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Beato Luciano Botovasoa Padre di famiglia, Terziario francescano, martire

17 aprile

Vohipeno, Madagascar, 1908 – Ambohimanarivo, Madagascar, 17 aprile 1947

Lucien Botovasoa, nato nel 1908 a Vohipeno, nel Madagascar, ricevette il Battesimo nel 1922. Divenne insegnante nella scuola del suo villaggio e catechista della missione di Vohipeno. Nel 1930 sposò Suzanne Soazana, che gli diede otto figli. Nel 1940 conobbe il Terz’Ordine francescano e ne fondò una Fraternità nella sua missione: da allora prese a vivere in maniera sobria e lieta, nel più puro spirito francescano, tanto da far preoccupare sua moglie. Durante i disordini che coinvolsero il Madagascar verso l’indipendenza, si rifiutò di entrare in politica, ma i capi locali lo presero di mira per la sua vicinanza ai missionari francesi. Il 16 aprile 1947 venne arrestato e ribadì di non voler sostenere un partito che aveva atteggiamenti anticlericali: durante la notte, dopo un processo sommario, fu decapitato. Il suo corpo fu gettato nel fiume sulle cui rive era avvenuta la sua esecuzione. È stato beatificato il 15 aprile 2018 a Vohipeno, sotto il pontificato di papa Francesco.



A portarlo lungo il fiume per sgozzarlo è una banda di giovanissimi “rivoluzionari”, molti dei quali sono venuti a scuola da lui: per questo, forse, hanno le mani che tremano, a cominciare da quello che tiene il coltello. «Smettete di tremare, cercate di tagliare la gola con un colpo netto», li incoraggia il martire, che non ha paura di perdere la vita, ma del momento in cui verrà decapitato sì.
La morte cruenta di questo maestro non ha nulla a che fare con le beghe politiche del momento; e lui non può essere considerato una delle tante vittime della guerra indipendentista che ha insanguinato il Madagascar a metà degli anni Quaranta: è stata soltanto la fede cristiana a decretare la sua fine e a determinare la sua decapitazione. Questo, per la Chiesa, si chiama martirio, in forza del quale è stato proclamato Beato il 15 aprile 2018.
Lucien Botovasoa nasce in un piccolo villaggio nel 1908, in una zona in cui i missionari sono arrivati da poco. Lo mandano a studiare in città, dai Gesuiti, perché si capisce a vista d’occhio che è destinato a sfondare nello studio e nella vita. Torna nel 1928, diplomato maestro e con tanta voglia di fare, con la sua prorompente vitalità, le sue doti di insegnante esperto e di musicista eccezionale.
Oltre ad esibirsi con la tromba, il suo strumento preferito, canta, suona l’armonium, dirige il canto in chiesa. Pratica sport ed è particolarmente dotato per le lingue, tanto da destreggiarsi bene anche in francese, latino, tedesco, cinese ed inglese. È un insaziabile divoratore di libri e un pozzo di scienza che, insieme ad un carattere esuberante, gioviale e comunicativo, fanno di lui un leader indiscusso.
Nel 1930 si sposa con Suzanne Soazana, che gli darà otto figli. Non si accontenta di una vita cristiana all’acqua di rose: vent’anni prima che il Concilio rivaluti il ruolo dei laici e “apra le porte” ad una santità diffusa in tutto il popolo di Dio, Luciano si sente pienamente realizzato nel suo ministero laicale. «Sono molto contento della mia condizione, perché mi ha chiamato Dio ad essere laico, insegnante e sposato», risponde prontamente, a chi rimpiange che con tutte le sue belle doti non sia diventato prete.
Cercando nei libri modelli di sposi santi da imitare, si imbatte casualmente nella Regola dei Terziari Francescani, che gli offre la possibilità di vivere una forma di consacrazione all’interno del matrimonio. Da quel momento la sua vita spirituale riceve nuovo impulso e assume un ritmo quasi monacale: porta il cilicio, digiuna il mercoledì e il venerdì, si alza ogni notte a mezzanotte per pregare in ginocchio, poi va in chiesa alle 4 del mattino per una prolungata preghiera fino al momento della messa.
La moglie, fatta evidentemente di tutt’altra pasta, comincia seriamente a preoccuparsi che il marito un bel giorno abbandoni la famiglia per entrare in convento, così lui arrotonda lo stipendio con lavori straordinari per assicurarle un buon tenore di vita, mentre per sé sceglie la sobrietà assoluta anche nel vestire.
Un cristiano così suscita gelosie ed invidie, anche perché ha un grande ascendente nel paese, addirittura presso i protestanti. Lucien, che non si è mai voluto interessare di politica, che ha vietato ai suoi fratelli di schierarsi politicamente, che non appoggia le iniziative filo-francesi anche a costo di urtarsi con il proprio parroco, finisce comunque nell’occhio del ciclone perché la religione, di cui egli è in paese una chiara espressione, è ritenuta connivente con il colonialismo francese da cui il Madagascar vuole affrancarsi attraverso la lotta armata.
Nella settimana santa del 1947 inizia la caccia ai cristiani e si incendiano le chiese. Lucien, fuggito insieme agli altri nella foresta, è costretto però a ritornare al villaggio perché vigliaccamente ricattato dagli indipendentisti, che minacciano, se non si lascia catturare, di sterminare la sua famiglia e incendiare l’intero villaggio.
«Non temo la morte… la mia unica preoccupazione è quella di lasciare voi», dice il 16 aprile, giorno dell’arresto, che trascorre con la moglie e i figli. Dopo averli affidati al fratello (la moglie è in avanzato stato di gravidanza), viene nella notte processato per direttissima.
«Anche voi riceverete il battesimo, ma in punto di morte», profetizza al capo clan che lo condanna a morte, e la profezia si avvererà nel 1964. Poi, sulla riva del fiume, una preghiera per i suoi assassini, prima che la corrente trasporti il suo corpo così lontano da non essere mai ritrovato.

