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Dietrich Bonhoeffer Pastore luterano

Chiese della Riforma

Wroclaw, Polonia, 4 febbraio 1906 – Flossenburg, Germania, 9 aprile 1945

Il 9 aprile 1945 muore appeso nudo a un palo nel campo di concentramento di Flossenbürg il pastore evangelico tedesco Dietrich Bonhoeffer. Nato a Breslavia il 4 febbraio 1906, Bonhoeffer aveva ereditato dalla madre il bisogno spontaneo di venire in aiuto agli altri, assieme a una calma energica; dal padre aveva invece appreso una straordinaria preveggenza, la capacità di concentrarsi su qualunque soggetto, l'avversione per i luoghi comuni e una ferma adesione alla realtà, a tutto ciò che è umano. Il giovane Dietrich, ottenuta l'abilitazione teologica nel 1930, esercitò per alcuni anni il ministero di pastore, fino a quando, nel 1935, la Chiesa confessante, ovvero quella porzione di protestanti tedeschi non disposti a compromettere la loro fede con i dettami del regime nazista, lo invitò a guidare il seminario per giovani pastori. Egli partì allora alla volta di Finkenwalde, dove per alcuni anni condivise tutto con i suoi allievi. A Finkenwalde Bonhoeffer si convinse della profonda necessità che il cristiano ha di rimanere fedele alla terra, alla realtà in cui è chiamato a investire, da creatura responsabile, il dono della fede. Alla chiusura forzata del seminario, Bonhoeffer si trasferì in America, dove visse un tempo d'inquietudine, al termine del quale ruppe gli indugi e rientrò a Berlino, per unire alla fedeltà alla terra quella memoria personale e vissuta della croce, senza la quale non vi è vera vita cristiana. L'8 aprile 1945, domenica in Albis, dopo due anni di prigionia, si compiva il suo destino. Reo di cospirazione contro Hitler, Bonhoeffer veniva condannato per ordine del Führer in persona. «È la fine, per me l'inizio della vita», rispose a chi gli diceva addio, ormai consapevole del cammino pasquale a cui l'aveva condotto la grazia a caro prezzo offerta a ogni discepolo di Cristo.



Il contesto storico del suo tempo; la Germania nazista
Nella Germania nazista, non tutti i tedeschi furono partecipi dell’ideologia militaristica, razzista, egemone, scaturita dalla mente contorta di Adolf Hitler (1889-1945), che provocò nella prima metà del secolo XX, milioni di morti, distruzioni immense, innumerevoli feriti, invalidi, dispersi, profughi, perseguitati e sconvolgimenti politici epocali in tutto il mondo.
Tutto ciò ebbe il suo epilogo nella Seconda Guerra Mondiale (1939-1945), ma già dal 1920, anno della fondazione del nazionalsocialismo da parte di Hitler, in Germania si andò diffondendo l’ideologia della pretesa superiorità razziale del popolo tedesco e della conseguente rigida discriminazione verso gli altri popoli, in particolare gli Ebrei, che furono oggetto di spietate persecuzioni.
Nel campo economico e sociale, il nazionalsocialismo respingeva le dottrine liberiste e quelle marxiste, contrapponendo ad esse una visione rigidamente corporativa e attuando una politica di stretto controllo dell’attività economica.
In politica estera, l’ideologia nazista tese i suoi sforzi alla preparazione della rivincita della sconfitta subita dalla Germania, nella Prima Guerra Mondiale, proclamando apertamente la necessità per il popolo tedesco, di strappare alle altre nazioni lo spazio vitale necessario.
Tutto questo, a partire dal 1933 quando Hitler prese il potere, portò ad una vasta militarizzazione dello Stato, instaurò un clima di repressione dei dissidenti, istituendo un regime totalitario basato sull’identificazione tra Partito e Stato; poi ad invasioni di Stati confinanti, occupazioni militari, rastrellamenti e deportazioni di ebrei, dissidenti, prigionieri, zingari, malati di mente, nei famigerati campi di concentramento, vergogna di una civilissima nazione, che tanto aveva dato in arte, letteratura, scienze, filosofia, all’Europa e al mondo fino allora.
Ma non tutti i tedeschi condividevano le politiche naziste, alcuni vincendo la paura della famigerata Gestapo (polizia segreta), furono in aperta contrapposizione e molti pagarono con il carcere, le torture, i lavori forzati, la vita stessa, la loro libertà di espressione e l’anelito di indipendenza dal rigido regime.

