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Gilbert Keith Chesterton Laico

Testimoni

Londra, Inghilterra, 29 maggio 1874 – Beaconsfield, Inghilterra, 14 giugno 1936

L'ascesi non era il forte di Gilbert Keith Chersterton. Grande bevitore, financo ghiottone, amava la convivialità. Non è quindi questo l’aspetto della sua vita che potrebbe pesare in favore della sua eventuale beatificazione, ma piuttosto la sua opera prolissa. Secondo il presidente della società chestertoniana americana, Dale Ahlquist, le sue opere hanno contribuito alla conversione di C.S. Lewis, ispiratore di Narnia, a quella di J.R.R. Tolkien, autore de Il Signore degli anelli, o ancora a quella del poeta argentino Jorge Luis Borges. Convertitosi egli stesso dall’anglicanesimo alla fede cattolica dieci anni prima della sua morte, il suo pensiero – in cui fede e ragione si conciliavano armoniosamente – l’avrebbe condotto ad essere nominato defensor fidei da Papa Pio XI. I suoi scritti sono stati anche fonte d’ispirazione per Papa Francesco, che non ha esitato a citarlo in un’omelia a Santa Marta.



«Si è spesso giustamente detto che la religione è ciò per cui l’uomo ordinario si sente straordinario?; ma è anche vero che la religione è ciò che fa sì che l’uomo straordinario si senta ordinario.?» Nello scrivere questo, Gilbert Keith Chesterton tratteggiava, involontariamente, il proprio ritratto. Potente genio letterario, questo scrittore è giunto alla fede cattolica al termine di un cammino umile e leale che gli faceva ammirare in ogni cosa la bontà di Dio nonché la capacità dell’uomo di conoscerLo.
G. K. Chesterton è nato a Londra il 29 maggio 1874?; un mese dopo, riceveva il Battesimo nella Chiesa anglicana. Durante il periodo degli studi scolastici, dà l’impressione di un bambino piuttosto mediocre, anche un po’ ritardato e distratto, al punto che i ragazzi che frequentano la scuola con lui rivaleggiano nel prenderlo in giro. Uno dei suoi compagni di classe dirà in seguito?: «?Sentivamo che era alla ricerca di Dio.?» Tuttavia, egli stesso confesserà?: «?Ero un pagano all’età di dodici anni, e un agnostico totale all’età di sedici.?» Attraversa una crisi di scetticismo e arriva fino a subire il fascino del satanismo, e poi a pensare al suicidio. Nonostante tutto, cresce a poco a poco in lui un profondo senso di meraviglia, al quale si associa la gratitudine per il bene della vita?: «?Ero legato alla religione dal tenue filo della gratitudine.?»

Una forte attrattiva

Dal 1892 al 1895, Gilbert studia arte all’Università di Londra. Tuttavia, provando una forte attrattiva per le lettere, si lancia con foga nel giornalismo. A partire dal 1900, pubblica una raccolta di poesie, intitolata The Wild Knight, in cui sostiene delle idee di cui la modernità, già ai suoi tempi, si prende gioco?: il patriottismo, l’umiltà, la venerazione del bambino… Chesterton avvince il suo lettore con la sua fertile immaginazione, il suo stile vivace, il suo interesse insaziabile per il mondo e soprattutto con la sua straordinaria capacità di percepire il significato profondo delle cose e degli atteggiamenti, che l’assuefazione rischia di banalizzare. Egli rivolge alle realtà familiari uno sguardo nuovo, scuote la polvere dell’abitudine e considera ogni cosa antica nello splendore della sua novità.
Gilbert è un uomo dal fisico imponente?: 130 kg per 1,93 m. Un sigaro in bocca, si drappeggia in una cappa, indossa un cappello sgualcito e brandisce un bastone animato. Nel 1901, sposa Frances Blogg?; non avranno figli. Sempre assorto nelle sue riflessioni, rimarrà abbastanza distratto per tutta la vita. Gli accade di inviare un telegramma alla moglie?: «?Sono a Market Harbourgh. Dove dovrei essere???» La risposta arriva, netta?: «?A casa?!?» Sedotto e appassionato dalle bellezze del creato, si rende però conto che esse non possono soddisfare pienamente il suo cuore. Sperando di trovare la vera felicità, cerca di unire l’affetto per le cose buone di questo mondo con un distacco che lo lasci libero. Troverà questa armonia solo nel cristianesimo. Spiega il proprio percorso nel suo libro Orthodoxy, pubblicato nel 1908. Tre anni prima, aveva pubblicato Heretics, opera in cui osservava che, ogni volta che un nuovo “profeta” presenta una nuova dottrina, questa si rivela, all’osservazione, come non avente nulla di nuovo. L’eresia consiste nell’isolare una verità?; l’eretico preferisce una verità a sua misura alla verità tutta intera. Ma, dal momento che solo la verità tutta intera rende liberi, l’eresia risulta essere una schiavitù più che una liberazione. In un’omelia del 5 dicembre 2013, papa Francesco ha evocato questa frase di Chesterton?: «?Una eresia è una verità impazzita.?» E il Santo Padre commentava?: «?Le “parole cristiane” svuotate della presenza di Cristo sono come parole impazzite?» (cfr. L’Osservatore Romano, 6 dicembre 2013).
Il genio insolito di Chesterton non gli impedisce di rimanere profondamente umile. Un giorno, il direttore di un importante giornale rivolge a diversi uomini illustri la domanda?: «?Che cosa c’è che non va nel mondo???» Dopo aver a lungo esitato, Gilbert risponde?: «?Egregio Signore, ecco la mia risposta alla vostra domanda?: Io?! Distinti saluti. G. K. Chesterton.?» Egli pensa, in effetti, che non si debba «?diffidare di nessuno più che di se stessi?; i nostri peggiori nemici li portiamo dentro di noi.?» Chesterton attinge nell’umiltà una grande capacità di vedere la realtà con gli occhi di un bambino. Le invenzioni moderne non gli fanno perdere il suo buon senso, né il suo amore per le cose semplici?: «?Fin dall’inizio, ero stupefatto della meraviglia prodigiosa dell’esistenza – del miracolo della luce del sole che attraversa una finestra, del miracolo di persone che camminano su gambe per la strada, del miracolo di persone che si parlano.?»
Nel 1914, Chesterton subisce una grave prova di salute che lo costringe a rimanere a letto per diversi mesi. Alla fine della Grande Guerra, un’altra prova lo tocca nel cuore?: il fratello Cecil muore in un ospedale militare in Francia. Per fedeltà alla sua memoria, Gilbert continuerà a curare la pubblicazione del giornale fondato da questo amato fratello. Dopo la guerra, diventa capo del Movimento Distributista che, in opposizione al socialismo selvaggio come al capitalismo selvaggio, avanza l’idea che la proprietà privata dovrebbe essere suddivisa in unità il più piccole possibili e poi ridistribuita nella società.

