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Fra Silvestro Maruffi Domenicano

Festa: Testimoni

Firenze, 1461 - 23 maggio 1498


Nacque a Firenze nel 1461 da una famiglia di modesti artigiani molto religiosi. Il padre, Andrea di Luca, era calzolaio; lo zio paterno, Girolamo, era domenicano nel convento fiorentino di S. Marco e fu vicario generale della Toscana dal 1488. Anche il fratello minore del Maruffi, Zanobi, era frate a S. Domenico di Fiesole.
A quattordici anni il Maruffi entrò nell’Ordine dei predicatori, sotto la vigile presenza dello zio; fece la sua professione di fede l’8 novembre 1476 in S. Marco, mentre era priore Battista di Antonio da Firenze. Si applicò con energia e vivacità allo studio, dimostrando ben presto una notevole capacità mnemonica; soffriva, però, di una speciale forma di sonnambulismo, derivata da una malattia contratta da piccolo.
«Naturale est multos dum ambulant dormire, sed scribere et contionari, audita referre, colligere uvas et eas quoque manducare, et opera insuper miranda facere numquam audivimus preterquam Silvester monachum; quod eidem minime credissemus, nisi ambulantem hominem et scribentem, interposito etiam inter oculos et scribentis manum obstaculo, et versus quamplures serio et ordine descriptos conspexissem». Così il medico Antonio Benivieni (p. 235) descriveva il caso clinico del Maruffi che, appunto, se gli faceva ripetere «in sogno […] frequentissimamente lezioni, prediche, uficio, preghiere e cose udite, o lecte» (Villari, II, p. CCLXX), di giorno gli faceva avere visioni spesso confuse con la realtà.
Nel periodo di formazione risiedette probabilmente anche a Venezia. Quando nel 1482 Girolamo Savonarola fu mandato dall’Ordine a S. Marco come lettore conventuale, il Maruffi divenne uno dei suoi allievi più assidui.
Nel 1490 Savonarola si stabilì definitivamente a Firenze, richiamato da Lorenzo de’ Medici su sollecitazione di Giovanni Pico della Mirandola, e lì ritrovò il Maruffi, da poco rientrato dopo un periodo trascorso a Pisa.
Le prime predicazioni di Savonarola in S. Marco e in S. Maria del Fiore sul rinnovamento della Chiesa, e soprattutto le sue profezie, turbarono molto il Maruffi. Convinto che Savonarola fosse preda di un inganno del demonio, ne parlò direttamente con lui, dicendogli che gli pareva uscito di senno. Nel corso del tempo però il Maruffi arrivò a stimare e a fidarsi sempre più di Savonarola.
Da quel momento il Maruffi si fece seguace devoto ed entusiasta del Savonarola, divenuto priore nel luglio 1491 e sua guida spirituale. Savonarola rispose al fervore del Maruffi, frate malaticcio e visionario, con paterna benevolenza e lo incaricò dell’insegnamento nella scuola conventuale e della predicazione, che aveva già sperimentato a Prato il 10 aprile 1490 e l’anno successivo, nel periodo precedente la Pasqua, a San Gimignano. Predicò anche a Firenze, in S. Verdiana, il 3 dicembre 1491 e nel monastero di S. Pier Maggiore l’11 gennaio 1492.
Savonarola, tuttavia, non affidò mai al Maruffi compiti di coordinamento né di sua sostituzione o rappresentanza, probabilmente a causa della spiccata propensione del Maruffi a parlare troppo, anche e perfino delle sue visioni notturne, sebbene fosse costantemente richiamato dal Savonarola al silenzio e alla riservatezza.
Il Maruffi, in quanto fiorentino, era divenuto intermediario tra Savonarola e i concittadini suoi sostenitori, i cosiddetti piagnoni, molti dei quali egli conosceva personalmente e tra cui erano personaggi di spicco come Francesco Valori e Pier Capponi, che lo informavano dei pubblici affari perché li riferisse a Savonarola o si rivolgevano a lui anche come confessore, visto che lo stesso priore lo faceva «quando non aveva a disposizione Domenico da Pescia» (Schnitzer, II, p. 117).
Di tale atteggiamento di politica spicciola da parte del Maruffi informa, con estremo rammarico, uno dei suoi confratelli, Roberto Ubaldini, cronista del convento di S. Marco che ricorda «Fra Silvestro consumare tutto il giorno per i chiostri attorniato da circoli di cittadini in chiacchere» (Villari, p. CCLIX).
