola di Dio ai fedeli ed anche ai lontani».

L’anima degli Esercizi per la povera gente
Visse per circa 30 anni ai piedi del Monte Rosa e per parecchie estati ai piedi del Monviso, sempre al servizio del popolo di Dio. Tanti sono i luoghi che lo videro impegnato nell’apostolato e che custodiscono con devozione il suo ricordo. Fu apparentemente sempre e solo un “Aiutante” delle felici iniziative dei gesuiti nei “Ritiri operai” e nelle “Leghe di perseveranza”, svolte in collaborazione col clero diocesano. In realtà, però, padre Giuseppe Picco ne era il filo conduttore, il vero animatore, nell’adunare e assistere gli esercitanti e nel contatto personale delle Confessioni.
Per la gente di Gozzano, di Crissolo e delle zone circostanti era santo già in vita, come si esprime felicemente un altro suo confratello, l’agiografo padre Domenico Mondrone, intitolando un articolo di La Civiltà Cattolica su di lui «Padre Picco: Lo canonizzarono contadini e povera gente».

La morte e le semplici esequie
Morì a Gozzano il 31 agosto 1946. Per sua volontà fu rivestito con la vecchia sottana, rattoppata e logora, senza funerali solenni, con discorsi e onori, ma con esequie in semplicità, come semplice era stata tutta la sua vita.
Il 29 ottobre 1950 la sua salma fu traslata in una nuova tomba monumentale del cimitero di Gozzano.

Il processo di beatificazione
Sin da subito, dopo la sua morte, padre Picco ha avuto il merito di aggregare un numeroso gruppo di fedeli che volevano custodirne l’insegnamento, e che si associarono in un Comitato di Amici di Padre Picco. Il 7 dicembre 1954 uscì il primo numero del bollettino «Agli amici del padre Giuseppe Picco S.J.» e, due giorni dopo, il Superiore generale dei gesuiti, padre J. B. Jansenss, autorizzò l’avvio del processo di beatificazione.
L’anno successivo, il 30 marzo 1955, iniziò il Processo informativo diocesano a Novara, concluso il 5 novembre 1956. Il Processo apostolico ha avuto inizio, invece, il 10 dicembre 1973. Entrambe le inchieste sono state convalidate il 14 aprile 1978.
Nel 1991 è stata presentata la “Positio super virtutibus”, discussa dai consultori teologi e dai cardinali e vescovi membri della Congregazione delle Cause dei Santi, rispettivamente l’11 marzo 1997 e il 2 dicembre dello stesso anno; entrambe le riunioni hanno avuto esito positivo.
Il 18 dicembre 1997 Papa san Giovanni Paolo II ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui il gesuita padre Giuseppe Picco veniva dichiarato Venerabile.

Autore: Antonio Borrelli

 




