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Maria Dutto Laica

Testimoni

novembre 1929 - 24 febbraio 2020

Straordinario esempio di laica cattolica e di intelligenza fedele alla Chiesa, nutrita da una fede profonda, coltivata nell’amore del Cristo salvatore e sempre rigenerata dall’impegno per il bene del prossimo. Già presidente dell’Opera Impiegate, realtà fondata da padre Agostino Gemelli nel 1912 per assistere donne in difficoltà che arrivavano a Milano per lavoro, dal 1976 al 1983 guidò come presidente diocesano l’Azione Cattolica ambrosiana. Fu amica e preziosa collaboratrice del card. Carlo Maria Martini. Anche in tempi recentissimi, nonostante la fatica degli anni, non fece mai mancare il suo sostegno, la sua testimonianza di fede e di passione associativa, il suo bellissimo sorriso pieno di speranza per il futuro. Nell’ultimo incontro con i giovani dell’Ac ambrosiana, lo scorso 26 maggio, così diceva loro: «Sessant’anni fa cantavamo: la mano all’opra, gli occhi e il cuor lassù, avanti, avanti, avanti per Gesù. Se lo cantavo allora, vale ancora oggi: la mano all’opra, cioè quello che la sorte mi riserva ancora, per le mani che posso ancora mettere nel fango della vita, però con gli occhi e il cuore lassù, non contro, non per tacitare le paure e… avanti!».



Per tanti, nelle diocesi italiane, il nome di Maria Dutto è legato all’Università Cattolica del Sacro Cuore in cui ha lavorato dai primi anni ’60 fino al 1984, ma, a ben vedere, anche questo aspetto della sua biografia è parte integrante della vocazione laicale, vissuta nell’adesione convinta all’Azione Cattolica.

La Gioventù femminile e la vocazione laicale

Per lei, così come per centinaia di migliaia di giovani donne, era stata la Gioventù Femminile (GF), guidata da Armida Barelli, a far conoscere e a far amare l’Ateneo del Sacro Cuore.
La GF costituisce un indubbio fattore di novità che ha contribuito ad aprire percorsi inediti di presenza della donna nella Chiesa e nella società. Nell’Associazione Maria conosce il valore della chiamata laicale, il grande ideale dell’apostolato. In quegli anni tante giovani maturano il senso di una dedizione che le porta a consacrare l’intera vita secondo una intuizione che, ad opera di padre Gemelli e Armida Barelli, prenderà forma nella prima metà del Novecento: gli istituti secolari. Una strada nuova con un carisma che la Chiesa riconoscerà solo anni più tardi: consacrarsi a Dio rimanendo nel mondo e operando al suo interno per l’avvento del regno di Cristo. Un carisma che comporta la consacrazione a Dio, ma non rinuncia per questo alla laicità: “rimanere laici” era la ferma convinzione della Barelli.
Due anni più tardi l’arcivescovo Montini, con la “Missione di Milano”, solleciterà un impegno straordinario di evangelizzazione. Si tratta di andare incontro ai cosiddetti “lontani”, di farsi carico delle molte povertà: nella periferia dove Maria abita sono sentiti i problemi del lavoro e della casa. Dirà in anni recenti, ripensando a quella stagione, come l’essere consacrati a Dio significasse «”stare nel mondo”, per prendersi i pensieri del mondo».
È solo un cenno ad una pagina poco nota, ma che è dentro al legame tra GF e Università Cattolica, dentro la biografia di tante donne protagoniste, centrali e periferiche, di quella feconda stagione.  L’Università Cattolica fin dalle sue origini ha vissuto traendo linfa vitale dal legame con il mondo cattolico italiano, in particolare con la realtà popolare che la Gioventù Femminile, come un po’ tutta l’Azione Cattolica, riuscì a metterle intorno orientandovi persone motivate e assicurando il sostegno economico su base popolare.