Autore: Gianpiero Pettiti

 


 

I primi anni
Lucien Botovasoa nasce nel 1908 ad Ambohimanarivo, frazione di Vohipeno, nel sud-est del Madagascar. È il maggiore dei nove figli di Joseph Behandry e Philomene Neviantsoa. La sua famiglia è stata tra le prime, del suo villaggio, a convertirsi al cristianesimo: il padre era stato battezzato nel 1902, ma la madre lo avrebbe seguito solo nel 1925.
Lucien compie i suoi primi studi nella scuola del suo villaggio. Domenica 15 aprile 1922, giorno di Pasqua, viene battezzato nella parrocchia di Nostra Signora dell’Assunzione: ha quattordici anni. Il giorno successivo si accosta per la prima volta all’Eucaristia. Il 2 aprile dell’anno dopo, Lunedì dell’Angelo, riceve il sacramento della Cresima: da allora capisce di doversi impegnare a testimoniare il Vangelo in maniera coerente e convinta.

Maestro alla scuola dei Gesuiti
Nel 1924 viene inviato al collegio San Giuseppe di Ambozontany, una scuola di formazione per maestri retta dai padri della Compagnia di Gesù. Ne esce quattro anni dopo col diploma di maestro e, ancora di più, con una formazione solida in tutti i campi.
Già nell’ottobre del 1928 viene assegnato alla scuola parrocchiale di Vohipeno. Le persone del suo villaggio lo apprezzavano da sempre: anche in questo nuovo ruolo, gli riconoscono autorevolezza e lo ritengono un modello di credente.

