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Mons. Francesco Maria Ferreri Vescovo

Testimoni

Levaldigi, Cuneo, 14 ottobre 1740 - Bucarest, Romania, gennaio 1814

Il giovane 30enne padre Francesco Maria Ferreri non è un prete “spento”, ma un’anima appassionata, un missionario ardente, come ogni buon vero innamorato del Crocifisso. È colto, brillante, ricco di doni. Quando questo è evidente ai suoi superiori, viene inviato in terra bulgara, dove una difficile missione lo aspetta.



Levaldigi è oggi un borgo di circa mille abitanti, presso Fossano, ma è territorio del comune di Savigliano, tutto in provincia di Cuneo. Sugli atlanti si trova sì e no il suo nome, ma è noto anche  lontano, perché lì si trova l’aeroporto di Cuneo. A metà del ’700 che cos’era Levaldigi?
Sicuramente era parrocchia con parroco e viceparroco e anche qualcosa in più. La parrocchia doveva essere assai viva di fede e di vita cristiana cattolica, con preti dediti alla cura della salvezza delle anime e promotori di buone vocazioni.

Alla scuola della Croce
Lì, da famiglia benestante, i Ferreri, il 14 ottobre 1740 nacque Francesco Maria Ferreri. Buona formazione cristiana in famiglia e in parrocchia. Ancora giovanissimo, si incentra in Gesù – Gesù crocifisso ed eucaristico. In quegli anni, nel nostro Piemonte, nel nord e nel centro Italia, in tutta Italia, c’è un sacerdote che spicca e fa parlare di sé nella Chiesa, per la sua santità e l’ardore apostolico e missionario: si chiama Paolo Danei, nato a Ovada nel 1694, ordinato sacerdote 30enne, dal papa Benedetto XIII, ha dato vita ad una Famiglia religiosa ardente di amore a Gesù Crocifisso, la Congregazione Passionista votata alla contemplazione, alla memoria continua della Passione di Gesù, alla predicazione della Redenzione.
Padre Paolo Danei è ormai noto come padre Paolo della Croce e attira molti giovani alla sequela del Crocifisso. A 20 anni, Francesco Ferrei, nonostante i beni terreni che possiede, è affascinato da Paolo della Croce, del quale ha sentito parlare; meglio è conquistato dall’amore al Crocifisso per il quale vuol spendere la vita. Dunque entra nel noviziato dei Passionisti all’Argentario (Toscana), accolto dallo stesso Paolo della Croce (ottobre 1761).
È tra i primi seguaci di padre Paolo, come – per citare qualche altro religioso illustre – lo stesso fratello di Paolo, il padre Giovan Battista, o Vincenzo Strambi, che sarà poi vescovo di Macerata e confessore del papa Leone XII. Del giovane Ferrei scrive anche il padre Enrico Zoffoli (1915-1996), passionista di primo piano, teologo illustre e difensore della Fede cattolica, nell’odierno dilagante modernismo, nella sua monumentale biografia in 3 volumi di san Paolo della Croce (si veda il vol. I, p. 1132).
Compiuti il noviziato e gli studi di Teologia a Roma, fratel Francesco Maria Ferreri viene ordinato sacerdote. Si laurea in Filosofia ed è tomista come il Padre fondatore. È inclinato allo studio delle lingue straniere e ne studia diverse per saper annunciare Gesù in mezzo a chiunque.