Chiamata in Università Cattolica

Maria ricorderà come il legame con l’Università Cattolica nella sua giovinez­za «fosse stato segnato profondamente da quanto in Gioventù Femminile ci veniva proposto. Si concretizzava – dirà – nella Gior­nata universitaria, che ci vedeva impegnate nella preghiera e nel lavoro di raccolta, ma era preceduta dalla informazio­ne di quanto l’Università Cattolica realizzava e compiva per il bene del Paese».
Così come ricordava che il suo incontro con la “Signorina Barelli” e con il “Padre” (così ha sempre chiamato, anche nelle conversazioni informali, il rettore Gemelli) non era stato diretto, bensì mediato dall’Associazione. Dirà: «Io ho soltanto “visto” padre Gemelli e la “Sorella Maggiore”: la mia età e il mio impegno in una parrocchia periferica di Milano mi consentivano infatti solo qualche occasione di incontro generale in momenti particolari quali il trentesimo della Gioventù Femminile ecc.». Un legame mediato quindi, ma non per questo meno intenso perché Maria, dei due fondatori, condivideva i progetti e i grandi ideali, così come ne condivideva il carattere francescano.
Anni più tardi ella assume responsabilità nella Gioventù Femminile e ha modo di conoscere, nella presidenza dell’Ac Ambrosiana, Giancarlo Brasca, presidente di Giunta  ̶ come allora si diceva  ̶  dal 1958 al 1965 e, contemporaneamente Segretario Generale dell’Ateneo.
La sua chiamata e il suo arrivo in Cattolica nascono da questa conoscenza. E non sarà per lei una scelta facile, dovrà infatti lasciare il posto di lavoro presso una importante Società assicuratrice. Dirà: Su insistenza del dottor Brasca, che avevo conosciuto quale presidente dell’Azione Cattolica, e della signorina Letizia Vanzetti, che aveva ricoperto compiti di­rettivi nell’editrice “Vita e Pensiero”, mi fu offerta la pos­sibilità di lavorare in Cattolica. Io, allora, prestavo la mia opera in una grande compagnia di assicurazioni e il lasciar­la, anche per motivi economici, avrebbe comportato non poche difficoltà. Ma erano ancora i tempi in cui si sceglie­va non tanto il guadagno e la carriera quanto un “servi­zio”. Fu d’accordo con me soprattutto mia mamma che mi spinse e mi permise di lasciare un posto “sicuro” per un “servi­zio” alla Chiesa su cui eravamo entrambe d’ac­cordo.
Un lavoro nuovo quindi, forse meno sicuro, certo meno pagato di quello nella compagnia di assicurazioni che, però, le dava la possibilità di condividere concretamente il grande ideale in cui la sua vita era totalmente immersa. Un lavoro impegnativo nel contatto con Brasca, figura di laico interessante, impegnato anche sul piano internazionale per gli Istituti secolari. Ma un “capo” severo ed esigente sul lavoro.
Ricordo gli ultimi giorni di Maria in ufficio nel 1984 che, prima di passarmi definitivamente le consegne, riguardava e distruggeva alcune lettere del suo archivio, tra cui quelle di “richiamo” dello stesso Brasca, che era solito correggere anche gli aspetti formali, tanto da far ribattere più volte la medesima lettera.
Un lavoro impegnativo, certo, ma anche affascinante. Gli anni in cui arriva in Cattolica precedono di poco lo scoppio della contestazione, Maria ha modo di collaborare direttamente con i rettori Vito (per un breve periodo) e Franceschini (1965-1968) e poi con Giuseppe Lazzati (1968-1983). Per un solo anno lavorò con il rettore Bausola per la preparazione del corso di aggiornamento che si tenne a Roma nel 1984.

L’Ufficio Propaganda

Il settore che le è chiesto di guidare si denominava ancora, come ai tempi della Barelli, “Ufficio Propaganda” ed era lo strumento con cui la “Sorella maggiore” coltivava la tessitura di relazioni con il mondo cattolico italiano a sostegno dell’Università. Maria si rende conto che i tempi cambiano e che per raggiungere lo scopo “sarebbero occorsi metodi e sistemi nuovi”.
Dirà: «Lo sforzo di quegli anni fu appunto quello di non tralasciare nulla di quanto di positivo c’era, ma di allargare la prospettiva a una comunità ecclesiale, sociale, civile in grande cambiamento».
Gli anni del Concilio, delle difficoltà, della crisi nelle grandi associazioni a cominciare dall’Azione Cattolica non meno che nelle diocesi e parrocchie, scuotevano in profondità le modalità di sostegno all’Università Cattolica e la stessa ragion d’essere di un ateneo cattolico. Ciò che era stato consolidato negli anni si rivelava ormai inadeguato. Per Maria «il momento della contestazione del ’68 fu la spia di come il mondo cattolico fosse poco sensibile verso i cambiamenti in corso: furono molte le critiche alla Cattolica, gli abbandoni dei sostegni offerti precedentemente, le delusioni, ecc.».
La Dutto si troverà a rispondere in prima persona in tanti incontri pubblici, nei numerosi giri di propaganda per le diocesi: un osservatorio sensibile di ciò che stava cambiando. I continui viaggi per incontri nelle diocesi le impediranno di essere presente al momento della morte del padre, un’assenza che le pesava. Quando andò in pensione anticipatamente, tra gli altri motivi, diceva di voler essere vicina alla madre anziana, così come non aveva potuto fare con il padre. Purtroppo nel suo primo giorno di pensione, recandosi a Messa in parrocchia, la madre fu investita mortalmente. Un ulteriore, grande dolore per Maria.