I tentativi per fermare Hitler e le conseguenze
Nell’ottica di fermare in qualche modo, la deriva della Germania, trascinata in una disastrosa guerra contro decine di Nazioni del mondo, alcuni ufficiali delle Forze Armate, appoggiati da dissidenti, organizzarono un primo attentato a Hitler, il 13 marzo 1943 a Monaco, che ebbe un esito negativo; molto più vasta fu la congiura organizzata nell’estate dell’anno successivo.
Il 20 luglio 1944, il colonnello von Stauffenberg collocò una bomba nel quartiere generale del Führer (‘tana del lupo’) a Rastenburg, nella Prussia Orientale, ma Hitler, ferito solo leggermente, riuscì rapidamente a schiacciare i rivoltosi che, credendolo morto, si erano scoperti senza tuttavia organizzare un’azione efficace a Berlino.
I feldmarescialli Kluge e Rommel, implicati indirettamente nel complotto, si uccisero; il generale Beck, il colonnello Stauffenberg, il maresciallo von Witzleben, il generale von Stülpnagel, l’ammiraglio Canaris, più direttamente coinvolti, vennero giustiziati.
Con loro furono arrestati, migliaia di oppositori del regime e giustiziati in un susseguirsi di fucilazioni ed impiccagioni; affogando in un lago di sangue, l’anelito di libertà dalla tremenda dittatura nazista, comunque arrivata al capolinea nell’anno successivo.

Il teologo Dietrich Bonhoeffer
Fra queste persone di varia estrazione sociale e di pensiero, vi fu il teologo e pastore protestante Dietrich Bonhoeffer, uno dei maggiori e più aperti oppositori dell’ideologia nazista, che per questo era già detenuto dal 5 aprile 1943.
Dietrich era nato il 4 febbraio 1906 a Breslau, una città della Slesia, allora in Germania, ma dopo la II Guerra Mondiale ritornò ad essere parte della Polonia con il nome di Wroclaw, dopo quattro secoli di dominio austriaco, prussiano e nazista.
Il padre Karl era un professore di Neurologia e Psichiatria, la madre Paula cristiana fervente, era dedita all’educazione dei suoi otto figli, quattro maschi e quattro femmine.
Quando Dietrich aveva sei anni, la famiglia Bonhoeffer si trasferì a Berlino di dove era originaria; i suoi genitori frequentavano la Chiesa Luterana, ma con un’impostazione sostanzialmente laica e positivista; il giovane Dietrich invece, si avvicinava sempre più alla religione, decidendo di dedicarsi agli studi teologici.
Aveva 16 anni quando la mattina del 21 giugno 1921, era a scuola nel ginnasio del quartiere residenziale di Grunewald e udì gli spari che a poca distanza dall’istituto, uccisero Walter Rathenau, ministro degli Esteri, davanti alla porta di casa. E da allora, Dietrich molto turbato, cominciò a domandarsi quale futuro poteva avere una Germania, che assassinava i suoi figli migliori.
La sua vocazione allo stato religioso, fu accolta in casa con una certa sorpresa, considerandola una scelta curiosa, perché lo studio della teologia, era una cosa che non portava da nessuna parte.
Durante i suoi studi all’Università, prima di Tubinga e poi di Berlino, maturò convinzioni politiche; l’incontro con il pacifista francese Jean Lasserre, eliminò quell’amarezza contro i trattati di Versailles, che avvelenava l’opinione pubblica tedesca e che porterà poi all’appoggio popolare alla politica rivendicativa di Adolf Hitler.

