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Alfonso Paltrinieri

Testimoni

Rosario Santa Fè, 1894 – Modena, 22 febbraio 1944

Non un politico, ma un cristiano che offrì riparo a un paracadutista inglese durate la guerra e che pagò con la vita il suo gesto.

Etimologia: Alfonso = valoroso e nobile, dal gotico


Alfonso Paltrinieri non era un eroe pronto a combattere per onore o per altra causa. Era un commerciante, un padre di famiglia (aveva 5 figli), un buon cristiano che ha lasciato un esempio cristallino che merita di essere ricordato.
Era nato in Argentina da genitori italiani i quali, messa da parte una modesta fortuna, erano ritornati in patria ed avevano acquistato una proprietà a san Felice sul Panaro. Qui Alfonso ha dato avvio a un caseificio che consente a lui, alla moglie, Ines Gallini, e ai 5 figli di vivere piuttosto agiatamente. Ma già da alcuni anni c’è la guerra voluta dal governo fascista e da alcuni mesi la situazione si è aggravata per la lacerazione della guerra civile. La fattoria di Ponte Bonate già così discosta e operosa si trova al centro di un via vai sospetto. Vi si soffermano i militari e gli altri evasi dal campo di isola della Scala nel Veronese per ottenere aiuto e informazione sulla via che li porta verso il sud liberato.
Alfonso Paltrinieri non è un politico, ma un cristiano sì. Dà cibo, riparo, informazioni. Di solito i fuggitivi proseguono rapidamente, ma un giorno arriva paracadutista inglese seriamente ferito. I Paltrinieri lo accolgono, lo curano, lo nutrono. La presenza dello straniero, tuttavia, viene notata e la famiglia Paltrinieri viene arrestata in massa. Dapprima Alfonso, Ernesto e le figlie Lorenza ed Ermelina, in un secondo tempo la signora Ines che dà il cambio alle due ragazze che vengono rilasciate. A casa resta solo la mamma ultraottantenne con le figlie più piccole.
A questo punto la vicenda personale dei Paltrinieri entra nella storia della resistenza. Dopo l’8 settembre il paese è diviso in due: ai tedeschi e ai repubblichini si oppongono gli uomini della resistenza che sognano un paese libero. Rivelatesi vane le minacce e le sanzioni, decidono di dare un esempio che serva di monito almeno per gli incerti. Alfonso Paltrinieri abbastanza conosciuto nei dintorni è scelto insieme con Arturo Anderlini, un noto antifascista di Modena. Presa la scelta, viene preparato in gran fretta un processo farsa celebrato nella notte fra il 21 e il 22 febbraio 1944 da un Tribunale militare straordinario di guerra. La sentenza è stata già emessa, al punto che la sera erano state ordinate le casse da morte per i due imputati, si vuole solo una parvenza di giustizia. A nulla valgono le eccezioni della difesa. Nelle prime ore del mattino viene reso pubblico quel che i giurati già sapevano. Alfonso Paltrinieri è condannato a morte, la moglie Ines Gallini a 24 anni di reclusione. Ernesto, il figlio maggiore di Alfonso, esce inopinatamente dal processo. All’atto di preparare i documenti, un giovane fascista già compagno di scuola di Ernesto, ha avuto prontezza di spirito. Agli atti Ernesto figura come un ragazzo di 10 anni e non come un ventenne. Nella fretta frenetica di quella notte nessuno si preoccupò di verificare. Mentre il tribunale si accinge a giudicare Anderlini, Alfonso incontra il cappellano don Giuseppe Piombini: è eccitato, poi si calma, prega, si confessa e si comunica, scrive delle lettere alla moglie, alla madre, ai figli. Concede il perdono ed esorta tutti al perdono. Poi, con l’aiuto del cappellano, riesce ad incontrare per un’ultima volta la moglie e il figlio. Scrive il cappellano: "Scena straziante, specialmente quando devo annunciare la sentenza di morte al figlio, che non ne sapeva nulla. Poco dopo abbraccio commovente fra madre e figlio. Montano in macchina con me. Altra scena straziante l’incontro del padre, della madre e del figlio. Passiamo insieme una decina di minuti, che non dimenticherò mai più".
E’ arrivata, intanto, l’ora dell’esecuzione. La madre viene riaccompagnata al carcere, il figlio viene liberato, il padre è condotto insieme con l’Anderlini al poligono di tiro. Qui, prima di morire, Paltrinieri chiede la parola: "Perdono a tutti quelli che mi hanno fatto del male ed anche a voi che state per eseguire la sentenza". Era a conoscenza Alfonso della simile dichiarazione di san Tommaso Moro? Non lo sapremo mai. Del resto, di lì a qualche minuto la sentenza era stata eseguita.
Colpisce nella vicenda del Paltrinieri la preoccupazione insistita sulla riconciliazione. Egli era certo preoccupato per la sorte della moglie e dei figli e voleva probabilmente proteggerli da ulteriori rappresaglie. Per questo più volte insistette sul fatto che la responsabilità della decisione di soccorrere il soldato inglese era solamente sua fino al punto di affermare, probabilmente mentendo, che aveva dovuto picchiare la moglie per impedirle di cacciarlo via. Ma il gesto che rende ancora oggi luminosa la sua morte è quella insistenza gratuita, inattesa, quasi inspiegabile sul perdono. Mi raccontava un anno fa il figlio Ernesto, farmacista a Cusano in provincia di Milano, di recente scomparso: "Al momento di salutarci si sfilò l’anello matrimoniale e me lo diede da custodire. Poi aggiunse: “Se verrai a sapere chi ci ha fatto la spia e non gli perdoni, non sei degno di essere mio figlio”. E con buona probabilità noi abbiamo saputo chi era stato a denunziarci. Ma cosa potevo fare? Come venire meno all’impegno preso con mio padre?". Il gesto di Alfonso acquista così quasi una forza sacramentale. L’anello, pegno di amore e di fedeltà, diventa sigillo di amore che ha avvicinato i protagonisti all’amore redentivo di Cristo. Alfonso non solo volle perdonare, ma guardava già a una situazione nuova segnata non più dall’odio ma dalla riconciliazione.

Qualche ora prima dell’esecuzione Alfonso Paltrinieri scrisse alla moglie una lettera che è documento di valore civile e di profonda pietà cristiana. Essa merita di essere letta per intero.

"Modena, 21-2-1944.
Carissima indimenticabile moglie,
in questo momento supremo vissuto insieme mando questo ultimo saluto a Te, che sei stata sempre la ragione della mia vita e che mi hai voluto sempre tanto bene. Perdonami tutti i dolori che ti ho dato durante il corso della nostra unione. Speravo di poterti aiutare ad allevare i nostri cari figli ma un triste destino ci separa improvvisamente per mia sbadataggine. Ti auguro di poter ritornare presto a casa, per continuare la tua missione educatrice.
Perdonami; perdona anche gli altri nel nome del Signore. Ho già dato disposizione ai figli perché abbiano a rendere meno triste la tua esistenza. Prega per me, io pregherò per te dal cielo perché ti possa benedire in terra e ci abbia a ricongiungere un giorno in Paradiso.
Porta con rassegnazione la croce che ti manda ora il Signore. Perdonami ancora; ti abbraccio e ti bacio sempre tuo amatissimo

Alfonso"


Autore:
Elio Guerriero


Fonte:
Testimoni del tempo

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Aggiunto/modificato il 2003-11-27

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