Nella stagione del rinnovamento conciliare

Sul finire degli anni ’60 e nei primi anni ’70 partecipa alla stagione di rinnovamento che l’Ac vive con il Concilio. Anni intensi in cui entra in contatto con Vittorio Bachelet e mons. Franco Costa. La crisi tocca in profondità l’associazione ambrosiana e richiede un notevole impegno.
Maria sarà dal 1976 al 1983 la prima presidente donna dell’Ac ambrosiana (ma nel dirlo si affrettava ad aggiungere con voluta ironia: “Se i signori uomini hanno eletto una donna… vuol dire che l’associazione non era più così importante”) e stimato membro del Consiglio nazionale dell’associazione, eletta nel 1973 tra i rappresentanti del settore adulti e risultando prima degli eletti tra i presidenti, diocesani nell’assemblea seguente del 1977.
Attraverso l’iter di rinnovamento dell’Ac, è ben consapevole di quanto sia necessario un cambio di mentalità di fronte ai tempi nuovi e della fatica che ciò comporta.
Il Concilio, come dirà in una testimonianza recente, fu per lei un’apertura di orizzonti: la Chiesa è sollecitata a capire i problemi del mondo e a “starci dentro”. Il mondo non è più una realtà contro cui andare (mentre la formazione precedente orientava ad andare “controcorrente”). Il Concilio imprime un colpo d’ala che chiede un nuovo passo. E lei si impegnerà in questa direzione con convinzione ed entusiasmo, ancora una volta sul duplice fronte dell’Ac e dell’Università Cattolica.
Il rettorato Lazzati, con la difficile rifondazione che segue al periodo contestativo, la vede coinvolta nel tentativo di riaprire i canali di comunicazione con un mondo cattolico che la crisi dell’associazionismo e la nascita dello spontaneismo avevano profondamente mutato. Intorno al rettore si forma un gruppo di lavoro di cui lei, sempre umile e discreta, fa parte “per gli aspetti organizzativi”. Anche se il suo stare al suo posto e fare la “Marta” della situazione non le impedisce di entrare negli argomenti, dotata di un’intelligenza viva e in grado di essere interlocutrice valida e apprezzata, capace di dare consigli pieni di saggezza e buon senso.  Ricorderà:
Fu merito del dottor Brasca, del prof. Romani, del prof. Lazzati incominciare a mettere in atto modi nuovi di contatto con il mondo cattolico italiano, convinti che un aiuto culturale allo stesso fosse quanto mai urgente. Si cominciò a pensare a un’opera di “formazione permanen­te”, a “Gruppi di operatori culturali” nelle diverse dioce­si, ad allargare il corso di aggiornamento annuale, portan­dolo nelle diverse realtà locali.
La vicinanza con il prof. Lazzati, verso cui Maria nutriva una grande stima, è esemplare di un rapporto che, dietro le forme di rispetto e di distanza dovuta ai ruoli, rivela un profondo comune sentire. D’altra parte Maria ricordava come la Barelli avesse intrattenuto “legami forti, pur nel dovuto rispetto e senza inutili soggezioni” con personaggi del calibro di padre Gemelli. La sua grande umanità, il suo essere sempre accogliente e disponibile, si traduceva anche in qualche aneddoto che lei stessa raccontava.
Come quando, di ritorno in macchina con Giuseppe Lazzati dal corso di aggiornamento di Pescara, nel settembre 1981, il rettore le chiese di cantare alcune canzoni alpine che a lui erano care e in particolare la canzone del maestro Bepi de Marzi “Joska la rossa”. E Maria non si fece pregare.
Le Pubbliche Relazioni e i tanti incontri nelle Diocesi
Tutte le novità messe in piedi in quegli anni per riallacciare i legami con il mondo cattolico vengono sostenute dalla struttura dell’“Ufficio Propaganda” che, in risposta ai tempi, prenderà il nome di Ufficio Pubbliche Relazioni dell’Istituto Toniolo. Ad esso faranno capo i rapporti con le Chiese locali, l’Associazione Amici, l’organizzazione della Giornata Universitaria, i gruppi di Operatori culturali, i contatti con il territorio e in particolare con le Chiese locali e la segreteria del corso annuale di aggiornamento. Anni intensi quelli in cui Maria non si risparmia e visita numerosissime diocesi, sempre apprezzata per il calore della parola, la capacità di motivare e di entusiasmare. Incontrerà così molte persone, tra cui sacerdoti e vescovi, da tutti apprezzata anche per lo sforzo di motivare in quegli anni l’aiuto e il sostegno per l’UC la cui fama era stata compromessa dal passaggio della contestazione. Anche la stessa offerta di un servizio culturale alle Chiese non veniva sempre apprezzata, in quanto «il mondo cattolico – dirà Maria – stentava a riconoscere che un’opera pastorale supponeva basi culturali e mediazioni diverse».
Il rapporto tra fede e cultura, tra Chiesa e mondo, alla luce degli insegnamenti conciliari diventò un motivo di fondo del rettorato Lazzati ed ella se ne fece valida interprete in una diffusione popolare, tutt’altro che banale. Riconoscerà che quell’intreccio tra fede e cultura e fede e mondo, «soprattutto negli anni della “contestazione”, obbligò a rivedere molto del mio modo di pensare e di agire», sostenuta in questo impegno dall’incontro con grandi figure di riferimento. Dirà ancora: «L’incontro con tanti “maestri”, non solo di dottrina, ma di vita, mi segnò certamente tanto da farmi sentire, at­tualmente, in qualche momento, “orfana”».