Dicono sia un gesuita “atipico”, non perché carente del carisma del Fondatore, tantomeno perché privo delle qualità tipiche per il ministero. Se per “atipico” si intende chi non fu né professore né predicatore e neppure scienziato o missionario, come la quasi totalità dei gesuiti, allora sì, Padre Giuseppe Picco è stato “atipico” in senso pieno.
Eppure è un dato di fatto che mentre dei primi restano poco più di un nome o di qualche testo polveroso, di lui invece, anche a molti anni dalla morte, la sua memoria è viva e il suo messaggio è attuale, tanto che è vicina la sua beatificazione (è già “venerabile” dal 1997).
Nasce a Nole, nel torinese, nel 1867. Studia alcuni anni dai salesiani, conosce don Bosco e don Orione, ma entra dai gesuiti per motivi che Dio solo conosce. Cosciente dei suoi limiti ben oltre il dovuto, è travagliato dai dubbi per la sua indegnità quando è chiamato a fare la scelta dell’ordinazione sacerdotale.
Sacerdote dall’aprile del 1901, sogna a occhi aperti la missione in Alaska, che dai superiori è ritenuta non adatta a lui per i postumi della sua pleurite. Per cercare di fare di necessità virtù, prova a far diventare sua missione interiore tutte le località cui è destinato e, dai risultati che ottiene, sembra proprio non trattarsi di uno sforzo inefficace.
È da segnalare la sua permanenza a Cuneo, prima al Collegio di san Tommaso come Assistente dei ragazzi, e poi, dal 1915 al 1919, come Cappellano presso l’Ospedale militare ospitato nello stesso Collegio per i reduci feriti al fronte. Risiede e opera però soprattutto a Gozzano, dove si occupa di preparare gli operai agli esercizi spirituali, dall’ottobre del 1912 fino alla morte, eccezion fatta gli anni cuneesi e le estate trascorse al santuario di San Chiaffredo di Crissolo. In ogni località, a dire il vero, più che di “permanenza” sarebbe più opportuno parlare di “itineranza”, perché Padre Picco non si adattava a una vita sedentaria, men che meno se inoperosa. Per questo si recava presso le parrocchie dei paesi intorno a Gozzano, sempre a piedi, e si inerpicava sulle montagne di Crissolo, alla ricerca delle baite anche le più isolate, a portare una parola buona, un consiglio, ma soprattutto i sacramenti, a chi per età o salute ben difficilmente poteva incontrare un prete. Spesso accompagnava le visite ai malati con il dono di qualche erba salutare che raccoglieva lungo la strada e di cui lui stesso faceva buon uso.
Era a disposizione dei parroci, di giorno e di notte, e accetta volentieri gli inviti a svolgere i ministeri sacerdotali nelle loro parrocchie. Non gli si riconoscono particolari doti di predicatore, quanto piuttosto una grande capacità di adattarsi all’uditorio, di entrare in sintonia con il livello culturale degli ascoltatori e soprattutto una spiritualità intensa.
La sua preoccupazione pastorale era particolarmente per gli uomini, in un tempo in cui la formazione cristiana degli uomini e donne erano separate. La presenza degli uomini in chiesa e agli esercizi diventava un suo personalissimo metro di giudizio dell’efficacia di qualsiasi iniziativa: tanti uomini equivalevano al successo di una sua “missioncina”, mentre pochi uomini erano il sintomo di “poca fame della Parola di Dio”.
Non tutti i superiori condividevano la sua esigenza di questa itineranza, che oltre tutto mal si adattava alla vita di una comunità, facendo nascere contrasti e incomprensioni. Emergevano anche i limiti del suo carattere, su cui però era disposto a lavorare a fondo, fino a raggiungere un’invidiabile adattabilità. A patto, ovviamente, di non penalizzare i doveri sacerdotali, per i quali era disposto ad autentici equilibrismi, pur di farli conciliare con l’obbedienza.
Dal 1902 al 1945 andò sempre “in ferie” a Crissolo; ufficialmente per riguardare la sua pleurite, in realtà per un “servizio permanente” ai pellegrini del Santuario di San Chiaffredo e agli abitanti della zona, che va a cercare su per i monti, specialmente con le sue “missioncine” serali, di cappella in cappella, di baita in baita. Nelle restanti ore della giornata, a Crissolo lo si trova in Santuario, nel confessionale, a dispensare misericordia durante le confessioni, brevi (“anche troppo!”, dice malignamente qualcuno) ma che ridonano respiro all’anima, a volte anche dopo decenni di lontananza da Dio del penitente.
A Crissolo e a Gozzano erano tutti stupiti e ammirati di quel prete che viveva di niente, si mortificava nel bere e nel mangiare, si arrampicava per i monti con gli zoccoli ai piedi e si trasfigurava quando prega, facendo chiaramente capire che il suo cuore abitava già in cielo.
Lo trovarono senza vita, disteso sul pavimento della sua stanzetta di Gozzano, il 31 agosto 1946. Sulla sua agenda aveva annotato: «Il 31 agosto sarò in paradiso». Aveva dato alcune ultime raccomandazioni per il suo funerale, che desiderava fosse semplicissimo e povero.
Quindi, aveva previsto tutto, tranne una cosa: l’autentica fiumana di gente, soprattutto di uomini, che si mosse fin dalle prime luci dell’alba per dire il suo ultimo grazie al “piccolo” Padre Picco, per il cui funerale non si era nemmeno suonato il campanone, come per gli altri, e che era stato celebrato all’insolita ora delle sette di mattina, come lui stesso aveva chiesto.

 


Autore:
Gianpiero Pettiti

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Aggiunto/modificato il 2017-02-24

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