Motivo di una conversione

Nel campo religioso, Chesterton percepisce sempre più chiaramente che «?vi è un’unica chiesa, esattamente nello stesso modo in cui vi è un unico universo.?» Nel 1922, egli entra nel seno della Chiesa Cattolica. Sua moglie lo seguirà quattro anni dopo. Quando gli viene chiesto perché si sia convertito, risponde laconicamente?: «?Per essere sbarazzato dai miei peccati.?» Dom Ignatius Rice, che ha ricevuto la sua abiura, sottolinea anch’egli?: «?Diventò cattolico a causa dell’azione efficace della Chiesa sul peccato.?» Questo desiderio di ricevere il perdono dei peccati implica il riconoscimento della realtà del peccato, ma anche la fede nell’esistenza del peccato originale. Per Chesterton, la dottrina del peccato originale, lungi dall’essere deprimente, è al contrario fonte di grande consolazione?: «?Questo dogma afferma che abbiamo abusato di un mondo che è buono, e non che siamo rinchiusi in un mondo malvagio. Esso fa risalire il male al cattivo uso della volontà e dichiara così che si può porre rimedio al male con un buon uso della volontà. Qualsiasi altro credo è una sorta di resa alla fatalità.?» Queste parole sono in accordo con l’insegnamento del Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC)?:
«?Scaturita dalla bontà divina, la creazione partecipa di questa bontà?: E Dio vide che era cosa buona (Gn 1,4 e seguenti)… La Chiesa, a più riprese, ha dovuto difendere la bontà della creazione, compresa quella del mondo materiale… Sulle orme di san Paolo la Chiesa ha sempre insegnato che l’immensa miseria che opprime gli uomini, la loro inclinazione al male e l’ineluttabilità della morte non si possono comprendere senza il loro legame con la colpa di Adamo… La dottrina sul peccato originale – connessa strettamente con quella della Redenzione operata da Cristo – offre uno sguardo di lucido discernimento sulla situazione dell’uomo e del suo agire nel mondo. In conseguenza del peccato dei progenitori, il diavolo ha acquisito un certo dominio sull’uomo, benché questi rimanga libero… Ignorare che l’uomo ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell’educazione, della politica, dell’azione sociale e dei costumi?» (CCC, nn. 299, 403, 407). In effetti, a causa del peccato originale e delle sue conseguenze, in particolare la triplice concupiscenza, l’uomo è incline al male e ha bisogno di un redentore. Gesù Cristo, il Figlio di Dio, ha redento l’umanità peccatrice con la sua morte in Croce, ma l’effettiva attuazione della riconciliazione di ogni anima con Dio avviene attraverso i sacramenti. Se il Battesimo rimette il peccato originale e tutti gli altri peccati commessi prima di ricevere il Battesimo, è il sacramento della Penitenza, o Confessione, che rimette i peccati commessi dopo il Battesimo. L’amministrazione di questo sacramento è affidata ai sacerdoti, che ricevono il potere di rimettere tutti i peccati. La misericordia divina non conosce misura, e nessuno dovrebbe mai scoraggiarsi alla vista dei suoi peccati, per quanto gravi. Se ci si avvicina a questo sacramento con le disposizioni richieste (la contrizione, il desiderio di emendarsi e di fare penitenza, con la confessione dei peccati), si beneficia certamente del perdono di Dio. È un segno della saggezza imperscrutabile di Dio che ha voluto che i peccati vengano rimessi da uomini, e che si possa sentire dalla bocca di un altro essere umano, peccatore come noi?: «?Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, io ti perdono i tuoi peccati?».

Una religione privata

Se il celebre scrittore abbraccia la fede cristiana tradizionale, è perché essa è vera. Secondo lui, la prima ragione per cui molti non arrivano a conoscere pienamente la verità è l’orgoglio, che egli definisce come «?la falsificazione dei fatti attraverso l’introduzione di sé?». Chesterton non deriva la sua filosofia da un “sentimento” interiore personale, come tanti autori moderni?; egli la fonda su un’esperienza oggettiva, universalmente valida?: «?Un uomo non può avere una religione privata come non può neppure avere un sole e una luna privati.?» Gilbert sa molto bene che viene rimproverata alla Chiesa Cattolica l’intransigenza del suo dogma. In realtà, tutti hanno i propri “dogmi”, vale a dire i loro propri criteri di giudizio?; senza di essi la vita è semplicemente impossibile. «?Non vi sono, egli scrive, che due tipi di persone?: quelle che accettano consapevolmente il dogma (rivelato), e quelle che accettano un dogma senza esserne consapevoli.?» La vera questione è quindi di sapere su quale dogma noi fondiamo la nostra vita. Alcuni pensano che il cristianesimo, dopo aver avuto il suo periodo di gloria, sia ormai superato. Chesterton non condivide questo parere. Per lui, la verità dei fatti «?non è che si sia provato l’ideale cristiano e lo si sia trovato carente?; ma piuttosto che, avendolo trovato troppo difficile, non lo si è provato?».

Prete detective

Gilbert incontra un giorno un sacerdote, carico di pacchi e con sottobraccio un enorme ombrello. Quest’uomo gli lascia l’impressione di un essere maldestro e ingenuo. Ma, durante una passeggiata con lui, si rende conto che questo candido ecclesiastico, padre O’Connor, semplice parroco, conosce meglio, grazie alla sua esperienza delle anime, i segreti del vizio e del crimine del miglior agente di Scotland Yard. Egli immagina allora un personaggio romanzesco, Padre Brown, che diventa l’eroe di una serie di racconti polizieschi. Il prete detective appare sulla scena di un furto o di un omicidio e pone domande apparentemente bislacche. In un primo tempo i suoi pareri sono tenuti in scarsissimo conto?; ben presto, però, la sua sagacia diventa evidente, perché egli solo, illuminato dalla sua intuizione spirituale, scopre la menzogna attraverso le parole, i volti, gli atteggiamenti, e finisce con il designare i veri colpevoli. In questo modo piacevole, Chesterton trasmette la sua convinzione che solo la Chiesa Cattolica conosce profondamente le anime, perché essa sola ha la missione divina di rinnovarle, soprattutto grazie al ministero sacerdotale. Così nell’episodio The Flying Stars, Padre Brown supplica Flambeau, un criminale, di cambiar vita?: «?C’è ancora gioventù, onore e umorismo in te?; ma non pensare che durino a lungo in questo mestiere. Gli uomini riescono a mantenere una specie di livello medio nel bene, ma nessuno è mai riuscito a restare a un qualunque livello nel male. È una strada che scende sempre di più. Un uomo mite si mette a bere, poi diventa crudele?; un uomo che non mentirebbe per nulla al mondo, ma che uccide qualcuno, cade nella menzogna per coprire il suo omicidio. Molti uomini che ho conosciuti hanno cominciato come te ad essere degli onesti fuorilegge, degli allegri briganti dei ricchi, poi sono finiti sprofondati nel fango.?» Queste intuizioni di Chesterton sono state in qualche modo corroborate da Giovanni Paolo II che affermava?: «?L’uomo non è capace di comprendere se stesso fino in fondo senza il Cristo. Non può capire né chi è, né qual è la sua vera dignità, né quale sia la sua vocazione, né il destino finale?» (2 giugno 1979).
I numerosi scritti di Chesterton (articoli, romanzi, saggi, libri storici o critici…) testimoniano una mente finissima e dotata di un umorismo frizzante. L’autore padroneggia l’arte del paradosso al punto da esserne chiamato il “principe”. Utilizza questa modalità espressiva nei più diversi campi e riguardo agli argomenti più seri?: gli eventi mondiali, politici, economici, la filosofia, la teologia, ecc. Egli si adopera a mettere in luce la verità e a ridicolizzare amabilmente l’incoerenza di coloro che acconsentono a tutto indiscriminatamente. In alcune controversie, fa appello al “senso non comune”, facendo maliziosamente notare che il buon senso non è forse più così condiviso come nel passato, poiché anche pensatori rinomati sostengono posizioni “senza una briciola di buon senso”.

