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Marco Bettiol Giovane del Movimento dei Focolari

Testimoni

Vicenza, 24 giugno 1992 - 15 ottobre 2010

Marco Bettiol nasce a Vicenza il 24 giugno 1992, primogenito di Francesco Bettiol e Patrizia Asproso. A tre mesi dalla nascita ha la prima crisi epilettica: da allora passa di ospedale in ospedale, senza che i medici riescano a diagnosticare esattamente che malattia abbia. A cinque anni, le sue difficoltà fisiche aumentano. Solo a otto anni, grazie all’aiuto di un’educatrice, riesce a cominciare a esprimersi tramite la tecnica della Comunicazione Facilitata, prima con una macchina da scrivere, poi con un computer. Anche se non parla, trasmette ai suoi cari amore e fiducia in Dio. La sua appartenenza al Movimento dei Focolari viene apprezzata dalla fondatrice Chiara Lubich, che gli dona il “nome nuovo" di “Amato”. Studente del liceo classico, considera i suoi amici dei compagni di viaggio. Pochi giorni dopo aver partecipato alla beatificazione di Chiara Badano, Marco ha un blocco respiratorio durante il sonno, nella sua casa di Vicenza. È il 15 ottobre 2010; lui ha diciotto anni. Riposa presso il cimitero cittadino di Dueville.



La nascita
Marco Bettiol nasce nell’ospedale di Vicenza il 24 giugno 1992. È il primogenito, a lungo atteso, di Francesco Bettiol e Patrizia Asproso, sposi da quasi tre anni; un bel bambino, con occhi e capelli neri.
Il giorno dopo la nascita, però, non viene portato alla madre per essere allattato, come in precedenza: viene trasferito immediatamente nel reparto di patologia neonatale, per anomalie non ben precisate. Viene dimesso dieci giorni più tardi, senza indicazioni particolari, tranne quella di seguire alcune sedute di fisioterapia.

I primi problemi di salute
A tre mesi esatti dalla nascita, il bambino s’irrigidisce completamente, diventando paonazzo: per la prima volta, ha una crisi epilettica. A questo si accompagna un’ipotonia muscolare, che si aggrava col passare del tempo.
Ai genitori, Marco appare sereno, gioioso, attento a loro, ma se gli viene messo davanti un qualsiasi oggetto non reagisce. Neppure ulteriori approfondimenti clinici riescono a dare un nome esatto alla sua malattia.
Nei due anni seguenti viene sottoposto a nuovi cicli di fisioterapia, a Schio, per un’ora al giorno. La madre lo accompagna sempre e con puntualità, anche dopo che la famiglia si è trasferita a Dueville, in provincia di Vicenza. Intanto Marco ha già imparato a camminare e a compiere piccoli gesti autonomi, come premere l’interruttore della luce o azionare il registratore per ascoltare la musica, ma non parla.

L’amore e la fede come unica prospettiva
L’impegno della fisioterapia, continuato ancora per un anno, comporta, da parte della madre, una decisione gravosa: lasciare il suo impiego di segretaria, l’unica entrata fissa della famiglia. Trova un aiuto grazie all’entrata in vigore di una legge, di cui viene a sapere da un’amica del marito, che permette alle madri di un figlio con gravi e riconosciuti problemi di salute, fino al compimento dei tre anni di vita del bambino, di mantenere il posto di lavoro e il trenta per cento della retribuzione; in seguito, però, si dimette definitivamente.
Lei e il marito, oltre a non aver avuto una diagnosi esatta circa lo stato di salute di Marco, non hanno nemmeno mai avuto una prospettiva, da parte dei medici, sulla sua vita. La loro fede in Gesù, nonostante questo, permette loro di comprendere che solo con l’amore più gratuito avrebbero potuto sostenerlo in tutte le sue necessità, comprese quelle più elementari come nutrirlo o pulirlo.