Il matrimonio
Il 10 ottobre 1930, nella chiesa parrocchiale di Vohipeno, sposa Suzanne Soazana, che gli darà otto figli. Il primo, Vincent de Paul Hermann, nasce nel settembre successivo. Degli altri, solo cinque non moriranno in tenera età.
Una suora che conosce, suor Marie-Joseph, gli domanda: «Maestro, tu che sei così pio, tu avresti potuto diventare sacerdote: non rimpiangi di esserti sposato?», Lucien, senza esitazione, risponde: «Nessun rimpianto; al contrario, sono felice del mio stato, perché Dio mi ha chiamato ad essere laico, sposato e maestro di scuola. Così posso vivere in mezzo alla gente e fare quello che voi, padri e suore, non potete fare, dal momento che qui sono ancora pagani. Io posso infatti mostrare loro un aspetto del cristianesimo che riescono a comprendere, poiché non sono straniero per loro». 

La scoperta del Terz’Ordine Francescano
Nel metodo educativo attuato dal maestro Lucien hanno grande parte gli esempi dei Santi: lui li legge agli allievi dopo le lezioni, ma anche per conto proprio ne cerca di nuovi. Tuttavia, per lungo tempo non riesce a trovare storie di Santi che avessero vissuto in modo esemplare il matrimonio.
Un giorno, però, trova un manuale del Terz’Ordine francescano (oggi Ordine Francescano Secolare), arrivato chissà come nel suo villaggio. Per lui è una folgorazione: la Regola lì descritta è una via per la santificazione adatta anche alle persone sposate. Sorge un problema, però: per diventare terziario deve avere una Fraternità di riferimento, ossia un insieme di fedeli guidati da un responsabile. Inizia quindi a chiedere ad alcuni suoi conoscenti, che frequentano la sua stessa parrocchia. Dopo la prima aderente, Marguerite Kembarakaly (che era stata la sua catechista in preparazione al Battesimo), ne seguono molti altri. L’8 dicembre 1944 Lucien compie la sua vestizione.

Sobrietà e umiltà
L’adesione al Terz’Ordine cambia in modo profondo la sua vita. Inizia a vestirsi in maniera sobria e assume una sorta di divisa, composta da camicia e pantaloni color kaki: dice che quel colore gli sembra adatto ai terziari. Sotto gli abiti, intorno alla vita, porta il cordone, segno del suo impegno a seguire la spiritualità di san Francesco d’Assisi.
Si alza prestissimo per pregare: alle quattro del mattino è già in chiesa. Non perde occasione per recitare il Rosario, anche mentre è per strada: per questo i suoi allievi lo soprannominano «seme di pikopiko», riferendosi a una pianta i cui semi somigliano ai grani di una corona. Nel suo manuale del Terz’Ordine tiene sempre una copia, scritta di sua mano, delle «Litanie dell’umiltà» rese famose dal cardinal Rafael Merry del Val.

Contrasti con la moglie
Tuttavia, questo suo stile impensierisce la moglie: preoccupata che lui non sappia dare il giusto tempo alla famiglia, glielo fa presente a più riprese. Esasperata, la donna arriva ad accusare lo stesso san Francesco: «Lui ti ha reso pazzo», grida, indicando un quadretto che lo raffigura insieme al lupo di Gubbio. Lucien, invece, tace per dare gloria a Dio: il motto gesuita «Ad maiorem Dei gloriam» è parte di lui sin dagli anni in cui studiava per diventare maestro.
Anche Suzanne è cattolica, ma ha paura che prima o poi il marito la lascerà per farsi religioso. Quando glielo fa presente, lui scoppia a ridere e le spiega che, invece, ama moltissimo lei e i loro figli: se digiuna due volte alla settimana, il mercoledì e il venerdì, non obbliga anche loro a fare lo stesso, anzi, invita lei a cucinare pietanze migliori, oppure dà lui stesso ai figli la propria razione di cibo.

