Mai disperare, anche quando le circostanze della vita ci sono avverse e i grandi desideri che portiamo in cuore sono inversamente proporzionali alla salute che ci è toccata in sorte. Perché per Dio si possono fare cose grandi anche con quel poco di cui siamo dotati. Lui, per esempio, è di statura inferiore alla media, è gracile di salute, si ammala spesso e volentieri. Basta un piccolo sforzo mentale per mandarlo in tilt, e anche solo un maggior impegno nell’insegnamento è sufficiente a metterlo a letto per giorni e giorni. Suo padre, famoso Accademico della Crusca, non sembra lesinare nell’educazione cristiana dei suoi cinque figli e neppure si dimostra avaro con il Signore, quando di questi gliene chiede ben tre: uno entra nei Domenicani, l’altro diventa sacerdote secolare, mentre il più piccolo e malaticcio si fa Gesuita, sognando di andare missionario in Cina, in Giappone o nelle Indie. Sogni proibiti, visto la salute che si ritrova e le tante indisposizioni che lo perseguitano. Incredibile a dirsi, riescono a curarlo con il tabacco, che era il massimo che potesse offrire la medicina del tempo, quando ancora lo si utilizzava più per le sue virtù medicamentose che per il piacere di una fumata. Così ristabilito, ma pur sempre inadatto per le missioni, gli chiedono di fare il missionario in patria e di trasformarsi in predicatore itinerante, che non è propriamente un incarico di assoluto riposo, ma di cui non ha più bisogno il gracile gesuita, alto appena un soldo di cacio, che ha acquistato uno slancio inaspettato e una vitalità strabiliante, diventando capace di percorrere anche 70 chilometri al giorno. Comincia a girare i paesi dell’Italia centrale come un saltimbanco, dotato di un armamentario rustico e inquietante: un teschio sotto il braccio per richiamare a tutti il destino ultimo, la felicità o la dannazione eterna; uno “svegliarono”, cioè una composizione poetica che lui stesso ha composto e un confratello musicato, per richiamare i suoi ascoltatori alla conversione; parole semplici che vanno dritto al cuore e che risvegliano la fede. Certamente, la sua, è una predicazione figlia del suo tempo (siamo agli inizi del Settecento), che ha come contorno pubbliche flagellazioni, penitenze estenuanti, terrificanti presentazioni della dannazione eterna. Perfino la natura sembra dare forza alla sua predicazione, come quel giorno d’estate in cui, volendo spiegare che il numero delle anime che cadono nell’inferno è pari alle foglie che d’autunno cadono dagli alberi, invita il suo uditorio ad osservare l’albero all’ombra del quale sta predicando. Proprio in quel momento arriva una folata di vento che spoglia quasi completamente l’albero, al punto che le foglie rimaste attaccate ai rami si possono facilmente contare. Alcuni suoi consigli sono tuttavia ancora buoni per oggi: “Di tutto ciò che capita, prendete il buono e lasciate andare il cattivo….Vivete con un cuore grande e libero da ogni strettezza…..Non pensate a tutti i mali possibili, ma solo a quelli che hanno bisogno di un rimedio immediato…”. ”Paradiso, o paradiso, o bella patria” è l’esortazione che non manca mai nelle sue prediche, neanche in quella del 7 novembre 1717, pronunciata a Pofi (Frosinone). Sono le ultime parole di Padre Antonio Baldinucci, dopo le quali si accascia: stroncato da un infarto, ma soprattutto consumato dalle fatiche, ad appena 52 anni. Leone XIII lo ha proclamato beato nel 1893.
Autore: Gianpiero Pettiti
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