Un’improvvisa regressione
Dopo la nascita di Alberto, il secondogenito, nel febbraio 1997, Marco regredisce improvvisamente, forse perché deve condividere le attenzioni col fratello. Si chiude in sé, non interagisce neppure minimamente con il mondo esterno, compresi i familiari e i parenti.
A cinque anni e mezzo perde perfino la capacità di esprimere i propri sentimenti: smette di sorridere, come aveva fatto fino a quel momento. Anche la sua salute, che fino a quel momento l’ha sorretto, cede: le crisi epilettiche diventano quotidiane e si ripetono nell’arco della giornata.
Nuovi esami, ricoveri e visite non aiutano, di nuovo, a scoprire la causa, quanto a cercare di bloccare le crisi, che a lungo andare, affermano i neurologi, rischiano di compromettere anche le sue funzioni cerebrali.
Il padre avverte a sua volta la stanchezza, ma sente che i limiti di Marco costituiscono una sfida all’amore dei familiari, una gara a chi è più attento a lui, che ormai è diventato il perno della famiglia, dettandone tempi e ritmi.

La svolta
A otto anni, nell’ottobre 2000, Marco comincia a frequentare la scuola elementare. Proprio tramite Annamaria, la sua insegnante di sostegno della scuola materna, i genitori conoscono Cecilia, un’educatrice esperta della tecnica della Comunicazione Facilitata.
Un pomeriggio del gennaio 2001 si presenta a casa Bettiol con una macchina da scrivere e invita Marco a comporre il suo nome, poi quello del fratello: con meraviglia di tutti, il bambino riesce in entrambi i compiti.
Marco, che inizialmente era considerato in classe come un bambino che non fosse in grado di comprendere ciò che la maestra spiega ai compagni, nel giro di qualche mese diventa, proprio grazie a questa tecnica, diventa fonte di stupore in classe: mentre gli altri alunni scrivono «O come orologio» o altro, lui sconvolge l’insegnante scrivendo: «O come opportunista». Si scopre poi che già dai tre anni e mezzo, autonomamente, aveva imparato a leggere abbinando lettere e suoni.

L’espressione di un’anima
Alla macchina da scrivere viene successivamente sostituito un computer. Grazie a quel metodo, Marco riesce finalmente a uscire dalla sua chiusura. Compone le prime lettere ai genitori, sempre facilitato nel pigiare il dito sui tasti della macchina da scrivere. In questo modo, tutte le sue comunicazioni, dalle più quotidiane alle più personali, comprese le sue riflessioni sulla propria condizione, rimangono su carta.
A dodici anni, nel 2004, Marco saluta la nascita della sorella Elisa con una poesia, che conclude così:
«Ti prego Gesù donale di più
di più di un sorriso
di più del paradiso,
donale il tuo amore
e stringila al tuo cuore e disegnale il futuro
in un mondo meno duro».

La fede di Marco
Anche la sua fede trova espressione in non pochi pensieri: «Noi siamo amati infinitamente da Dio e regalo d’amore gli uni per gli altri» (29 agosto 2006), oppure: «Solo ciò che offriamo resterà nostro per l’eternità» (16 luglio 2008), o ancora: «Alla conclusione del nostro Santo viaggio noi saremo ciò che abbiamo amato» (15 agosto 2008).
Con la sua stessa esistenza, sente di dover «dar luce ai cuori che sono in ombra, perché non conoscono il meraviglioso segreto di Dio Amore». È un modo di chiamare Dio che evidenzia il suo profondo legame con il Movimento dei Focolari, a cui appartiene come membro dei Gen, ovvero la parte giovanile.
Anche lui affronta momenti di buio, ma si sente sostenuto dalla sua famiglia, dai fedeli della sua parrocchia e dai membri del Movimento dei Focolari di Vicenza. La fondatrice, Chiara Lubich, con cui ha un rapporto speciale, gli dona, come ha fatto con altri, il “nome nuovo”, un appellativo che diventa un impegno di vita: il suo è “Amato”, col quale, da allora in poi, si firma.