Missionario del Crocifisso
Il giovane 30enne padre Ferrei non è un prete “spento”, ma un’anima appassionata, un missionario ardente, persino “focoso”, come ogni buon vero innamorato del Crocifisso. È colto, brillante, ricco di doni. Quando questo è evidente ai suoi superiori, questi lo mandano in una difficile missione, una missione, diremmo oggi, sfidante, per evangelizzare terre lontane. Così lo inviano nelle pianure del Danubio, in Bulgaria dove c’è un lavoro immane.
I cattolici sono solo alcune migliaia, in un paese, la Bulgaria, dove sono assai di più i cristiani ortodossi e comandano i turchi, islamici e arroganti. Manca di fatto la libertà di culto e i cattolici sono perseguitati. Si ripetono spesso carestie e pestilenze. Le piccole comunità cattoliche sono disperse in un territorio molto vasto e difficile da percorrere e da raggiungere. Ma padre Francesco Ferreri non si scoraggia.
Non fa lo spadaccino e usa prudenza, ma nessuno lo ferma per assicurare il servizio della predicazione del Vangelo, della Santa Messa e dei Sacramenti. Ha con sé la prima missione dei Passionisti in Bulgaria e si integra con pochi sacerdoti locali, che incoraggia e sostiene. Con garbo, va all’attacco per portare alla Chiesa Cattolica ortodossi e islamici. Si fa amare. Fa amare Gesù. Ha davanti agli occhi sempre la dedizione del suo Padre fondatore, il padre Paolo della Croce, che è andato a ricevere il premio di Dio, il 19 ottobre 1775.
Quattordici anni così, di eroico e zelante ministero presso le onde del Danubio blu. Poi viene richiamato in Italia, a causa della guerra fra Austria e Turchia, che si discute anche sul territorio bulgaro. Finita l’avventura missionaria per l’apostolo di Levaldigi? Lo pensiamo rendere visita ai suoi familiari a Levaldigi, a stare volentieri presso la Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, sede dei Passionisti a Roma?
L’Italia di fine ’700, come quasi tutta l’Europa, era sconvolta dalla Rivoluzione francese, dalle armate di Napoleone, dalla persecuzione alla Chiesa. Il papa Pio VI era morto a Valence, in Francia, nell’estate del 1799, prigioniero di Napoleone, ormai destinato all’impero. Papa Pio VII, che Napoleone avrebbe voluto come cappellano ai suoi ordini, non si arrende al piccolo Corso che fa il bello e il brutto tempo. La Chiesa, più che mai, ha bisogno di uomini ardenti per far fronte all’immane tragedia. Pio VII mette gli occhi sul già missionario in Bulgaria e lo nomina vescovo di Nicopoli. Era il 5 agosto 1805, a Roma, festa di Santa Maria Maggiore.
Mons. Francesco Maria Ferreri, a 65 anni di età, è consacrato vescovo nella Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, il 28 settembre 1805. Nel gennaio 1806 inizia il suo ministero episcopale a Nicopoli, in Bulgaria.

Il Pastore non fugge
Come primo impegno, visita tutti i paesi – e le località più impervie – per conoscere i suoi diocesani cattolici e farsi conoscere da loro, soprattutto per confermarli nella Fede, pur in mezzo a tante difficoltà. Conosce assai bene il bulgaro e abbastanza bene il greco e il turco, per cui può facilmente stabilire buoni rapporti con tutti, anche con i greci ortodossi e i turchi: unico fine che si propone è di condurli a Gesù e alla Chiesa Cattolica.
Per vivere tra i suoi fedeli, decide di abitare a Belene, un piccolo centro di campagna, da dove irradia il suo instancabile apostolato nella sua diocesi e oltre. In mezzo ai suoi confratelli vescovi, tra i suoi sacerdoti è una presenza luminosa di fede, di amore a Gesù e di paternità. Purtroppo, al suo arrivo in diocesi, può contare su un piccolo numero di sacerdoti: pertanto chiede alla sua Congregazione passionista alcuni confratelli per l’opera di evangelizzazione. La missione passionista in Bulgaria si fa fiorente. Esiste tuttora, dopo quasi 200 anni.
Nel 1812, in Bulgaria e nella diocesi di Nicopoli, dilaga una violenta epidemia. Mons. Ferreri e confratelli vescovi non chiudono le chiese né si chiudono in casa, ma si fanno tutto a tutti per soccorrere i loro “figli in Cristo” nel corpo e nello spirito. Mons. Ferreri è in prima linea per portare aiuto materiale e i Sacramenti della Fede, in primo luogo ai malati e alle loro famiglie.
A chi gli raccomanda di stare in luogo sicuro, il Vescovo, con il distintivo della Passione di Gesù sul petto, rispose che «il pastore buono non abbandona la sua diocesi, né i suoi sacerdoti né i suoi fedeli né chiunque abbia bisogno». San Carlo Borromeo, nel ’500, aveva fatto così. San Luigi Gonzaga, che era solo un ragazzo, aveva fatto così. I santi veri fanno così.
Colpito dalla malattia, mons. Francesco Maria Ferreri morì il 3 novembre 1813, martire della carità teologale e del suo ministero di vero buon pastore. Fu sepolto nella chiesa di Ciclopea, che lui stesso aveva fatto costruire con sacrificio per servire meglio la vita cristiana nel territorio. A lui succedettero altri dieci vescovi passionisti, l’ultimo dei quali fu mons. Eugenio Bossilkov (1900-1952) fatto uccidere da Stalin in odio alla Fede cattolica, ora “beato”.
Mons. Ferreri di Levaldigi (Cuneo), mobilitato dal Cristo Crocifisso, alla scuola di san Paolo della Croce, aveva vissuto la vita come un olocausto di amore: la vita per Dio e per i fratelli. «Non c’è amore più grande di chi dà la vita per i propri amici» (Gv 15,13). L’ha detto e fatto il Signore Gesù.


Autore:
Paolo Risso


Fonte:
www.settimanaleppio.it

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Aggiunto/modificato il 2021-12-14

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