Nascita e primi anni Raffaele Mennella nacque il 22 giugno
1877 a Torre del Greco, in provincia e diocesi di Napoli. Fu battezzato
lo stesso giorno della nascita, nella parrocchia di Santa Croce della
sua città. I genitori erano di modeste condizioni economiche, onesti e
religiosi: il padre, Antonino Mennella, era pescatore, come tanti
abitanti di Torre del Greco, mentre la madre, Annunziata Manguso, era
casalinga e costituiva il riferimento morale e spirituale dell’intera e
numerosa famiglia. Raffaele avvertì sin dai primi anni la vocazione
allo stato religioso. Era guidato spiritualmente dal sacerdote torrese
Pasquale Brancaccio, ma nel contempo veniva istruito nelle materie
letterarie dai fratelli canonici Luigi e Vincenzo Maglione.
Apprendista corallaio in tempi difficili Dovette
però lasciare la scuola dopo la licenza elementare, per trovare un modo
per contribuire al bilancio della famiglia: divenne quindi apprendista
in una piccola fabbrica di corallo, secondo il tipico artigianato di
Torre del Greco. Il periodo del suo apprendistato non fu dei più
tranquilli: il clima del mondo operaio di fine Ottocento era arroventato
da lotte sociali per la prima industrializzazione dell’Italia unita. La
Chiesa era considerata nemica del vero progresso degli operai e sorda
alle loro rivendicazioni contro i soprusi degli industriali. In realtà
le encicliche di papa Leone XIII, specialmente la «Rerum Novarum»,
stavano cominciando a indicare la strada da seguire nella nuova era
industrializzata che avanzava. Raffaele, dal canto suo, offriva la
testimonianza di una religiosità aperta, Ogni mattina, prima di andare a
lavorare, partecipava alla Messa nella chiesa del Carmine di Torre del
Greco, servendo all’altare e ricevendo la Comunione. La sera, ritornando
dal lavoro, passava di nuovo in chiesa per la recita del Rosario e per
la visita a Gesù Sacramentato. Per questo motivo, era schernito
spesso dai colleghi, ma lui non si lasciava distrarre dai loro cattivi
esempi e dal loro modo di parlare sboccato.
L’incontro con padre Luigi Torrese A
15 anni la sua vocazione religiosa diveniva sempre più chiara. La
Provvidenza gli fece incontrare padre Luigi Torrese, che era stato tra i
primi membri della congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori di Gesù
e di Maria, fondata nel 1833 da don Gaetano Errico (morto nel 1860 e
canonizzato nel 2008) a Secondigliano, oggi quartiere periferico di
Napoli. Quando quel sacerdote arrivava o partiva da Torre del Greco
per qualche missione popolare, Raffaele lo andava a prendere oppure lo
riaccompagnava. Fu in quel modo che iniziò a pensare di diventare anche
lui un Missionario dei Sacri Cuori. Tuttavia, fu inizialmente
rifiutato dai superiori, con suo grande sconcerto. Il fatto era che i
Missionari dei Sacri Cuori, al pari di altre congregazioni, dal 1861 al
1866 erano stati soppressi per le nuove leggi varate dal Parlamento
Italiano; solo in quegli anni stavano cercando di riorganizzarsi.
Tra i Missionari dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria Alla
fine, il 10 novembre 1894, fu accettato nel nuovo noviziato di
Secondigliano, annesso alla Casa madre, vestendo l’abito il 18 novembre
nella chiesa dell’Addolorata. Compì gli studi del noviziato sotto la
guida del conterraneo padre Luigi Balzano, che fu anche il suo primo
biografo. Un anno dopo, il 21 novembre 1895, professò i voti semplici
insieme ad altri cinque novizi: lui e confratelli rappresentavano ormai
la speranza della congregazione, che rinasceva dopo la soppressione e la
dispersione dei suoi membri. Il 13 settembre 1896 ricevette la
tonsura clericale e gli Ordini Minori. Sotto la guida illuminante di
padre Balzano, si formò alla spiritualità della congregazione e
approfondì la conoscenza del pensiero e dell’azione del Fondatore.
Inoltre confermò le virtù di cui era dotato, come l’ubbidienza, la
modestia, il silenzio, il raccoglimento, la castità.
A Roma, ma incombe la malattia Nel
settembre 1897 fu mandato a Roma a seguire gli studi teologici presso
la Pontificia Università Gregoriana, perché tutti i superiori e lui
stesso, aspiravano che arrivasse al sacerdozio al più presto. Anche lì
edificava tutti con il suo comportamento. Nell’estate 1898 a Roma il
clima era rovente: questo fatto, unito all’applicazione allo studio per
superare gli esami, aveva indebolito il fisico di Raffaele. Sfioriva di
giorno in giorno, ma nessuno se ne accorgeva o gli dava importanza. La
liturgia per il Sacro Cuore di Gesù a giugno e le seguenti Quarantore
lo tennero impegnato più del solito. Rimase in costante preghiera, con
lunghe ore in ginocchio in adorazione, nella chiesa del Collegio di
Santa Maria in Publicolis.
La tubercolosi Il 3 luglio
1898 si presentò al padre Rettore con un fazzoletto sulla bocca, intriso
di sangue. Il Rettore capì subito che era un’emottisi: gli ordinò di
mettersi a letto e fece chiamare un medico. La diagnosi fu di tisi
polmonare, incurabile per l’epoca, poiché mancavano i medicinali
appropriati. I medici non nascosero la gravità del caso, ma rimasero
meravigliati, insieme a quanti altri frequentavano la stanza del
giovane: invece di spaventarsi, era allegro e si dichiarava disposto a
morire per raggiungere il Signore. Tutti si allontanavano con la frase
«È veramente un angelo!» oppure «Beato lui, è proprio un santo!».