Secondo Roberto Ridolfi, anche la famosa leggenda della negata assoluzione sacramentale di Savonarola a Lorenzo de’ Medici moribondo (9 aprile 1492) «sembra aver avuto la prima radice in non so che racconto di Fra Silvestro Maruffi, il quale spesso teneva per vere le troppe cose che gli apparivano in sogno» (p. 42).
Il Maruffi, dunque, non ricoprì ruoli rappresentativi o di rilievo all’interno della comunità domenicana, certo per la sua faciloneria verbale e la conseguente scarsa credibilità agli occhi di Savonarola, che palesemente ne parlò nel terzo processo: «Domandato se fra Salvestro li rivelava le confessioni, disse che particularmente non glele rivelava, ma in generale, per adventura, li può haver narrato alchune cose, non però che li dicessi haverle in confessione. Et aggiunse che per sapere le cose di Firenze non li bisognava le confessioni di fra Salvestro, perché non era cosa a Firenze che per altri mezi non havessi potuto sapere. Domandato in che modo, rispose da’ cittadini medesimi et da fra Salvestro, il quale pratichava molto co’ cittadini, et per mezo d’epsi sanza le confessioni le potea sapere. Oltre a questo disse che non si saria fidato di fra Salvestro in simili cose […] per essere lui molto largo, et lo havea per huomo inconsiderato e per non così buono» (I processi, p. 35).
Ciò nonostante il legame del Maruffi con Savonarola fu tale da renderlo pienamente partecipe prima dei suoi momenti gloriosi, come la concessione, il 22 maggio 1493 da parte di papa Alessandro VI, della piena autonomia al convento di S. Marco nei riguardi della congregazione lombarda, e poi delle sue tragiche vicissitudini. Per cui, quando Alessandro VI ripropose la dipendenza dei conventi toscani dalla provincia lombarda nel breve dell’8 settembre 1495 e Savonarola fu sottoposto al giudizio di Sebastiano Maggi, vicario generale dei domenicani di Lombardia, con l’imputazione di disobbedienza, il Maruffi si allineò, pur timoroso, alla sua guida spirituale nel rifiutare le imposizioni papali che, in relazione a lui e ai frati Domenico Buonvicini e Tommaso Busini, comportavano il trasferimento a Bologna entro nove giorni sotto l’autorità del vicario generale della congregazione lombarda. Da lì il Maruffi doveva poi essere destinato a un convento che non ricadesse sotto la giurisdizione fiorentina.
Savonarola, che si trovava ad Arezzo per un corso di predicazioni, fu informato dell’ingiunzione papale proprio dal Maruffi e gli rispose con una lettera del 29 settembre, in cui lo rassicurava sul suo pronto ritorno e raccomandava a lui e ai suoi allievi, di pregare per lui «instanter quia indigeo orationibus» (Lettere, pp. 73 s.).
La successiva e determinata risposta di Savonarola contro le disposizioni del papa spinse quest’ultimo a ritirare i provvedimenti. Naturalmente i domenicani di S. Marco si permisero un simile comportamento nei confronti della volontà pontificia in quanto confidavano nell’allora dominante gruppo di governo della Repubblica fiorentina. Questo, di fatto, continuò a sostenerli, tra la fine del 1496 e l’inizio dell’anno seguente, durante la circolazione, promossa dai frati, di una lista a difesa dell’operato del loro priore da far sottoscrivere anche ai cittadini più autorevoli, in opposizione a quella dei suoi denigratori, capeggiati da uno degli acerrimi nemici di Savonarola, il procuratore generale dell’Ordine, il fiorentino Francesco Mei, nella quale si presentava ad Alessandro VI la predicazione del frate riformatore come pericolosa ed eretica.
Il Maruffi fece un’accanita propaganda a favore di questa raccolta di firme, rimasta però senza esito in Curia. Nuovamente il governo della città li appoggiò quando, il 12 maggio 1497, Savonarola fu scomunicato e la sua predicazione proibita, benché questi continuasse a ignorare la prescrizione, adoperandosi anche presso il pontefice per ottenere la revoca della decisione. L’assoluzione tuttavia non fu ottenuta nemmeno dopo la lettera di scuse di Savonarola al papa per eventuale omissione di riverenza nei suoi confronti. Dopo l’uccisione, avvenuta l’8 aprile 1498, domenica delle palme, di Francesco Valori, protettore di Savonarola, a opera dei comuni nemici «arrabbiati» e «compagnacci», il percorso di Savonarola terminò tragicamente.
