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Santi Michele di Aozaraza, Guglielmo Courtet, Vincenzo Shiwozuka, Lazzaro di Kyoto e Lorenzo Ruiz Martiri

29 settembre

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† Nagasaki, Giappone, 29 settembre 1637

Martirologio Romano: A Nagasaki in Giappone, passione dei santi martiri Michele de Aozaráza, Guglielmo Courtet, Vincenzo Shiwozuka, sacerdoti dell’Ordine dei Predicatori, Lazzaro di Kyoto e Lorenzo da Manila Ruiz, padre di famiglia, che, tenuti in prigione per oltre un anno per il nome di Cristo, subirono il supplizio della croce e infine la decapitazione. La loro memoria, insieme a quella di altri compagni, si celebra il giorno precedente a questo.


Lorenzo Ruiz è il protomartire delle Filippine, il paese più cat­tolico dell'Estremo Oriente, ma il suo martirio insieme ad altri 15 compagni non si consumò nella sua terra, bensì nel Giappone.

La fedeltà dei cristiani giapponesi
La lunga e feroce persecuzione contro i cristiani in Giappone li aveva privati di sacerdoti, ma non aveva distrutto la loro fede. Quan­do nel 1634 alcuni commercianti spagnoli sbarcarono nelle isole Okinawa, i fervorosi cristiani, che qui si trovavano, li scongiurarono di mandar loro dei missionari. Essi avrebbero trovato il modo di introdurli segretamente nelle altre isole per portare conforto alle comunità cristiane che vivevano in clima di catacombe.
L'appello arrivò al provinciale dei domenicani a Manila e questi nel giro di due anni riuscì a preparare un gruppo di missionari e a no­leggiare una piccola nave che doveva partire in segreto per Okinawa, avendo il governatore spagnolo proibito l'invio di personale in Giap­pone per le tensioni politiche tra i due paesi.

I sei missionari
La comitiva era composta da sei persone. II responsabile della missione, candidato a diventare vescovo del Giappone, era p. Anto­nio Gonzalez, spagnolo, professore di teologia, che dal 1631 stava stu­diando la lingua giapponese. Lo seguivano subito il p. Guglielmo Courtet, francese, anch egli professore di teologia che sin da giovane sognava di sostituire i missionari francescani e gesuiti martirizzati in Giappone; il p. Michele de Aozaraza, spagnolo, che aveva lavorato con successo come missionario nell'isola di Luzón; e il p. Vincenzo Shiwozuka della Croce, che da ragazzo era fuggito dal Giappone, forse da Nagasaki, e nelle Filippine era diventato sacerdote, prendendosi cura soprattutto dei cristiani giapponesi riparati in questo paese e inse­gnando la lingua della sua terra ai missionari. Non gli parve vero quando gli si presentò l'occasione di tornare nel suo paese per aiuta­re i cristiani perseguitati e si unì con entusiasmo al gruppo del p. Gonzalez. A questi si aggiunse anche un altro giapponese, un laico, Lazzaro da Kioto. Era stato cacciato dalla sua città nel 1632 perché era cristiano e malato di lebbra. Ora si offriva per fare da guida e da in­terprete ai missionari. Infine anche Lorenzo Ruiz si accodò al gruppo per puro caso.
Lorenzo era nato a Binondo (Manila) intorno al 600 da madre tagala e padre cinese. Era vissuto molto legato al convento dei domeni­cani, facendo parte della confraternita del Rosario, ed era diventato un notaio di fama in città. Era sposato e aveva due figli. Mentre si sta­va preparando il viaggio dei missionari, si trovò coinvolto in un fatto criminale non meglio identificato ed era ricercato dalla polizia. Per sfuggire alla cattura e nel desiderio di trovare un nuovo posto di la­voro dove poi trasferirsi con tutta la famiglia, chiese e ottenne di par­tire con i missionari, ma senza alcuna intenzione apostolica.
Dopo un mese di fortunosa navigazione la comitiva toccava l'i­sola di Okinawa, accolta molto bene dai cristiani del posto. Non riuscendo a nascondere il loro fervore, dopo alcuni mesi, nel settembre del 1636, furono individuati come cristiani e vennero arrestati e tra­sportati a Nagasaki per il processo.

Le torture e gli interrogatori
Secondo il costume del paese i prigionieri venivano torturati con metodi particolarmente disumani. Li si costringeva ad ingoiare con un imbuto una grande quantità d'acqua per poi fargliela rigettare fa­cendo violenta pressione sul loro ventre; si conficcavano loro dei pez­zettini di canna di bambù sotto le unghie e negli organi sessuali; ve­nivano sospesi coi piedi a una forca immergendone il capo in una fos­sa di rifiuti chiusa attorno al collo da due pezzi di legno circolari. Era­no poi esposti in una gabbia sulla piazza o trasportati per le vie della città per essere scherniti dalla folla.
Le torture erano così crudeli che il p. Vincenzo, in un momento di debolezza, si disse pronto a rinunziare alla fede cristiana. Lo stes­so avvenne con Lazzaro. Ma quando a sera i missionari si ritrovarono da soli in carcere, i due chiesero perdono a tutti e riaffermarono la vo­lontà di morire martiri.
Il 23 settembre ricominciarono gli interrogatori e le torture. Quando chiesero a Lorenzo Ruiz se era disposto a rinnegare la fede per salvare la sua vita, egli rispose con decisione che era pronto a mo­rire per il suo Signore: «Vorrei dare - disse — mille volte la mia vita per lui. Non sarò mai apostata. Potete uccidermi se volete. La mia vo­lontà è di morire per Dio».
I prigionieri furono condannati a morte e, condotti sulla collina della città di Nagasaki, furono sottoposti alla tortura della forca e del­la fossa. Resistettero tre giorni senza che nessuno rinnegasse la fede. I carnefici, stanchi di attendere e desiderosi di prendere parte a una battuta di caccia, li decapitarono. Era il 29 settembre 1637. Quando la notizia del loro martirio giunse a Manila, il popolo e le autorità vol­lero onorare solennemente la loro memoria.


Fonte:
Il Libro dei Testimoni

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Aggiunto/modificato il 2009-04-28

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