Una donna per le donne

Maria si è impegnata in prima persona come donna, è stata una presenza femminile nella Chiesa milanese e nella Chiesa italiana. Essere donna nella Chiesa, un tema a cui ha dedicato molte energie: dal 1972 anima il “Gruppo Promozione Donna” e, in seguito, dal 1981 collabora alla testata “Progetto Donna”, espressione di un “femminismo cristiano”. Un’esperienza di apertura, di dialogo con donne di opinioni anche diverse.
Con uguale dedizione si è dedicata, ormai in pensione, sempre con generosità e gratuità, alla rinnovata missione dell’Opera Impiegate. Un volontariato fatto di ascolto, con la preoccupazione, si potrebbe dire fino agli ultimi giorni, che anche questa Opera continuasse secondo lo spirito dei fondatori.
La convinzione che la donna dovesse ricoprire un posto di rilievo nella società e nella Chiesa si rivelava anche nell’importanza che attribuiva dentro l’Università alla presenza di genere: constatava, infatti, che, allontanandosi gli anni della Sorella maggiore, diminuivano le figure di donne in ruoli di responsabilità.

Scelte coraggiose e coerenti

Nel fare un bilancio degli anni trascorsi in università si diceva grata della ricchezza di cui aveva potuto godere: «Meno benefici materiali, certamente, ma quanta, quanta gioia per aver collaborato, almeno in qualche piccolissima misura, alla realizzazione di quelli che, per noi, erano grandi ideali». Anni dopo la sua pensione, il presidente dell’Istituto Toniolo le propose di entrare a far parte del Consiglio di Amministrazione, declinò l’offerta con una lettera schietta in cui scriveva che non ce n’erano le condizioni. Un gesto che avrebbe dovuto far riflettere.
Così come rifiutò l’invito a candidarsi per la DC in fase di declino: pur avendo aderito al partito fin dagli anni del dopo guerra, il suo impegno si era poi svolto in altri campi e riteneva pertanto che la proposta di candidarsi fosse puramente strumentale e legata al suo impegno nell’associazionismo. Diede così testimonianza di carattere, di coraggio e di coerenza.
Sono questi solo alcuni personali ricordi di una presenza significativa nella vicenda del laicato cattolico e dell’Ateneo del Sacro Cuore. La sua parola calda trasmetteva in maniera efficace le motivazioni che la portavano ad impegnarsi nei vari campi. Ciò che mi pare l’abbia caratterizzata è la dimensione ideale, il partecipare, vocazionalmente, alla grande finalità che i fondatori avevano posto alla base della costruzione dell’Università. Una motivazione che le veniva dalla sua appartenenza convinta ad un Movimento cattolico che era stato capace di “fare gli italiani”, e in particolare a quella GF che aveva fatto uscire tante donne dalle case, organizzandole e proponendo loro istruzione, formazione e fierezza di aderire a un grande ideale.
In genere di fronte alla morte terrena di una persona si è portati a fare memoria della biografia recente, meglio sarebbe restituire ed affidare alla memoria condivisa l’intera vicenda di una vita, ivi compresa la stagione delle scelte di fondo, in cui si sono innestati, in sostanziale continuità, tutti gli altri passaggi.
Per Maria le scelte della giovinezza erano profonde e presenti. L’esperienza nella GF, l’esempio di Armida Barelli, l’hanno accompagnata per l’intera vita. Armida Barelli per lei fu, come scriverà in un efficace profilo biografico edito per la riapertura della causa di beatificazione della Serva di Dio, “la protagonista affascinante, la guida, la sorella a cui le giovani guardavano con ammirazione, rispetto, gioia nel seguirne le intuizioni e gli slanci”.