Marco Amato e la Beata Chiara Luce
Si sente in profonda comunione, anzi, in unità con Chiara Badano, Gen di Sassello, vissuta trent’anni prima di lui, che ha ricevuto “Luce” come “nome nuovo”: partecipa anche alla sua beatificazione, il 25 settembre 2010 al Santuario del Divino Amore di Roma.
Partecipare a quella celebrazione per lui è stata, come ha lasciato scritto, «Una gioia smisurata che riprovo ogni giorno se dico il mio sì a Dio nell’adesione all’attimo presente, essere come lei vuol dire per me essere tutto donato a Gesù e farmi uno con Lui e la Sua volontà».
In quella circostanza rivede padre Cinto Busquet, un sacerdote focolarino di origini catalane, che aveva conosciuto nel 2008 durante un convegno internazionale dei Gen 3, di cui allora faceva parte. Grazie a lui, la sua maturazione spirituale si affina sempre di più.

La scuola e il rapporto coi fratelli
Marco riesce anche a frequentare la scuola superiore, al liceo classico “Corradini” di Thiene: lo appassionano in particolare i poemi classici ed è molto bravo in greco e latino. Anche i compagni di scuola imparano a conoscerlo e ad apprezzare i suoi pensieri e la sua forza di volontà e, a loro volta, lo chiamano “poeta”.
È anche un buon fratello maggiore, che segue con entusiasmo i saggi di danza di Elisa e le partite di calcio di Alberto. Da queste ultime trae un insegnamento: «Il gioco va giocato da chi è in campo, nella vita non si deve aspettare il cambio dalla panchina» (21 aprile 2009).

Il messaggio ai suoi “compagni di viaggio”
Per il suo diciottesimo compleanno, Marco Amato compone un’altra riflessione:
«La vita è una strada
che non si ferma quando vorremmo sederci,
che molte volte non va nella direzione che avremmo desiderato,
che spesso è così in salita da lasciarci senza fiato,
ma che va affrontata con lo sguardo puntato sulla meta
e non solo con il capo chino per non inciampare sui sassi
che ci intralciano il cammino.
Solo così
si potrà sentirsi parte della strada che Dio ha pensato
per condurci da lui
e assaporare le sue meraviglie che ci alleggeriscono la vita,
come le persone con cui condividiamo la via,
perché il nostro Padre Celeste conosce il cuore
di chi ama
e sa che da soli non si fa strada,
mentre il poter essere insieme ci fa viaggiare
con il vento alle spalle
e godere del sole come della pioggia,
forti della comunione di coloro
che con noi hanno scelto
di raggiungere la vetta con l’amore reciproco.
Buon cammino a ciascuno e ricordate
che siamo tutti compagni di viaggio».

La morte
All’alba del 15 ottobre 2010, tre settimane dopo il ritorno dalla beatificazione di Chiara Badano, Marco ha un improvviso blocco respiratorio nel sonno, in casa sua. L’ultima frase che ha scritto ai genitori è: «Mamma e papà sapete che vi adoro, grazie di essere così attenti e premurosi, non c’è figlio più fortunato di noi».
Prima ancora, aveva assicurato loro: «Cari mamma e papà vi sento uniti a me più che mai e non dubitate del mio amore per voi, perché né la mia vita né la mia morte potrà separarvi dal mio amore». Francesco e Patrizia ricambiano ancora una volta, scrivendo a parenti e amici: «Marco oggi è arrivato in paradiso, che festa grande lassù».
Sulla sua tomba, nel cimitero di Dueville, sono riportate due frasi. La prima è la sua Parola di Vita, ossia il passo della Scrittura che gli era stato donato insieme al “nome nuovo”, precisamente dal versetto 3 del capitolo 31 del libro del profeta Geremia: «Ti ho amato di amore eterno». La seconda è una delle sue comunicazioni: «Noi esistiamo in quanto amanti e amati».

Il ricordo
La memoria di Marco è tenuta viva tramite la pubblicazione di due libri: «Compagni di viaggio», edito nel 2013 e «Tutto in una notte», scritto da sua madre, e uscito nel 2019, che raccoglie gran parte dei suoi scritti.
Per ordinarli, scrivere a [email protected].


Autore:
Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2022-06-22

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