Conoscere il reale

Questo amato buon senso, Chesterton lo trova tra le grandi menti che aderiscono alla fede. Preoccupato di condividere la sua scoperta, egli redige, verso la fine della sua vita, una biografia di san Tommaso d’Aquino, capolavoro che un fine conoscitore del tomismo, Étienne Gilson, considererà come il miglior libro mai scritto sul dottore angelico. Chesterton non ha altra formazione filosofica o teologica che le sue letture personali?; eppure percepisce profondamente che l’uomo, creato a immagine di Dio, è capace di conoscere il reale. Egli è quindi in grado di comprendere e scrivere la vita di un uomo a cui è così vicino in spirito. Alla fine di questo libro, l’autore evoca, per contrasto, la figura di Martin Lutero, e mostra come quest’ultimo abbia consumato il divorzio tra l’uomo e la ragione. Per Lutero, infatti, l’uomo è talmente corrotto dal peccato che le sue doti naturali d’intelligenza e di volontà non sono in grado di fare nulla di utile?: l’uomo decaduto non può fare null’altro che implorare misericordia dal fondo della sua miseria. San Tommaso, invece, e con lui la Chiesa Cattolica, credono che l’uomo può, «?con le sole sue forze e la sua luce naturale pervenire ad una conoscenza vera e certa di un Dio personale, il quale con la sua provvidenza si prende cura del mondo e lo governa, come pure di una legge naturale inscritta dal Creatore nelle nostre anime?» (CCC, n°?37). Questo tema dei rapporti tra ragione e fede è stato sviluppato da san Giovanni Paolo II?: «?La Chiesa, da parte sua, non può che apprezzare l’impegno della ragione per il raggiungimento di obiettivi che rendano l’esistenza personale sempre più degna. Essa infatti vede nella filosofia la via per conoscere fondamentali verità concernenti l’esistenza dell’uomo. Al tempo stesso, considera la filosofia un aiuto indispensabile per approfondire l’intelligenza della fede e per comunicare la verità del Vangelo a quanti ancora non la conoscono?» (enciclica Fides et ratio, 14 settembre 1998, n°?5).
Difensore della Fede, Chesterton lo è anche dei buoni costumi. Uno degli aspetti del degrado morale di una società è la rilassatezza nell’abbigliamento. Gilbert trova questa tendenza a scoprire in modo smisurato il corpo non solo pericolosa per i buoni costumi, ma anche dannosa per la ragione. Colpito da una frase del Vangelo, egli fa dire a Gabriel Gale, l’eroe della serie di racconti The Poet and the Lunatics?: «?Non avete mai notato a che punto sia vera l’espressione (applicata da san Marco all’indemoniato guarito da Gesù), vestito e sano di mente (Mc 5,15)?? L’uomo non è sano di mente quando non è vestito con i simboli della sua dignità sociale. L’umanità non è nemmeno umana quando è nuda.?» Su questo punto come su molti altri, andare contro corrente richiede coraggio?; ma precisamente, si tratta di sapere se si vuol vivere, perché «?è ciò che è morto che va con la corrente?; solo ciò che è vivo può resistervi?».
G. K. Chesterton vede nel rispetto per il patrimonio degli antichi un atto di deferenza verso i nostri padri?: «?La tradizione significa dar voce alla più oscura delle classi, i nostri antenati. È una grande democrazia dei morti. La tradizione rifiuta di sottomettersi alla piccola e arrogante oligarchia di coloro che per caso sono attualmente sulla scena.?» Ma il rispetto della tradizione implica anche uno sguardo lucido su noi stessi e sui nostri interessi. «?Non smontate mai una recinzione prima di aver compreso perché sia stata montata?», riferimento implicito alla parola ispirata?: Non sposterai i confini del tuo vicino, posti dai tuoi antenati (Dt 19,14). In realtà, il vero progresso è possibile solo a partire da ciò che ci è stato tramandato?: «?Per il vero sviluppo, non si tratta di lasciare delle cose dietro di sé come su una strada, ma di trarne fuori la vita, come da una radice.?»

Conversazioni popolari

Nel 1931, Chesterton viene inviato a produrre una serie di trasmissioni radiofoniche. Egli accetta, e ne realizzerà ogni anno una quarantina fino alla sua morte. Queste conversazioni sono molto popolari, al punto che, se la morte non fosse giunta a porvi fine, Chesterton sarebbe diventato la voce dominante sulle onde della BBC. Come il suo amico Hilaire Belloc, egli non esita a pronunciarsi sulle grandi questioni del tempo. Fin dall’inizio, fa sapere la sua opposizione al regime nazista?; si oppone anche all’eugenetica, mentre la Gran Bretagna si appresta ad approvare il “Mental Definciency Act” (1931), legge con la quale certi gruppi sostengono la sterilizzazione delle persone “mentalmente deficienti”. Tali idee, egli afferma, sono insensate, “come se si avesse il diritto di forzare e di ridurre in schiavitù i propri connazionali per fare esperimenti chimici su di loro.?» Rivoltato da questa prospettiva, egli critica fortemente la proposta di legge che, per la sua formulazione vaga, non lascia nessuno al riparo dai suoi provvedimenti disumani?: «?Qualunque vagabondo scontroso, qualsiasi lavoratore timido, qualsiasi campagnolo eccentrico potrà molto facilmente essere incluso nella categoria dei pazzi furiosi. Questa è la situazione e questo è il fatto… siamo già in uno Stato eugenista?; e non ci rimane più nient’altro che la ribellione.?»
Forte della sua fede nell’immagine divina impressa nell’uomo fin dalla sua creazione (cfr Gn 1,26-27), G. K. Chesterton si fa, per tutta la sua vita, difensore appassionato dell’uomo. Così egli vede con angoscia la direzione presa dall’umanità. Secondo lui, se non si riconosce che la dignità dell’uomo ha la sua fonte inviolabile in Dio, nulla potrà impedire i tentativi insensati per modificare la sua natura in modo indefinito. Che cosa impedirà, egli chiede, che le “nuove meraviglie” conducano agli “antichi abusi” del degrado e della schiavitù?? Egli prevede così che il rifiuto di Dio condurrà direttamente al rifiuto dell’uomo, il rifiuto del soprannaturale al rifiuto della natura?; perché «?se togliete ciò che è soprannaturale, non vi resta che ciò che non è nemmeno naturale?», vale a dire una natura ferita e malata. «?I diritti dell’uomo… hanno assolutamente bisogno di trovare fondamento in un ordine che li supera, altrimenti rischiano di svanire nell’astrazione o, peggio ancora, di affondare in una qualche ideologia?», diceva san Giovanni Paolo II, il 19 novembre 1983.
Logorato dal lavoro, Chesterton rende serenamente l’anima a Dio il 14 giugno 1936, nella sua casa a Beaconsfield, nel Buckinghamshire. È stato recentemente avviato dal vescovo di Northampton un procedimento in vista di un’eventuale beatificazione.
Gli scritti di quest’uomo coraggioso rimangono una luce nelle tenebre del nostro mondo. Di fronte alle forze impressionanti che rifiutano la ragione e la fede e, in questo modo, avviliscono l’uomo, G. K. Chesterton non cessa di incoraggiarci ad andare avanti testimoniando la verità al momento opportuno e non opportuno (2Tm 4,2). Seguendo il suo esempio, poniamo la nostra fiducia nella grazia di Dio e nel suo amore che vuole salvare gli uomini insegnando loro ad amare cristianamente, perché «?amare significa amare ciò che non è amabile. Perdonare significa perdonare l’imperdonabile. Credere significa credere l’incredibile. Sperare significa sperare quando non vi è più speranza?».