Nel suo destino furono coinvolti anche i due più fedeli discepoli, Domenico Buonvicini e il Maruffi, che i commissari pontifici Gioacchino Torriani e Francesco Remolins accomunarono nell’accusa di scisma ed eresia. Sembra che il Maruffi, che aveva collaborato alla difesa del convento di S. Marco nella notte dell’8 aprile, facendo addirittura entrare segretamente delle armi, dopo l’arresto di Savonarola si nascondesse, per poi consegnarsi, o essere consegnato, «di prima mattina a chi già lo stava cercando come confidente del suo superiore» (Ridolfi, p. 202).
Ai tre lunghi processi di Savonarola corrisposero i due più affrettati esami degli accusati minori e il Maruffi, sottoposto alla dura prova del processo e della tortura, negli «examina» del 25 aprile (Villari, pp. CCXX-CCXXXI), cadde. Sebbene non affermasse nulla che potesse aggravare il maggior indiziato, tuttavia, se l’ultima frase della sua deposizione non fu aggiunta da altra mano, dopo un passo del tutto innocuo relativo al suo maestro, lo rinnegò «et niente de meno faceva di puoi de belle prediche. E l’ultima volta che fece questo acto fu il sabato, quando poi lasciò le prediche la domenica in san Marco, questa quaresima. Finalmente dico che fra Girolamo v’ha ingannati» (ibid., p. CCXXXI).
La sera del 22 maggio, dopo meno di un mese dal suo processo, benché il M. non risultasse coinvolto in alcun delitto che le leggi potessero imputargli, gli fu comunicata la sentenza dei commissari apostolici, comune a Savonarola e a Buonvicini, e il loro dover essere degradati e poi consegnati agli Otto di guardia, il magistrato secolare che, a sua volta, li condannò a essere prima impiccati e poi bruciati. Il responso vide il Maruffi «per horrore della morte quasi tremare» (Pico della Mirandola, p. 53), mentre non procurò alcun evidente turbamento negli altri due.
Le loro ultime ore furono affidate a tre fratelli della Compagnia de’ Neri, una confraternita di cittadini che assistevano e confortavano i condannati a morte. Savonarola, dopo aver chiesto e ottenuto di incontrare i due frati prima dell’esecuzione, per l’ultima volta riprese il Maruffi, che avrebbe voluto protestare al popolo la loro innocenza, lo acquietò e poi lo benedisse.
All’alba del 23 maggio 1498 i tre domenicani assistettero alla messa e si comunicarono, furono quindi sconsacrati, spogliati dell’abito dell’Ordine e pubblicamente accusati di eresia, scisma e predicazione di novità dalla Commissione pontificia, subendo perfino l’ironica assoluzione del Remolins. Fu quindi resa nota al popolo la sentenza secolare per i loro presunti misfatti e furono condotti al patibolo, preparato per loro nella piazza della Signoria. Il Maruffi fu sottoposto per primo al supplizio, che non fu nemmeno immediato, e si mantenne, secondo la cronaca dei suoi confratelli, «semper per omnia mutus et veluti lacrymabundus» (Chronicon conventus S. Marci, c. 23r).
Le sue ceneri, insieme con quelle di Buonvicini e di Savonarola, furono gettate in Arno dal ponte Vecchio, per impedire la raccolta di qualunque reliquia e per tentare di cancellare ogni memoria di un episodio che segnò in maniera indelebile la città di Firenze.
Si racconta che il Maruffi, dopo la morte, operasse un miracolo sul vecchio padre, da anni malato di gotta, che fu guarito da un panno mandatogli dallo stesso Maruffi mentre era in carcere: accostatolo ai suoi piedi «subito le piaghe guarirno, i nervi si distesono e non solo caminar poteva, ma ancora percuotere i piedi alle pietre senza dolore, come gli altri non gottosi liberamente fanno» (Pico della Mirandola, p. 91).


Autore:
Ida Giovanna Rao


Fonte:
www.treccani.it


Note:
Per approfondire: P. Tito S. Centi O.P. "Fra Silvestro Maruffi" Edizioni Cantagalli

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Aggiunto/modificato il 2025-04-23

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