Un’onestà proverbiale
In un’altra occasione, la donna lo rimprovera: «Sei così intelligente! Perché non lavori come contabile, per guadagnare qualche soldo in più?». Con dolcezza, le replica: «Se anche avessimo tanti soldi da riempire questa casa, non avremmo mai la ricchezza che abbiamo ora. È una ricchezza che non sarà mai vinta dalla ruggine».
Il suo distacco dai soldi diventa proverbiale, dopo che ha restituito un sacco di denaro a un mercante di buoi, rifiutando la ricompensa che gli sarebbe spettata. Ancora oggi, a Vohipeno, si dice in senso ironico: «Come Botovasoa che ha trovato del denaro: invece di prenderselo, lo restituisce al proprietario».

Colto e francescanamente lieto
Seppur con un regime di vita austero, Lucien mantiene il suo carattere allegro: molti testimoni hanno affermato di non averlo mai visto arrabbiato. È un abile suonatore di tromba e dell’armonium, con cui accompagna le funzioni nella chiesa di Vohipeno.
È molto portato per le lingue: sa il malgascio classico, il francese, il latino, un po’ di tedesco, l’inglese, perfino il cinese (imparato tramite i commercianti del villaggio). Padroneggia infine i testi classici arabo-malgasci del «Sorabè», ossia «Grande Scrittura», nei quali i vari clan familiari, incluso il suo, si tramandavano i loro segreti.

Una situazione difficile
Alle prove in famiglia si aggiungono, ben presto, quelle derivanti dalla situazione politica. Nel 1947, infatti, cominciano a sorgere fermenti indipendentisti. I missionari e coloro che li seguono sono accusati, a volte a torto, a volte a ragione, di sostenere i colonialisti francesi. Un uomo come il maestro Botovasoa sembra la persona giusta per diventare una guida politica: entrambe le parti in lotta se lo contendono.
Alla porta di casa di Lucien si presenta un giorno il segretario del Padesm (sigla per “Parti des déshérités de Madagascar”, “Partito dei diseredati del Madagascar”), per chiedergli di diventarne il presidente. Lui giustifica il proprio diniego in questi termini: «La politica mi è totalmente estranea. Sapete tutti che cosa amo, sono le questioni religiose ed esse occupano tutto il mio tempo». Sempre per le sue doti intellettuali, i notabili del villaggio lo vorrebbero segretario del MDRM (“Mouvement Démocratique de la Rénovation Malgache”), il partito rivoluzionario anticoloniale.

L’ “ultima Messa”
Il pomeriggio della Domenica delle Palme, il 30 marzo, arriva la notizia che stanno arrivando i ribelli. Lucien accetta di seguire suo padre e i suoi fratelli nel bosco, in un terreno di loro proprietà. Qualche giorno dopo, viene a sapere che a Vohipeno ci sono stati dei massacri. Rientra il mercoledì della Settimana Santa, perché i rivoltosi hanno minacciato di uccidere la sua famiglia.
Nel villaggio non ci sono più né le suore né i Padri Lazzaristi che tengono la missione: il parroco, padre Pierre Garric, si è rifugiato nella città vicina, sotto il controllo dei francesi. Per giunta, le porte della chiesa sono sprangate.
La domenica dopo Pasqua, Lucien raduna nella sua scuola tutti i cristiani, cattolici e protestanti, rimasti nel villaggio. Le suore portano il loro armonium e lui suona e canta, poi commenta il Vangelo. Qualcuno dei presenti ha definito quella celebrazione come «l’ultima Messa che ha celebrato il maestro». Tecnicamente è un’affermazione impropria, ma di fatto aveva svolto una sorta di supplenza sacerdotale.

L’addio alla famiglia
Giovedì 15 aprile, insieme ai suoi familiari, è nell’abitazione riservata al maestro, vicino alla chiesa, quando una donna, trafelata, lo raggiunge: il capo del villaggio vuole convocarlo nella «Grande Casa», ossia la sua residenza. La moglie, incinta di due mesi, inizia a piangere, mentre uno dei figli è colto dalla febbre.
Lucien, invece, sembra calmo e afferma: «Ho sempre atteso questo momento, io sono pronto. Non temo la morte, anzi la desidero, perché è beatitudine. La mia unica preoccupazione è quella di lasciare voi». Affida quindi la moglie e i bambini a suo fratello André e trascorre il resto del pomeriggio pregando.