Autore: Dom Antoine Marie osb

Fonte: Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia - www.clairval.com

 


 

L'infanzia
Gilbert Keith Chesterton nacque a Kensington, un quartiere di Londra, il 29 maggio 1874.
Il padre, Edward, si era ritirato per motivi di salute dalla ditta di famiglia, un'agenzia immobiliare, e poté così dedicarsi pienamente ai propri tre figli (la maggiore, Beatrice, morì a soli otto anni). L'infanzia di Chesterton fu particolarmente serena anche grazie a questa presenza paterna. Dotato di un pacato senso dell'umorismo, dilettante felice, il padre coltivava innumerevoli passatempi:
"La sua versatilità, in tutte queste cose era sorprendente. La sua spelonca, o studio, era tutta tappezzata con alte stratificazioni di dieci o dodici giochi d'invenzione: pittura ad acquerello, e modellatura, e fotografia, e vetri dipinti, ed intaglio, e lanterne magiche e miniatura medioevale." (GKC, Autobiografia, pag. 43)
Fra le meraviglie dello studio paterno fu il teatrino giocattolo quella che più entusiasmò il giovane Gilbert.
"Nella mia famiglia non si trattava di un passatempo, ma di cento passatempi, ammucchiati uno sull'altro. Per un accidente personale o forse per un gusto personale, il passatempo del teatrino è quello che si è attaccato alla mia memoria per tutta la vita." (GKC, Autobiografia, pag. 46). L'immagine del principe con la chiave, personaggio del teatrino paterno, è posta all'inizio dell’autobiografia di Chesterton come primo ricordo infantile e ritorna alla fine della stessa, come immagine del successore di Pietro, a segnare il definitivo approdo al cattolicesimo. La fine si ricollega così idealmente all'inizio. Per Chesterton infatti la sua compiuta filosofia non fu che l'esplicitarsi di una posizione originale, un chiarificarsi sotto l'urto degli avvenimenti e un venire alla luce di quanto già c'era; per questo chiamerà la sua filosofia "la filosofia del giardino delle fate", affermando di averla imparata fin da fanciullo sulle ginocchia della nutrice.
Dalla madre Marie Louise Grosjean, di ascendenza in parte elvetica e in parte scozzese (dal cognome di questo ramo materno scozzese Chesterton prese il suo secondo nome, Keith) egli ereditò piuttosto l'intelligenza che il carattere, che era in lei deciso e quasi autoritario. Entrambi liberali, i genitori di Chesterton propendevano dal punto di vista religioso per un vago Unitarianesimo. I figli furono battezzati nella Chiesa Anglicana. Chesterton ebbe a dire nella sua autobiografia
"Lo sfondo generale di tutta la mia giovinezza era agnostico. I miei genitori erano quasi un’eccezione, perché, in mezzo a persone tanto intelligenti, credevano in un Dio personale e nell'immortalità personale. [...]Non propriamente la nostra generazione, ma molto di più la generazione precedente, era stata agnostica alla maniera di Huxley. [...] Il socialismo secondo lo stile di Bernard Shaw e dei Fabiani era una cosa che sorgeva. Ma l'agnosticismo era una cosa stabilita [...] V'era una uniformità di miscredenza, simile alla richiesta elisabettiana per l'uniformità di fede: non fra le persone eccentriche, ma semplicemente fra le persone istruite." (GKC, Autobiografia, pagg. 145-146)
E concludeva "Lo sfondo di tutto quel mondo, non era mero ateismo, ma ortodossia atea, e persino rispettabilità atea." (GKC, Autobiografia, pag. 147)
Facevano eccezione a questo clima, come abbiamo visto, i suoi genitori: scettici nei confronti del sovrannaturale aderirono al culto unitariano, i cui capisaldi erano la credenza nella paternità di Dio, la fratellanza degli uomini, la non eternità del male e la salvezza finale delle anime. Cecil Chesterton descriverà la loro fede come una "vaga ma nobile teo-filantropia". Questo dato biografico è interessante in quanto sottolinea l'originalità del percorso filosofico del nostro autore, il suo pervenire alla religione per una via eminentemente logica, tanto più che ben poco della tradizione religiosa era a lui pervenuto attraverso l’educazione ricevuta.
Il membro della famiglia che più influenzò Chesterton fu, alquanto sorprendentemente l’appena citato Cecil, suo fratello, più giovane di cinque anni. Si raccontava in famiglia che Chesterton, il quale fin da piccolo amava recitare versi, all'annuncio di avere un fratello esclamò: "Ottimamente. Ora avrò sempre un pubblico ad ascoltarmi".
Chesterton stesso, riportando l'aneddoto nella sua autobiografia, così commenta:
"Se ho parlato veramente così, mi sono sbagliato. Mio fratello non era punto disposto ad essere un semplice ascoltatore, e molte volte forzò me a fare la parte del pubblico. Più spesso ancora, forse, si diede il caso che ci fossero simultaneamente due oratori, senza pubblico. Discutemmo durante tutta la nostra adolescenza e giovinezza, fino a diventare la disperazione di tutti coloro con cui, socialmente, avevamo contatto. Gridavamo l'uno contro l'altro, attraverso la tavola, intorno a Parnell o al puritanesimo o alla testa di Carlo I, finché coloro che ci erano più vicini e più cari, scappavano al nostro avvicinarsi, e intorno a noi si faceva il deserto. [...] Sono piuttosto contento di avere discusso esaurientemente le nostre opinioni, su quasi tutti i problemi del mondo. Sono felice di pensare che, in tutti quegli anni, non abbiamo mai smesso di discutere, e mai, neppure una volta, abbiamo litigato." (GKC, Autobiografia, pagg. 198-199)
Fu alla scuola di questo ininterrotto contraddittorio che Chesterton mise alla prova il rigore del suo pensiero, la solidità delle sue convinzioni, la forza dei suoi argomenti.
"Ad ogni modo la nostra discussione non veniva interrotta se non quando cominciava a raggiungere debitamente la sua conclusione, che è la convinzione. [...]Penso sia stato un bene, per noi, mettere alla prova ogni anello della logica, martellandoci a vicenda." (GKC, Autobiografia, pag. 199). Cecil, dotato di temperamento più impetuoso e di una indomabile esigenza di chiarezza intellettuale, agì sul fratello Gilbert, sottolinea Yves Denis con un' immagine assai calzante, come un catalizzatore mettendo in moto una ricerca che doveva portarlo per un percorso di maturazione personale a condividere lo stesso approdo.(Y. Denis, Paradoxe et catholicisme. Etude sur la pensée de G. K. Chesterton, Université de Toulose le mirail, 1974, pag. 16).
Anche dal punto di vista biografico, le vicende di Cecil furono fondamentali nella vita del fratello maggiore. Fu Cecil, approdato per primo al cattolicesimo, ad insinuare nella cerchia di amici di Chesterton personalità cattoliche che furono protagonisti nelle vicende della sua conversione, a partire da quel Padre O'Connor che fornì il primo spunto per il suo personaggio più intramontabile e famoso, Padre Brown. Fu il più combattivo Cecil, con il giornale da lui fondato "The Eye-Witness“ ad aprire definitivamente gli occhi del fratello sulla corruzione del potere politico, a proposito del caso Marconi soprattutto, che Chesterton considerava avvenimento più significativo della Grande Guerra stessa, meritevole più di quella di essere considerato uno spartiacque storico. Fu infine la triste realtà della sua morte durante la I guerra mondiale, sul fronte francese, a lasciare sulle spalle del fratello la direzione del giornale. Dovere che Chesterton, per l'ammirazione e l'affetto che lo legavano al fratello, non riuscì a risolversi a rifiutare e che molti, per prima sua moglie stessa giudicarono un peso troppo grande per lui. Il giornale ebbe infatti vita difficile, e rappresentò un drenaggio non solo di tempo e di energie, ma anche di denaro, correndo più volte il rischio della bancarotta. D'altra parte esso rappresentava anche per Chesterton un luogo dove esprimere in piena libertà le sue idee paradossali.
Accontentiamoci però qui di dire che il fratello Cecil fu nei primi anni di vita di Gilbert il pubblico, l'avversario e lo specchio grazie al quale egli affinò le sue capacità.

