Ci è noto esclusivamente dalla relazione fatta dall'anonimo autore delle Vitas SS. Pairum emeretensium (III) scritte verso il 640. Secondo costui, molti anni prima, ai tempi di re Leovigildo (568-586) era arrivato in Lusitania, proveniente dall'Africa, l'abate Nancto, il quale, dopo qualche tempo, attratto dalla devozione a s. Eulalia, venne ad abitare nella casa-monastero presso la basilica della santa, sotto il governo del diacono Redento. A questo punto l'agiografo descrive una singolare caratteristica della spiritualità di Nancto: evitava, come avrebbe evitato il morso di una vipera, di guardare le donne e d'essere guardato da loro e a questo scopo si faceva precedere e seguire ovunque da due monaci; per questa ragione supplicò accoratamente il diacono Redento di prendere ogni misura necessaria ad impedire che quando egli fosse andato di notte a pregare s. Eulalia potesse essere visto da qualche donna. C'era però una « nobilissima e santissima vedova » chiamata Eusebia, che aveva chiesto tante volte di poterlo vedere senza giungere ad averne il consenso; riuscì invece a guadagnarsi la complicità di Redento riuscendo a vedere il santo abate di nascosto. Ma non appena lo sguardo della donna si posò su di lui, Nancto diede un grido e cadde prostrato come se fosse stato colpito da una grossa pietra; più tardi disse a Redento: « Iddio ti perdoni, fratello; che cosa hai fatto? ». Nancto si ritirò, quindi, con alcuni monaci in un luogo deserto, dove si costruì una poverissima dimora, ma la fama delle sue virtù si diffuse rapidamente e venne perfino a conoscenza del re Leovigildo, il quale, benché ariano, si raccomandò alle sue preghiere e gli fece dono di un certo terreno perché da esso potesse ricavare quanto bastava per il vitto e il vestiario necessari a lui e ai suoi fratelli. Poco tempo dopo, però, gli abitanti di quel luogo, non volendo sottostare al dominio di un signore che giudicavano rozzo e indegno, lo uccisero mentre si trovava solo a pascolare alcune pecore. Gli assassini furono subito presi e condotti davanti al re, ma questi non volle condannarli perché, disse, « se veramente hanno ucciso il servo di Dìo, sarà Dio stesso a punirli ». L'agiografo ne loda la sentenza e finisce il racconto dicendo che gli assassini furono presi dai demoni e, dopo molte sofferenze spirituali e corporali, ebbero una morte crudele. La narrazione è indubbiamente degna di fede, anche se alcune affermazioni sono caratteristicamente agiografiche. Tenendo conto dell'intervento del re Leovigildo, inspiegabile nel periodo in cui divenne persecutore dei cattolici, la vita di Nancto in Spagna dovette chiudersi prima dell'anno 580. Il biografo non dice nulla che possa essere interpretato come indizio di culto, né in documenti posteriori appare traccia di esso, come di solito è avvenuto per i vescovi di Mérida, di cui si narrarono poi le Vitae; il primo ad annoverare Nancto tra i santi martiri, fu Tamayo de Salazar, assegnandogli la data del 22 ott., e, dopo di lui, è da tutti, anche dal Flórez, accettato come tale. Per quanto riguarda il titolo di martire bisogna tener presente, come nota il bollandista B. Bossue, che anticamente erano pure venerati come martiri coloro che « piamente avevano ricevuto una immeritata morte violenta ».
Autore: Justo Fernandez Alonso
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