Ritorno a Torre del Greco Mentre
tutti nella congregazione pregando si preparavano alla sua fine, il
chierico ebbe un leggero miglioramento, forse dovuto alle cure praticate
o allo stesso decorso della malattia. Quando riprese le forze, poté
lasciare il letto e presentarsi anche al Distretto di Roma per la visita
militare. Il medico curante consigliò per lui un po’ dell’aria
natia. Raffaele, che aveva espresso il desiderio di morire in
Congregazione, il mattino del 2 agosto 1898, accompagnato da un
confratello, partì per Napoli e da lì arrivò a Torre del Greco. L’aria
balsamica gli facilitava il respiro e calmava la tosse. In più, le cure
della mamma e dei medici sembrarono dargli la guarigione.
La malattia si aggrava Nonostante
la debolezza, finché poté andò in chiesa tutti i giorni, ma la malattia
si aggravò: a quel punto, usciva solo il giovedì, con l’aiuto di un
bastone. Anche se si sentiva morire ad ogni passo, restava in ginocchio a
pregare per lungo tempo. Alla fine, non si mosse più dal letto. Tutti
i giorni riceveva la Comunione da sacerdoti che si recavano a fargli
visita. Pur non potendo parlare con facilità per la mancanza di respiro,
riusciva a dialogare con parenti, amici, sacerdoti e confratelli,
conversando sull’Amore di Dio e sulla Madonna. Pur essendo consapevole
dell’aggravarsi del male, Raffaele si era preparato a corrispondere alla
volontà di Dio.
La morte La mattina del 15 settembre
1898 fece chiamare padre Luigi Torrese, che aveva continuato ad
assisterlo spiritualmente, e da lui volle gli ultimi Sacramenti. Per
volontà del parroco Brancaccio, la Comunione in forma di Viatico gli
venne portata in processione: dal racconto di uno scrittore dell’epoca,
si sa che il corteo si andò infoltendo di devoti lungo il percorso,
tutti mesti per l’imminente fine del “prevetariello” (“pretino”, in
dialetto napoletano), come veniva chiamato Raffaele. Verso le 13.30,
rivolto verso l’immagine della Madonna che era nella stanza, dolcemente
spirò. Furono migliaia le persone che si recarono da Torre del Greco e
da Secondigliano a rendere omaggio alla salma del giovane, considerato
da tutti un santo. Non aveva voluto fiori né confetti, come si usava
allora, ma nella stanza per due giorni perdurò un profumo di fiori di
tante qualità, che lasciò perplessi e meravigliati parenti e amici. I
suoi funerali, benché modesti per la condizione familiare, videro la
partecipazione spontanea di tutta Torre del Greco: una fiumana di gente
l’accompagnò al cimitero. Il 15 gennaio 1956 i suoi resti mortali furono traslati dal cimitero di Torre del Greco a quello di Secondigliano.
La causa di beatificazione fino al decreto sulle virtù eroiche L’11
ottobre 1956 furono nuovamente riesumati, sottoposti a ricognizione e
traslati solennemente nella cappella di santa Lucia (oggi cappella di
san Gaetano Errico) del Santuario dell’Addolorata, annesso alla Casa
madre della sua congregazione in via Dante Alighieri 2 a
Secondigliano-Napoli, alla presenza del cardinal Marcello Mimmi,
arcivescovo di Napoli. Lo stesso giorno si aprì il processo
informativo per la sua beatificazione, conclusosi il 19 febbraio 1959 e
trasmesso alla Sacra Congregazione dei Riti a Roma, all’epoca competente
per le cause di beatificazione e canonizzazione. Il 13 novembre 1970 si
ebbe il decreto sugli scritti. Il 20 giugno 2025, papa Leone XIV,
ricevendo in udienza il cardinal Marcello Semeraro, Prefetto del
Dicastero delle Cause dei Santi, autorizzò la promulgazione del decreto
con cui Raffaele veniva dichiarato Venerabile. Raffaele Mennella,
nativo di Torre del Greco in provincia e diocesi di Napoli, lavorò fin
dall’adolescenza in una piccola fabbrica di corallo. Resistendo alle
prese in giro dei colleghi apprendisti, fortificò la sua fede e maturò
la vocazione religiosa. Dopo l’incontro con padre Luigi Torrese, dei
Missionari dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria, chiese di essere ammesso
in quella congregazione. Iniziò il noviziato il 10 novembre 1894,
professò i voti semplici il 21 novembre 1895 e, il 13 novembre 1896,
ricevette la tonsura e gli Ordini Minori. S’impegnò profondamente
nell’assimilare gli insegnamenti del fondatore, san Gaetano Errico, e
nel vivere con intensità i suoi impegni di preghiera e di studio.
Inviato a Roma per approfondire la formazione in vista del sacerdozio,
dovette tornare in famiglia dopo l’estate del 1898: aveva contratto la
tubercolosi polmonare. Nel corso della malattia stupì quanti andavano a
visitarlo per la sua accettazione del volere di Dio. Morì quindi alle
13.30 del 15 settembre 1898, a ventuno anni. I suoi resti mortali
vennero traslati, nel 1956, nel Santuario dell’Addolorata, annesso alla
Casa madre dei Missionari dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria, in via
Dante Alighieri 2 a Secondigliano-Napoli. Il 20 giugno 2025 papa Leone
XIV autorizzò la promulgazione del decreto con cui Raffaele veniva
dichiarato Venerabile.
Autore: Antonio Borrelli
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