Gli studi e la crisi
La media borghesia inglese di fine Ottocento aveva le sue idiosincrasie, e di queste la più virulenta era l'importanza data alla corretta pronuncia e alla corretta ortografia, vere discriminanti che ai suoi occhi la distinguevano dalle classi inferiori. Di questo ebbe a profittare Chesterton:“Grazie a questa preoccupazione, mio padre conosceva a perfezione tutta la letteratura inglese, e gran parte di essa entrò nella mia memoria, molto prima di entrare nel mio intelletto”. (GKC, Autobiografia, pag.18)
Letteratura e arte furono sempre i campi in cui più viva si manifestava la sua competenza. Dare un resoconto delle sue letture è però impresa ardua. Destò sempre meraviglia, in tutti quelli che lo conobbero, la sua straordinaria velocità di lettura e la sua prodigiosa memoria riguardo a ciò che leggeva. Sembrava avesse dedicato ad un testo solo una fugace attenzione e una scorsa veloce e si rivelava poi capace di citarlo a memoria, quando non giungeva a vederci qualcosa che nessun altro sarebbe stato capace di scorgervi. Aveva infatti anche questa dote singolare, che si potrebbe chiamare intuizione, per la quale egli coglieva con straordinaria esattezza il nocciolo di una opera o di una questione. Doti tanto più sorprendenti in lui, dal momento che per quanto riguardava la vita pratica, la sua smemoratezza e distrazione sarebbero ben presto divenute proverbiali. (Chesterton non smentì mai l'aneddoto secondo il quale egli avrebbe telegrafato alla moglie: "Sono a Market Haborough. Dove avrei dovuto essere?". La risposta della moglie fu un laconico: "A casa"). Malgrado le sue indubbie doti il suo esordio scolastico non brillò di eccessivo splendore, a causa soprattutto di quella che passava per distrazione ma era invece il suo contrario: Chesterton sembrava assente agli occhi di chi l'osservava, professori compresi, perché era tutto presente a sé stesso: era assorto nelle sue riflessioni o nell'immaginazione creatrice. Frequentò la St. Paul School da esterno, continuando a risiedere in famiglia. Fu notato dai suoi professori e soprattutto dal preside Walker solo verso la fine del suo corso di studi, grazie ai suoi contributi alla rivista dello Junior Debating Club, da lui fondato e presieduto. Si trattava di una libera aggregazioni di studenti che si riunivano a casa ora dell'uno, ora dell'altro, per discutere un argomento di carattere letterario. Chesterton vinse anche, con un componimento su S. Francesco Saverio, il premio Milton per la poesia, e finì così in gloria quel periodo che nella sua autobiografia, in un capitolo intitolato "Come essere un asino", definisce
“Periodo durante il quale venivo istruito da qualcuno che non conoscevo, intorno a qualcosa che non desideravo conoscere”.
Diverse strade si aprivano ora al giovane Chesterton. Tra i suoi molti talenti scelse il disegno e si iscrisse alla Slade School of Art. Dopo un infanzia particolarmente serena e felice, giunse la nemesi, sotto forma di un periodo di profonda crisi morale ed intellettuale che occupò tutto il periodo speso alla scuola d'arte. Dal punto di vista morale Chesterton era dominato da un intenso impulso di immaginazioni morbose, che si sostanziavano tra l'altro in disegni, di demoni o altro, tanto cupi che due suoi amici sfogliando il suo quaderno si chiesero preoccupati se non stesse diventando pazzo. Questa crisi, durante la quale Chesterton si immischiò anche in pratiche di spiritismo, lo lasciò per sempre persuaso della esistenza oggettiva del peccato e del diavolo. Da notare anche il giudizio che Borges diede su Chesterton, secondo il quale c'era in lui una vena di Poe, un'attrazione per il grottesco ed il macabro, solo a stento tenute a bada dalla lucidità del pensiero e dalla forza della fede (J. L. Borges, Altre Inquisizioni, Feltrinelli, pag 90: "Tali esempi, che sarebbe facile moltiplicare, provano che Chesterton si impedì di essere Edgar Allan Poe o Franz Kafka, ma che qualcosa nella creta del suo io inclinava all'incubo, qualcosa di segreto, e cieco e centrale.[...] Soltanto la "ragione" alla quale Chesterton sottomise la sua immaginazione non era precisamente la ragione, ma la fede cattolica.") Dal punto di vista intellettuale invece la crisi si manifestò come uno scetticismo cosi profondo da cadere nel solipsismo.
“Un dubbio metafisico mi faceva sentire come se tutto fosse un sogno. [...] Tuttavia non ero pazzo, nel significato medico o fisico della parola, semplicemente spingevo lontano, fin dove voleva andare, lo scetticismo del mio tempo. E mi accorsi subito che voleva andare un bel po’ più in là di quanto andasse la maggior parte degli scettici. Quando gli atei sciocchi mi dicevano che non v’era nulla all'infuori della materia, io li ascoltavo con una specie di orrore calmo e superiore e con il sospetto che non ci fosse nulla all'infuori della mente. [...]. L'ateo mi diceva, pomposamente, che non credeva nell'esistenza di Dio, e v'erano momenti nei quali io non credevo neppure nell'esistenza dell'ateo". (GKC, Autobiografia, pag. 92).
Il mondo che aveva attorno non lo aiutava certo ad uscire da quel "cieco suicidio spirituale". L'opinione pubblica e la temperie filosofica del tempo erano dominate dallo scetticismo, dal materialismo, dall'evoluzionismo, che non offrivano appigli ai suoi sforzi. Il mondo dell'arte che egli frequentava alla Slade School of Art era dominato dall'Impressionismo, e Chesterton leggeva anche l'Impressionismo come scetticismo.
“Esso illustrava lo scetticismo nel senso di soggettivismo. Era suo principio che, se tutto quel che si poteva vedere di una mucca era una linea bianca e un’ombra porporina, si doveva riprodurre soltanto la linea e l'ombra: in un certo senso, si doveva credere soltanto nella linea e nell'ombra, piuttosto che nella mucca. [...] Quali che possano essere i meriti di quella maniera d'arte, è chiaro che come maniera di pensiero essa ha qualche cosa di altamente soggettivo e scettico. Si presta naturalmente all'insinuazione che le cose esistono solo come noi le percepiamo, o che le cose non esistono del tutto”. (GKC, Autobiografia, pag. 91).
Pochi spunti si offrivano al giovane Chesterton per reagire contro questa sua crisi insieme esistenziale e filosofica: il primo fu l'amicizia che, come sottolinea Maisie Ward nella sua biografia, (M. Ward, G. K. Chesterton, Londra, 1945, pag. 16 e seguenti) Chesterton concepisce in questo frangente come una unione quasi mistica, che pone fra le più eccelse realtà della vita. Un secondo fattore fu la scoperta della poesia di W. Withman e il conforto di quei pochi altri autori di moda che non erano pessimisti, come Browning e Stevenson. La lettura di Withman folgorò Gilbert a tal punto che per un certo periodo i suoi scritti furono di puro stile withmaniano e rifletterono le tesi di questi, rifiutando la credenza nella positiva esistenza del male e abbracciando il suo entusiastico ottimismo. Tuttavia questo non poteva bastargli: l'ultima citazione mette in rilievo una caratteristica precipua di Chesterton. Egli non può fare a meno di riferire ogni cosa alla filosofia, alla concezione dell'uomo che essa sottende, alla visione del mondo che presuppone. Questa incapacità di separare il piano della vita concreta da quello della riflessione filosofica fu la grande forza di Chesterton. Per lui il pensiero informa l'azione e l'azione verifica la teoria. Per questo egli lottò per uscire dallo scetticismo che l'avviluppava: perché era una dottrina realmente e oggettivamente insostenibile, nel senso letterale che la vita non poteva reggere una simile posizione senza finire nella disperazione e nel suicidio. Ciò che egli poteva trarre da Withman era però solo un sentimento della vita opposto a questo, non delle ragioni per preferire l'uno all'altro. Il suo intelletto aveva bisogno di solide ragioni che giustificassero l'ottimismo di Withman, senza le quali non avrebbe potuto farlo proprio. Questa esigenza di chiarezza intellettuale fu il terzo e decisivo fattore che lo condusse fuori della crisi. La realtà positiva della amicizia e la diversa temperie spirituale riscontrabile in Withman, Browning e Stevenson non furono quindi che l'esile appiglio esterno che diede modo di esplicitarsi ad un movimento che era eminentemente interiore. Egli usava le parole di Withman per esprimere qualcosa che sentiva urgere dentro di sé, e che si ribellava violentemente allo scetticismo nell'attimo stesso in cui Chesterton era pienamente convinto, in tutta sincerità, che ciò che lo scetticismo proclamava fosse vero. A salvare Chesterton dal baratro del solipsismo fu l'estrema serietà con cui egli considerava sé stesso dal punto di vista filosofico, serietà grande almeno quanto la scherzosità con cui trattava la propria persona sotto altri riguardi. Egli scelse di andare a fondo di questa rivolta, di ascoltare ciò che essa suggeriva, di rintracciarne l'origine e la consistenza, di seguirne i risvolti e le implicazioni, fino ad elaborare una filosofia fondata su queste basi ed aggredire con l'arma da lui forgiata lo scetticismo che l'opprimeva. L'infelicità di questo periodo lo costrinse a prendere sul serio e a indagare su cosa poggiasse il desiderio di felicità dell'uomo e a elaborare quindi una teoria che rendesse conto e difendesse la possibilità per l'uomo, per ogni uomo di essere felice. Non semplicemente felice ma ragionevolmente e quindi solidamente felice.