Docente universitario; la sua formazione religiosa e politica
Influenzato in modo significativo dalla teologia dialettica e dal pensiero del teologo protestante svizzero Karl Barth (1886-1968), Dietrich Bonhoeffer si laureò nel 1930 con una tesi sulla Chiesa, dal titolo “Sanctorum communio”, diventando pastore luterano e ottenendo a soli 24 anni, l’abilitazione per la docenza universitaria.
Dal 1931 al 1933, insegnò teologia all’Università di Berlino, coinvolgendo gli studenti con il suo approccio innovativo e impegnato, teso a sensibilizzare le coscienze, sulla situazione politica della Germania di allora.
La sua attenzione era concentrata sulla Chiesa, intesa come concreta comunità di uomini, che, in quanto tale, ha il dovere di calarsi nella realtà e combatterne le distorsioni, per realizzare una società giusta, lontana dalla violenza.
In quegli anni Dietrich, maturò la sua forte opposizione al nazismo; a contatto con Gerhard Leibholz di origine ebrea e marito della sua gemella Sabine (la coppia nel 1933, lascerà la Germania a seguito delle leggi razziali), prese coscienza del grande peccato costituito dall’antisemitismo e si opporrà in seguito pubblicamente alla “clausola ariana”, contenuta negli statuti della Chiesa Protestante, imposti dal regime nazista; tutto ciò porterà la sua discesa in campo in prima persona, per denunciare la deriva del potere politico in Germania.
Il suo itinerario di studioso, insegnante, pastore, fu interrotto solo dai viaggi fatti in Italia e a New York; ma nel 1933 in Germania, avvenne la svolta radicale dell’avvento al potere di Adolf Hitler e Dietrich Bonhoeffer fece subito e chiaramente la sua scelta, schierandosi con la cosiddetta “Chiesa confessante”, cioè quella parte della comunità evangelica, che aveva imboccato la via della resistenza al regime nazionalsocialista, organizzando per essa seminari e corsi di studio, stabilendo contatti anche all’estero, affinché fosse sostenuta la resistenza tedesca.
Per questo la sua voce fu progressivamente spenta, in particolare nel 1933, quando partecipò ad una trasmissione radiofonica, definendo pubblicamente Hitler “un seduttore”, provocando così l’interruzione del programma; l’interferenza del regime diventò sempre più capillare ed invasiva e gli fu proibito man mano di insegnare, di predicare, di scrivere.

Riparato all’estero
Trovatosi nell’impossibilità di portare avanti il suo programma d’insegnamento, Bonhoeffer, lasciò, nell’ottobre 1933, la Germania, scegliendo di fare il pastore a Londra, per svegliare le coscienze nei confronti del rischio nazista; ma le sue amicizie con gli ebrei, l’impegno nelle file dell’opposizione, il discorso sulla pace tenuto nell’isola danese di Fanø, attirarono su di lui l’attenzione del regime.
E quando dopo un paio d’anni tornò in patria, fu costretto ad abbandonarla di nuovo, dopo una parentesi come direttore di un Seminario protestante, chiuso come illegale; poiché sulla sua testa pendevano diversi provvedimenti di polizia, che gl’impedivano la libertà di azione e mettevano in pericolo la sua incolumità.
Riparato negli Stati Uniti, come “docente ospite” nell’estate del 1939, vi restò però solo due settimane; la sua coerenza morale e l’amore per il suo popolo, gl’impedivano di stare a guardare, mentre il suo Paese precipitava nell’orrore e nell’imminente guerra, guidato da un criminale che bisognava cercare di bloccare ad ogni costo.

Aderente al gruppo di resistenza antinazista; arrestato dalla Gestapo
Uomo audace e profondamente religioso, era convinto della necessità per la Chiesa e i suoi esponenti, di risvegliare la coscienza critica degli uomini e di diffondere la Parola di Dio anche, e soprattutto, nei momenti storici più difficili; una volta rientrato in Germania, si unì per questo al gruppo di Resistenza sorto attorno all’ammiraglio Wilhelm Canaris (1887-1945), impegnato a cercare una via d’uscita che evitasse il disastro totale.
Ma il 5 aprile 1943, Dietrich Bonhoeffer fu arrestato dalla Gestapo; iniziava così il suo calvario in varie prigioni del Reich; nelle carceri di Tegel e Berlino, scrisse le celebri lettere e appunti, raccolte poi nel vol. “Resistenza e resa” (pubblicato nel 1951), esempio di lucida coerenza in principi come libertà, patria, democrazia, pace, dialogo, ascolto dell’altro.
In quelle pagine, ora dolci ora drammatiche, pronte a scavare nel mistero di Dio e dell’uomo, espressione ardente di una vita con Dio e per Dio, con gli uomini e per gli uomini, si delineavano alcune tesi del suo pensiero, che avevano avuto una vasta trattazione già in altri suoi scritti precedenti, come “Agire ed essere” (1931), “Sequela” (1937), “La vita comune” (1939) ed “Etica” (1949, opera postuma).

Il percorso interiore nella sofferenza
Le lettere, maturate negli anni di carcere, rappresentano l’opera più conosciuta di Bonhoeffer, documento frammentario, ma interessantissimo di una vicenda umana esemplare.
Bonhoeffer credeva nei valori della comunità, come necessaria risposta religiosa all’esistenza, come luogo del rispetto reciproco e in quelli dell’interiorità, che nessuna tirannia avrebbe potuto violare.
Quattro mesi prima dell’arresto, nel gennaio 1943, Dietrich si era fidanzato con la diciottenne Maria von Wedemeyer, da lui teneramente amata, ma che non poté mai sposare, perché il resto della sua vita lo trascorse in carceri e campi di concentramento.
Nel Natale 1943, il teologo Bonhoeffer così pregava: “È buio dentro di me, ma presso di te c’è luce; sono solo, ma tu non mi abbandoni, sono impaurito, ma presso di te c’è aiuto; sono inquieto, ma presso di te c’è pace; in me c’è amarezza, ma presso di te c’è pazienza, non comprendo le tue vie, ma tu conosci la mia vita”.

