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Padre Leopoldo Sartori Missionario

Testimoni



Le cose, fin da bambino, per lui non girano molto bene: nato a Lodi nel 1939 in una famiglia povera e numerosa, a cinque anni è orfano di padre; a sette anni è in orfanotrofio con una delle sue sorelle e vi resta per dodici anni, mantenuto dalla pubblica beneficenza perché mamma, semplice ed umile lavandaia, non avrebbe di che mantenerli e la sorella maggiore, che aveva iniziato a lavorare e quindi ad aiutare la famiglia, muore di pleurite. Buon per lui che in orfanotrofio trova nel direttore un secondo papà, che lo fa studiare, gli trova un lavoro e lo fa crescere con la testa a posto, tanto da diventare più bravo degli altri:  a giocare al pallone, a suonare la tromba ed a cantare. Un tipo simpatico e intelligente, insomma, che a 18 anni avverte la vocazione sacerdotale e missionaria, che realizza entrando nel Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME). Non è un fuoco di paglia, anzi è così determinata da fargli superare le immancabili difficoltà di una vocazione adulta che deve inserirsi con compagni poco più che adolescenti. Sacerdote a trent’anni con il desiderio di partire subito per le missioni, viene “parcheggiato” a Sotto il Monte, come assistente prima e rettore poi del seminario minore, da poco inaugurato e che già si parla di chiudere, perché quelli sono gli anni “postsessantottini” che segnano la crisi e la scomparsa dei seminari minori. Sono anche gli anni in cui il prete giovane si innamora, di un amore che lo accompagnerà per tutta la vita. Nel 1972 ha infatti chiesto ed ottenuto di passare almeno due mesi in Guinea-Bissau e con questa terra è amore a prima vista. Se la sogna anche di notte, mentre scalpita perché i superiori lo lascino partire per la missione. Deve ancora pazientare due anni perché anche il suo fegato si mette di traverso, cominciando a fare le bizze per un’epatite, destinata a cronicizzarsi. Gli danno il “via libera” nel 1974 con destinazione proprio la Guinea, sufficientemente rimesso in salute (almeno si crede), ma quattro anni dopo deve ritornare: ammalato “sul serio”, bisognoso di cure e di riposo, tanto da dover limitare al massimo il suo ministero sacerdotale. Per lui è un autentico esilio, che tuttavia non lo inaridisce e non lo inasprisce perché nelle lunghe soste oranti davanti all’Eucaristia trova il coraggio per mantenere il cuore giovane ed aperto alla speranza. Comincia così a chiedere il “miracolo” di poter tornare in Guinea, ma deve attendere dodici anni perché si possa avverare. Riparte nel 1990 e davanti gli stanno appena sei anni: nel 1996 lo fanno rientrare in Italia il 13 maggio con il fegato a pezzi che lo porta alla morte il successivo 26 maggio. In tutto, quindi, appena dieci anni di missione, pesantemente condizionati perdipiù dalla malattia, che non registrano grandi opere realizzate e dai quali sono completamente assenti visioni e “miracoli”, mentre non sono affatto esenti da difetti (dicono facesse un po’ troppo “a modo suo”, addirittura con qualche punta di testardaggine, e che inoltre non avesse troppo cura della sua salute). Eppure, la vita di padre Leopoldo Sartori da qualche mese è sotto la lente d’ingrandimento della procedura prevista per la sua beatificazione. E questo a furor di popolo: a Lodi, ma soprattutto in Guinea, dove tutti hanno la certezza di aver avuto a che fare con un santo. D’altronde, Leopoldo ha sempre desiderato la santità, convinto com’è che “se non si è missionari santi non bisogna andare in missione” e che “solo un santo può portare il Signore a chi lo aspetta”. Per questo si sforza di essere una ”Eucaristia-umana”, cioè un prete quotidianamente trasformato dall’Eucaristia celebrata, ricevuta e adorata. Anche per cinque ore al giorno, secondo l’impegno che ha preso dopo un “deserto” alla Città dei Ragazzi di Cuneo e con il proposito, maturato con don Gasparino, di essere un “missionario-monaco che nella preghiera e carità testimoni la tenerezza di Dio, la compassione di Gesù”. In compenso delle opere che non ha realizzato, in terra di missione ha insegnato alla gente a pregare, a meditare, a crescere spiritualmente. “Anche se nel silenzio dell’inutilità dei miei giorni, cercherò di fare ogni cosa profondamente unito a Gesù per Maria”, aveva scritto e da quanto gli è riuscito di seminare e far crescere sembra proprio che sia riuscito a stabilire questa unità. D’altronde, non aveva pure scritto che “più  sarò unito a Lui più sarò missionario, perché il poco con Gesù è molto, il molto senza Gesù è poco”?


Autore:
Gianpiero Pettiti

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Aggiunto/modificato il 2013-05-28

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