Il matrimonio
Dalle esigenze di felicità del cuore umano, dalle evidenze originarie della ragione nacque il suo sistema, una filosofia personale costruita pezzo dopo pezzo, che alla fine del suo itinerario Chesterton riconobbe essere semplicemente il cattolicesimo, l'ortodossia.
“Sono io che ho scoperto con inaudito coraggio quel che era stato scoperto prima [...] Come tutti i ragazzi che si rispettino, ho voluto essere in anticipo sulla mia età. Come loro, ho voluto essere qualche decina di minuti in anticipo sulla verità. La conclusione è stata, che mi sono trovato in ritardo di diciotto secoli. Ho fatto uno sforzo per esagerare giovanilmente la voce dell'annunzio delle mie verità; e sono stato punito, come meritavo, nel modo più comico: le mie verità le ho conservate; sennonché ho scoperto, non che esse non erano verità, ma semplicemente che non erano mie. [...] Ho tentato di fondare di mia testa un'eresia; e quando stavo per dargli gli ultimi tocchi, ho capito che non era altro che l'ortodossia”. (GKC, Ortodossia, pagg. 17 e 18).
Abbiamo anticipato così il termine della sua vicenda; il suo percorso non sarà che una chiarificazione continua della posizione originaria fino alla trasparenza totale emblematicamente riassunta come dicevamo nella figura del principe con la chiave che apre e conclude la sua autobiografia. E' un percorso che occuperà tutta la sua vita, ma per il tempo in cui, lasciata la scuola d'arte, Chesterton si apprestava a tuffarsi nel mondo della carta stampata egli sentiva già in sé “una nuova e focosa risoluzione di scrivere contro i decadenti ed i pessimisti che dettavano legge nella cultura di quel tempo”. (GKC, Autobiografia, pag. 95).
Quattro sono gli eventi che segnano la vita adulta di Chesterton: il matrimonio, il caso Marconi, la Grande Guerra e la conversione.
Innanzitutto lasciata la scuola d’arte nel l895 egli trovò impiego presso una casa editrice, e cominciò a frequentare alcuni circoli di discussione nei quali metteva in gioco i primi abbozzi delle sue idee, le stesse che confluivano negli articoli e romanzi che di sera scriveva. In uno di questi circoli di discussione, che si trovava a Bedford Park, nell'autunno del l896, conobbe la sua futura moglie, Francis Blogg. L'influenza di Francis fu fondamentale nell'esistenza di Chesterton. Fu infatti lei, anglo-cattolica fervente, a mettere in contatto Chesterton con una religione che non era soltanto professata, ma vissuta.
“D’altra parte aveva una specie di appetito ingordo per tutto ciò che dava frutto, come i campi ed i giardini [...]. Secondo quel medesimo principio perverso, praticava di fatto una religione. Cosa assolutamente inesplicabile, sia per me, sia per tutta la rumorosa cultura in mezzo alla quale essa viveva. Moltissime persone parlavano di religioni, specialmente di religioni orientali, le analizzavano e ne discutevano, ma che si potesse considerare la religione come cosa pratica, simile alla coltivazione di un giardino, era per me cosa del tutto nuova e per i suoi vicini nuova ed incomprensibile. [... ] Per tutto quel mondo agnostico o mistico praticare una religione era cosa più difficile a capirsi che professarla”. (GKC, Autobiografia, pagg. 154-155).
Essa fu un costante punto di riferimento per tutta la sua esistenza, anche secondo un altro aspetto: egli era del tutto incapace di occuparsi di sé stesso dal punto di vista pratico, la sua mente era sempre troppo assorta dai suoi pensieri. Era perciò Francis ad occuparsi di tutto: senza di lei Chesterton era letteralmente perso. Fu essa a farsi carico di tutta l'organizzazione della vita del marito, a partire dall'aspetto esteriore, fino alla gestione della sua vita professionale: ogni accordo che non la avesse come testimone sarebbe stato inevitabilmente dimenticato dallo svagato genio che aveva sposato. Faceva tutto ciò lietamente, orgogliosamente consapevole di contribuire a che il marito potesse dedicare le sue energie unicamente al lavoro intellettuale, che gli era più congeniale, piuttosto che ai noiosi dettagli di quale treno prendere e di che vestiti indossare. Malgrado l'assenza di bambini, che entrambi desideravano ed amavano molto, il loro fu un matrimonio singolarmente felice; ancora in vecchiaia a lei Chesterton dedicava poesie e i suoi capelli sfumati di rosso torneranno, in un delicato e discretissimo omaggio, in tutti i personaggi femminili dei suoi romanzi.
Già prima del matrimonio, avvenuto nel l90l, Chesterton aveva iniziato a pubblicare alcune poesie e recensioni. Durante la guerra Anglo-Boera egli scoprì di trovarsi non solo nella minoranza di quelli che erano contrari alla guerra, ma in quella minoranza nella minoranza che era contraria alla guerra non per un generico pacifismo ma per un preciso giudizio su quella guerra in particolare. In generale egli rifiutava l'identificazione della guerra col male tout court perché avvertiva oscuramente che c'è nella lotta qualcosa di positivo. Questa sorta di esigenza di drammaticità sarà un'altra delle linee guida del suo pensiero. Tuttavia giudicava questa guerra in particolare ingiusta, in quanto si cercava di contrabbandare per patriottismo quello che non era altro che una difesa degli interessi dell'alta finanza, istituzione a suo vedere non particolarmente inglese. La minoranza pro boera del partito liberale (che nella maggioranza era favorevole alla guerra) accolse nel suo giornale i contributi di Chesterton alla causa. A partire da questa controversia la sua fama di giovane e promettente giornalista si andò ampliando finché la sua figura alta e via via più imponente diventò leggendaria in Fleet Street, la via londinese dei giornali, dove entrò a far parte, nel tempo, del folklore locale, fino ad esserne il maggior esponente.