Il martirio
Dopo un breve passaggio nel campo di concentramento di Buchenwald, fu trasferito nel lager di Flossenbürg presso Monaco; là dopo un processo sommario, fu condannato a morte e impiccato il 9 aprile 1945, a 39 anni, insieme all’ammiraglio Canaris, per espresso ordine di Hitler.
In quei mesi che precedettero il crollo finale del nazismo, e che seguivano il fallito attentato ad Hitler del 20 luglio 1944, anche altri suoi familiari furono uccisi, quali dissidenti del regime: suo fratello Klaus Bonhoeffer avvocato, i mariti delle due sorelle Christine e Ursula, Hans von Dohnanyi e Rudiger Schleicher, con loro Ernst von Harnack, parente e frequentatore del circolo musicale, dove il gruppo clandestinamente congiurava.

La sua teologia
Il noto biblista Gianfranco Ravasi, in un suo articolo su Famiglia Cristiana, così sintetizza il pensiero di Bonhoeffer: “Egli esaltava la necessità dell’impegno del cristiano nelle “realtà penultime”, cioè in quelle della storia e dell’azione sociale e politica, per poter accedere alle “realtà ultime” della fede e della pienezza di vita in Dio. Egli sentiva fortemente l’importanza di un confronto col mondo diventato “adulto” e secolare, e questo dialogo doveva avvenire attraverso un cristianesimo “non religioso”, cioè ripensato in una nuova forma, non più sacrale. Queste ed altre tesi, alcune di forte impronta mistica, altre di tonalità esistenziale, contenevano reazioni e fremiti legati alla sua esperienza e al contesto di quel tempo e sono poi state sottoposte a critica”.
Il pensiero del teologo Bonhoeffer, è stato fra l’altro citato per un confronto sugli scritti di Mario Pomilio (1921-1990); trent’anni prima, Dietrich Bonhoeffer inaugurava la teologia della “morte di Dio” e al tempo stesso una nuova sofferta ed esistenziale cristologia: “Cristo è per l’uomo la ricerca del Dio assente”; in confronto il libro di Pomilio “Il Quinto Evangelo” (1975), si tiene ben lontano dalla rapinosa vertigine dell’intuizione di Bonhoeffer.
Il suo Dio, non è assente ma nascosto e la storia umana è un susseguirsi di balenanti sue apparizioni e rivelazioni, di segni misteriosi, di tracce certe anche se spesso indecifrabili della sua presenza, che consentono di ricostruire l’itinerario che conduce a Lui.
Rimane indubbia, però, la fede pura di Bonhoeffer e la sua testimonianza integra, e con questa fede egli si avviò al martirio. Scrisse di lui più tardi uno dei medici del lager: “Mi ha scosso nel profondo… Nei quasi 50 anni di pratica medica, non ho mai visto morire allo stesso modo, un uomo consacrato al Signore”.
In una sua lettera dal carcere, Bonhoeffer scrisse: “Quando si è rinunciato del tutto a fare qualcosa di se stessi: un santo, un peccatore convertito o un uomo di Chiesa, un giusto o un ingiusto, un malato o un sano, allora ci si getta interamente nelle braccia di Dio, allora si prendono finalmente sul serio non le proprie, ma le sofferenze di Dio nel mondo, allora si veglia con Cristo nei Getsemani e, io penso, questa è fede; e così diventiamo uomini, diventiamo cristiani”.

Il ricordo di Dietrich Bonhoeffer
Dietrich Bonhoeffer, viene considerato uno dei dieci “testimoni” delle cristianità del secolo scorso. A questo titolo, dal 1998, la sua statua è stata collocata in una nicchia della facciata dell’abbazia di Westminster, in Inghilterra; tiene in mano una Bibbia, ed è in compagnia, fra gli altri, di Martin Luther King, del vescovo Oscar Romero, di san Massimiliano Kolbe, in un ecumenismo del martirio, più eloquente di qualsiasi solenne dichiarazione.
È ricordato il 9 aprile, giorno della sua morte, nel calendario “Il libro dei Testimoni”, che la Comunità di Bose ha dedicato al martirologio ecumenico.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto/modificato il 2006-12-14

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