Per la Dutto la Barelli si staglia, come scriverà Maria Sticco, “fra due ere della civiltà della donna: l’era della sottomissione più o meno incondizionata e l’era dell’autonomia economica e giuridica”. Per lei occorreva tenere presente questo quadro “per capire quanto fu rivoluzionaria l’intuizione della Barelli e quanto seppe rompere gli schemi in cui le donne erano costrette”.
E anche per questo seguiva le vicende della causa di beatificazione con grande passione e con un po’ di impazienza per i tempi lunghi della Chiesa nel riconoscere il miracolo e nell’additare Armida alla venerazione del popolo di Dio.
Le piaceva molto un’espressione usata da Tonino Bello “essere contemplattivi”, ossia unire contemplazione e azione, una espressione che lei collegava alla sua prima formazione e che le faceva tornare in mente il ritornello di un inno cantato dalla GF per il suo decennio. Parole antiche, diceva, ma che rappresentano un messaggio adatto all’oggi:
“Le mani all’opra,
l’occhio e il cuore lassù,
avanti per Gesù”

«Non posso non pensare alla presenza della Sorella maggiore, di Armida Barelli – dirà Maria nel rievocare quelle parole – che ci guarderebbe col suo sguardo luminoso e ci parlerebbe con la sua parola suadente, profonda e ci direbbe: “Le mani all’opra” ̶   vuol dire immergerle in tutte le difficoltà del mondo, della nostra storia, della nostra vita. “Gli occhi e il cuor lassù” ̶   vuol dire di non perdere mai di vista che siamo legati, siamo dentro al Cuore del Signore a cui abbiamo dedicato la nostra vita. E poi la Barelli ci direbbe ancora, a quelli più anziani come me: “Avanti, avanti per Gesù”».
La ricordo in occasione del trentesimo di fondazione della Domus Mariae (la grande casa costruita con tanti sacrifici dalla GF), durante la celebrazione, quando fu invitata da tante “gieffine” di un tempo che riempivano la chiesa, riunite intorno alla statua dell’Immacolata, ad intonare al microfono l’inno del trentennio. Lo fece inizialmente ritrosa, ma proseguendo poi con grande entusiasmo e coinvolgendo l’intera assemblea.
Il ritornello dice:
Dall’Alpe nevosa all’isola ardente
un’unica voce ha il canto d’amor.
Serviam l’ideale più bello e splendente,
portiamo la croce di Cristo sul cuor.

La Gioventù femminile ha davvero saputo unire in un’unica voce “sorelle” di tutte le regioni italiane per servire il Signore, “l’ideale più bello e splendente”, cui consacrare l’intera vita.
Maria Dutto, nell’Associazione e nel suo servizio all’Università Cattolica, ha sempre vissuto questa dimensione che supera il locale e che apre all’universalità della Chiesa. Vi è una continuità nella sua vita: dall’entusiasmo degli anni giovanili, attraverso la stagione della maturità che ha coinciso con il lungo rinnovamento conciliare, fino all’età avanzata, la sua intera esperienza terrena è una testimonianza della fecondità del laicato cristiano reso, per il Battesimo, partecipe dell’unico sacerdozio di Cristo.


Autore:
Ernesto Preziosi


Fonte:
www.azionecattolicamilano.it

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Aggiunto/modificato il 2020-03-08

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