Le polemiche e la conversione
Il secondo evento fondamentale della vita di Chesterton fu lo scandalo Marconi che vide coinvolto il fratello Cecil nello scontro con i due fratelli Isaacs.
Il caso Marconi occupa un intero capitolo della fondamentale biografia di Chesterton scritta da M. Ward; l'autrice stessa, data la complessità del caso, ricorse nella sua stesura all'aiuto del marito avvocato. Noi non ci addentreremo per ovvi motivi nei particolari: basterà dire che nel 1912 vi furono delle compravendite sospette di azioni della ditta Marconi, con la quale il governo britannico aveva appena stipulato un contratto, tra i due fratelli Isaacs, di cui uno era proprietario della azienda, l'altro Ministro. Il giornale di Cecil "The EyeWitness" aveva denunciato lo scandalo con toni molto duri, cadendo nell'eccesso di attacchi personali ed egli venne condannato per calunnia sebbene solo con una multa e non, come tutti temevano, con il carcere. La sua condanna nulla diceva, né poteva dire, sulla innocenza o colpevolezza dei due fratelli ebrei; lo scandalo non ebbe comunque per loro alcuna conseguenza: l'inchiesta parlamentare non trasse mai le sue conclusioni. L'evidente ingiustizia indignò Chesterton. Il caso Marconi fu fondamentale per Chesterton perché segnò la fine dell'illusione liberale, del tempo felice in cui credeva oltre che nel liberalismo anche nei liberali, e fu la riprova della verità del giudizio sulla politica inglese espresso dal suo grande amico Hilaire Belloc nel libro "Lo Stato Servile". Lo scandalo contribuì non poco al progressivo approfondirsi del pessimismo di Chesterton nei riguardi della politica
In quegli stessi anni la fama di Chesterton gareggiava con quella di George Bernard Shaw. GBS e GKC erano le iniziali che il pubblico era abituato ormai a riconoscere quotidianamente sui giornali da cui, come da un pulpito, i due diffondevano le loro opposte visioni del mondo. Non c'era argomento sul quale essi non polemizzassero; ma è difficile dire quanto il pubblico capisse del loro dibattito. Nonostante la fama e la popolarità della controversia che oppose Shaw e Wells da un lato e Chesterton e Belloc dall'altro, nell'opinione del pubblico essi erano stranamente simili. Difatti uno strano destino li accomunava: tanto più essi ripetevano con sincera convinzione ciò in cui credevano, tanto più gli ascoltatori sembravano convinti che scherzassero; tanto più essi ribadivano le loro incrollabili convinzioni, tanto più venivano accusati di essere dei fabbricatori di paradossi, pronti a sostenere qualsiasi idea purché strana e sorprendente. Chesterton non perdeva comunque occasione per ribadire la visione del mondo che andava elaborando e precisando anche tramite questo continuo confronto polemico: sfornava libri nei più disparati campi, scriveva articoli, disegnava le illustrazioni per i libri di Belloc, teneva conferenze da un capo all'altro dell'isola, arrivando spesso in clamoroso ritardo e a volte non arrivando affatto, perché si era perduto. La sua salute però ne risentiva: il suo corpo riteneva i liquidi ed egli divenne famoso per la sua larga stazza, su cui tra l'altro era il primo a scherzare. Il peso però sovraffaticava tutto il fisico e a ciò si aggiungeva il superlavoro e lo strapazzo. In coincidenza con lo scoppio della prima guerra mondiale il suo fisico crollò. Cadde in un profondo stato di incoscienza e si temette per la sua vita. Nel delirio accennava ad un passo cui aveva già pensato ma che compì effettivamente molti anni più tardi, la conversione al cattolicesimo. Da tempo si era avvicinato sempre più alla Chiesa Cattolica. La sua ortodossia è già chiaramente visibile nella sua opera dallo stesso titolo e benché egli dica nel primo capitolo di riferirsi al cristianesimo in generale, riassunto sufficientemente nel Credo degli Apostoli, senza entrare nella polemica tra cattolici e protestanti, non sono pochi i passi i cui contenuti dottrinali sono riferibili soltanto al cattolicesimo in senso stretto (cfr. Y. Denis, Paradoxe et catholicisme. Etude sur la pensée de G. K. Chesterton, Université de Toulose le mirail, 1974, pag. 43 e pag. 60 e segg.). Superata la crisi tuttavia dovette passare ancora molto tempo prima che il passo meditato e in spirito già pressoché compiuto fosse compiuto anche esteriormente. Ciò che lo tratteneva era in gran parte la sua riluttanza a fare qualsiasi cosa senza sua moglie e il timore di offendere colei che con la sua fede lo aveva condotto fino alle soglie della conversione. La Chiesa Alta non gli sembrava che la copia sbiadita del cattolicesimo, ma temeva che questo giudizio offendesse la fede di Francis. Più tardi ebbe a dire che l'Anglo Cattolicesimo era come un portico: un portico può essere anche molto bello ma non è una casa; il portico è fatto per introdurre alla casa e un portico tutto solo in un campo, senza casa, è decisamente un'assurdità. Tuttavia egli aspettò a lungo la moglie che pure lo seguirà più tardi e il passo decisivo fu compiuto solo nel 1922.

Defensor Fidei
La conseguenza più importante del conflitto fu però, come avevamo anticipato, la morte del fratello Cecil. Fu un colpo gravissimo per Chesterton, tanto da muoverlo a scrivere e pubblicare una lettera, indirizzata ad uno dei fratelli Isaacs, dai toni durissimi ed assai insoliti per lui. Tutti quelli che lo conoscevano erano concordi nel riconoscere nella cordialità il suo tratto più caratteristico, e per quanto graffianti fossero le sue satire, esse sempre e quasi istintivamente seguivano la massima cattolica di colpire il peccato e non il peccatore.
Ci sembra il caso di inserire qui alcune parole su quello che viene definito l’antisemitismo di Chesterton. Molti hanno cercato di lavarlo da questa accusa, un po' semplicisticamente, affermando che era sentire comune ai tempi in cui viveva. Molti hanno cercato di farlo ancora più semplicemente attribuendolo alla nefasta influenza di Hilaire Belloc. In effetti l'amicizia tra i due durava dall'infanzia e la loro collaborazione intellettuale era tale, che Shaw prese a parlare del Chesterbelloc come di un essere unico, un animale favoloso con quattro gambe e quattro braccia, in cui la scalpitante parte anteriore era Belloc, e la restia parte posteriore era Chesterton. E' vero che Chesterton, ferratissimo quando si trattava di letteratura o di arte, nei suoi giudizi storici si lasciava spesso guidare dal più esperto amico, così come nel campo della politica. E' anche vero che se di antisemitismo si trattava, era una sorta di antisemitismo impersonale, poiché nella vita privata egli aveva molti amici ebrei. Personalmente non credo che si trattasse di un odio razzista quanto del congiungersi di due fattori, un giudizio sociologico che era forse in parte un pregiudizio, e un giudizio storico, che si dimostrò orribilmente esatto. Il suo giudizio dal punto di vista sociologico si basava sull'evidenza della diversità tra il popolo ebraico e quello inglese. Diversità priva di connotazione positive o negative; egli non faceva propria nessuna delle teorie che motivavano l'avversione agli ebrei con questa o quella causa storica: riandando ai tempi della scuola in cui si era fatto paladino dei ragazzi ebrei perseguitati dai compagni di scuola, osservava che nessun ragazzino, all'oscuro di storia, economia e sociologia, aveva mai avuto la minima difficoltà a distinguere tra ragazzini inglesi e ragazzini ebrei. Gli ebrei formavano, nel suo giudizio, un corpo riconoscibile all'interno del più vasto organismo nazionale; un corpo che aveva inoltre più affinità con gli altri analoghi, sparsi nelle varie nazioni, di quanto ne avesse con la nazione che abitava. Questa situazione rappresentava un pericolo, non solo o non tanto per la nazione inglese, quanto per gli stessi ebrei.
In qualsiasi momento questa distinzione, riconosciuta ma non ammessa, poteva sfociare in una aperta persecuzione, questo era il giudizio storico che si rivelò esatto. Se non si voleva la persecuzione occorreva che fosse chiara e ammessa la distinzione e chiari i motivi della convivenza: occorreva una politica di privilegi in Inghilterra, secondo la versione di Belloc; occorreva che gli ebrei avessero una loro nazione, era la soluzione di Chesterton. Non si può negare che le parole di Chesterton fossero a volte pesanti, specie quando il problema della presenza degli ebrei nella società si confondeva con il problema del predominio dell'alta finanza, in cui accadeva che fossero implicati molti ebrei. Ancor più, quando gli ebrei erano rappresentati dai fratelli Isaacs, coi quali fu effettivamente quasi feroce. La questione è complessa, ma certo è paradossale chiamare antisemita un uomo che avvisava del pericolo che di lì a poco, in modo orribile, si sarebbe rovesciato sul popolo ebreo. Chesterton non poté vedere l'enormità della tragedia, morendo nel 1936; ma mentre il mondo sembrava intenzionato a chiudere gli occhi, era l'"antisemita" Chesterton che scriveva
“Sono agghiacciato dalle atrocità hitleriane. Alle loro spalle non vi è alcun motivo né alcuna logica. Si tratta, con tutta evidenza, dell’espediente di un uomo che dovendo cercare un capro espiatorio, ha trovato con sollievo il più famoso capro espiatorio della storia europea: il popolo ebraico. Sono più che convinto che, adesso, Belloc e io moriremo difendendo l'ultimo ebreo d'Europa”. (M. Finch, G.K Chesterton, Ed. Paoline, Milano, 1990, pag. 361).
La morte del fratello significò anche per Chesterton assumersi la direzione della rivista, lavoro che lo occuperà per il resto della vita. Dalla costola della rivista di Cecil e poi sua, “The Eye Witness” poi "The New Witness", che diventerà infine, con grande angoscia di Chesterton, "G.K.'s Weekly". nacque la lega distributista, un associazione che vedeva nella redistribuzione delle terre, confiscate dai latifondisti all'epoca delle "Enclosures", la salvezza dall'epoca industriale. Essa cercava di tradurre in pratica i principi della enciclica papale "Rerum Novarum". Tuttavia non c'era accordo tra i suoi membri su quale strada si dovesse seguire e la lega di cui il giornale era divenuto portavoce sembrava esaurirsi in stizzose e inconcludenti contrapposizioni interne, mentre il suo capo, Chesterton, non cessava di occuparsi esclusivamente dell’aspetto teorico, lasciando ai suoi seguaci di stabilire la rotta dal punto di vista pratico. La lega ebbe un certo successo soprattutto negli USA e in Canada, ma non sopravvisse al suo fondatore. Nel frattempo i Chesterton viaggiavano: giri di conferenze li condussero in Canada, due volte negli Stati Uniti, ove Chesterton era popolarissimo, in Irlanda, in Polonia, in Palestina e a Roma. Questi viaggi si traducevano in libri e articoli. Intanto Chesterton andava riflettendo su quel passo a lungo meditato. Per lungo tempo aveva tentato di convincere sua moglie; ma essa che pur lo seguirà nella fede cattolica, aveva i suoi tempi e non poteva certo cambiare fede solo per compiacere il marito. Tuttavia il confronto con lei chiariva a Chesterton i termini della questione ed infine nel 1922 egli compì il grande passo. La sua conversione al cattolicesimo segna tuttavia non tanto un cambiamento, quanto una definitiva sanzione di un processo insensibile che ha portato Chesterton sempre più vicino alla religione del successore di Pietro, tanto che poche differenze si possono trovare nei suoi scritti anteriori o posteriori a tale data. Non fu tuttavia un avvenimento indolore: ma la fase di entusiasmo e di raffreddamento dell'entusiasmo, le gioie e i pericoli che ogni convertito deve affrontare furono avvenimento personalissimo, che ebbe scarso influsso nella sfera del pensiero, nella quale già da tempo Chesterton si trovava in pieno accordo con l'ortodossia cattolica. Gli ultimi anni furono spesi in battaglie politiche e nello snervante sforzo di mantenere in vita il giornale, oltre che nella stesura di opere di più chiaro intento apologetico. Quando si spense il 14 giugno 1936, i giornali inglesi che ne dettero l'annuncio non vollero pubblicare per esteso il telegramma di condoglianze del Santo Padre perché in esso si attribuiva a Chesterton un titolo, quello di Difensore della Fede, che in Inghilterra spetta unicamente al re.