Il processo
Tsihimoño, il re o capovillaggio, interroga il maestro accusandolo di essere alleato degli stranieri e, per l’ultima volta, gli chiede di diventare presidente del partito. Per tutta risposta, Lucien afferma: «Voi uccidete, bruciate le chiese, impedite la preghiera, fate calpestare il crocifisso e volete trasformare la chiesa in una sala da ballo. So bene che mi ucciderete, e io non mi sottraggo. Se la mia vita potrà salvarne altre, non esitate a uccidermi. La sola cosa che vi domando è di non far del male ai miei fratelli».
Queste parole gli valgono la condanna a morte. Prima di andare sul luogo dell’esecuzione, ha ancora qualche parola per il capo: «Re, prima di morire, tu sarai battezzato, tu dovrai morire cristiano. Sarà duro per te, ma non aver paura: io sarà là, non lontano da te».

Il martirio
Viene quindi portato sulla riva del fiume Matitana da alcuni giovani, compreso qualche suo ex-allievo. Un testimone oculare lo vede mentre chiede di poter pregare e lo sente sussurrare: «O Dio, perdona questi miei fratelli che hanno ora un difficile compito da assolvere nei miei confronti. Il mio sangue, versato a terra, possa essere per la salvezza della terra dei miei Antenati». Gli esecutori materiali esitano a colpirlo, ma lui li incoraggia: «Vi prego, smettetela di giocare con le vostre mannaie, e cercate di tagliarmi bene la testa, d’un sol colpo».
Il terzo boia lo colpisce, ma non gli stacca del tutto la testa. Infine, quando tutti i carnefici hanno bagnato le loro armi nel suo sangue, spingono il suo cadavere nel fiume: s’incastra, ma lo liberano e lo lasciano portare via dalla corrente. È la notte tra il 16 e il 17 aprile 1947: Lucien ha 39 anni.
A quindici anni di distanza, nel 1964, Tsihimoño, in punto di morte, manda a chiamare un sacerdote. Padre Vincent Carme, missionario lazzarista, riceve da lui la rivelazione delle parole che aveva sentito: lo porta in ospedale, dove riceve il Battesimo e, dopo una settimana, muore.

La causa di beatificazione
Già negli anni 1960-1965 si pensò di aprire la causa per indagare l’effettivo martirio in odio alla fede di Lucien, ma senza esiti positivi. Solo negli ultimi anni è effettivamente partita, a cura della diocesi di Farafangana (sotto cui ricade Vohipeno) e in collaborazione con l’Ordine dei Frati Minori Cappuccini. Aperta il 7 settembre 2011 (ma il nulla osta è arrivato l’11 ottobre 2011), si è conclusa il 17 aprile 2013. Gli atti dell’inchiesta sono stati convalidati il 21 marzo 2014.
La “Positio super martyrio”, trasmessa nel 2015, è stata valutata positivamente dai Consultori storici della Congregazione delle Cause dei Santi il 4 settembre 2015, dai Consultori Teologi l’8 novembre 2016 e dai cardinali e dai vescovi membri della medesima Congregazione il 2 maggio 2017.

Il riconoscimento del martirio e la beatificazione
Il 4 maggio 2017, ricevendo in udienza il cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui Lucien Botovasoa veniva ufficialmente dichiarato martire.
La sua beatificazione è stata celebrata il 15 aprile 2018 a Vohipeno, presieduta dal cardinal Maurice Piat, vescovo di Port-Louis, come delegato del Santo Padre.


Autore:
Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2018-05-05

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