Le opere
Nessuno avrà probabilmente il coraggio di sostenere di aver letto tutto Chesterton: i suoi scritti sono una miniera pressoché inesauribile di paradossi e di immagini illuminanti, benché l'idea centrale da cui scaturiscono sia unica. Qui di seguito tracceremo un parallelo tra le sue opere più importanti e le sue vicende biografiche, rimandando per il resto alla bibliografia.
Chesterton fu autore prolifico all'eccesso. Tanto che nella enorme massa delle sue opere, ogni critico ha avuto modo di intagliarsi il suo Chesterton, e se tutti sono d'accordo nel dire che qualcosa di Chesterton non perirà mai, difficilmente si trovano due critici che siano d'accordo su quale sia questo qualcosa, se il Chesterton saggista, il Chesterton poeta o il Chesterton romanziere; qualcuno rivaluterà il suo impegno politico spesso profetico, qualcuno si dorrà che non si sia dedicato tutto al teatro, molti giudicheranno riduttivo il suo impegno come giornalista, altri lo porranno al centro della sua vocazione di scrittore (una panoramica dei diversi giudizi sull'opera di Chesterton in D.J.Conlon, A Half Centurv wiews, NY,1987). Nessuno avrà probabilmente il coraggio di sostenere di aver letto tutto Chesterton: i suoi scritti sono una miniera pressoché inesauribile di paradossi e di immagini illuminanti, benché l'idea centrale da cui scaturiscono sia unica. Qui di seguito tracceremo un parallelo tra le sue opere più importanti e le sue vicende biografiche, rimandando per il resto alla bibliografia.
Chesterton fu autore fin quasi dalla culla. Se da piccolo declamava modestamente Shakespeare, fin dai tempi della scuola riempiva quaderni di disegni e di abbozzi di opere. I primi ad essere stampati furono i suoi contributi a "The Debater", l'organo del Junior Debating Club, tra cui il saggio sui draghi (Dragons: a sketch) che inizia "Il drago è certamente la più cosmopolita delle impossibilità", esordio già tutto chestertoniano. Tra i suoi contributi vi erano anche saggi storici e poesie, che Chesterton adulto definì “cattive imitazioni di Swinburne perfettamente bilanciate da pessime scopiazzature di "Lays of ancient Rome”. (La frase ricorre in GKC, Autobiografia, pag. 66; ma è citata nella più scorrevole traduzione di M. Ffinch, G.K. Chesterton, ed. Paoline, 1992, pag 48. “Lays of ancient Rome” è un opera di Macaulay)
Il Debater nacque nel marzo 1891 e continuò la pubblicazione fino al 1893.
Il suo periodo di "follia" alla Slade School non trovò espressione letteraria, ma pose le fondamenta della sua carriera di giornalista. Frequentando le lezioni di inglese del professore Ker, conobbe Ernest Hodder Williams, della omonima casa editrice. Questi gli affidò alcune recensioni di libri d'arte, che apparvero anonime sul "Bookman", la rivista organo della casa editrice. Nel 1900 il padre di Chesterton curava la pubblicazione di una raccolta di sue poesie col titolo “Il Cavaliere Selvaggio”. Questa raccolta fu preceduta di poco da un’altra: “Barbagrigia si diverte”, che Chesterton non cita nella sua autobiografia, per cui “Il cavaliere selvaggio” viene spesso considerato la prima opera pubblicata di Chesterton. A voler essere ancora più precisi e volendo escludere i contributi al Debater, la prima opera pubblicata di Chesterton è però la poesia “La canzone del lavoro” pubblicata sul "The Speaker" nel 1892. Lo stesso giornale, divenuto proprietà di una piccola minoranza liberale pro-boera, ospiterà qualche anno dopo il primo contributo regolare di Chesterton ad un giornale, una serie di articoli in cui supportava tra l'altro la causa dei pro-boeri.
Nel 1901, vale a dire l'anno del matrimonio, inizia la regolare collaborazione col "Daily News" che terminerà bruscamente nel 1913 a causa dello scandalo Marconi. Nello stesso anno viene pubblicato “The Defendant”, termine tecnico legale che in Inghilterra indica l'accusato che si difende da sé, (in Italia per mancanza di un sinonimo è stato tradotto “Il bello del brutto”), raccolta di articoli apparsi nel l898 su "The Speaker"


Autore:
Marzia Platania


Fonte:
www.culturacattolica.it

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Aggiunto/modificato il 2019-12-02

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