Cristoforo Colombo nato probabilmente nel 1451 a Genova, in una famiglia di tessitori, s’imbarcò ancora adolescente. Prese parte a una guerra contro i pirati moreschi e in successivi viaggi raggiunse la costa occidentale africana e l’Islanda. Giunse in Portogallo intorno al 1471, sicuro che la terra fosse rotonda e non piata come si credeva all’epoca; tuttavia non riuscì a convincere il re portoghese a finanziare il suo viaggio di esplorazione volto a “scoprire”, l’Estremo Oriente navigando verso Ovest. Giunto in Spagna fra il 1485 e il 1486, continuò a promuovere la sua idea. Tuttavia, fu soltanto nel 1492 che il suo progetto ottenne la benedizione della regina Isabella. Ottenuto il finanziamento reale e il titolo di ammiraglio, Colombo armò tre piccole caravelle, la Nina, la Pinta e la Santa Maria, assoldò timonieri esperti, centoventi marinai e salpò verso occidente diretto in Giappone, la perla dell’Estremo Oriente. Quando la flottiglia lasciò il porto di Palos il 3 agosto 1492, molti dei presenti erano convinti di assistere alla partenza di una spedizione sconsiderata e che quegli uomini non sarebbero mai più tornati in dietro. Raggiunte le isole Canarie, le imbarcazioni si avventurarono nello sconosciuto Oceano Atlantico e iniziarono la traversata. Nonostante l’equipaggio a volte si lasciasse andare al nervosismo e allo scoraggiamento, non si verificarono episodi di ammutinamento, come invece sostengono alcuni resoconti di viaggio. Ma non ci sono dubbi sul fatto che quando il 12 ottobre 1492 venne avvistata la terra, marinai e ammiraglio fossero estremamente sollevati e gioiosi. Le caravelle attraccarono a mezzogiorno in quella che oggi è l’isola di Watling nelle Bahamas; Colombo era convinto di essere giunto in Cina o in India (da qui il nome di “indiani” per i nativi d’America). L’isola che i locali chiamavano Guanahari venne ribattezzata San Salvador e rivendicata per la Spagna. Diritti di proprietà vennero in seguito avanzati per l’odierna Haiti, Hispaniola (battezzata Santo Domingo da Colombo) e Cuba. Il giorno di Natale venne fondato un insediamento a Santo Domingo al quale venne dato il nome di La Navidad. Ma nel giorno della nascita di Cristo alla cui adorazione Colombo, da autentico cattolico, intendeva convertire gli indigeni, l’esploratore vide la sua nave ammiraglia, la Santa Maria, incagliarsi e divenire inutilizzabile. Lasciato parte dell’equipaggio a Santo Domingo, la Nina e la Pinta salparono per la Spagna e dopo un viaggio difficile a causa delle condizioni atmosferiche raggiunsero l’Europa. Di nuovo a Palos il 15 marzo 1493, Colombo affermò di avere provato che navigando verso occidente era giunto in Oriente. Per chiudere la bocca ai molti scettici, aveva portato con sé oggetti donatigli dagli indigeni e piante esotiche, fra cui forse anche il tabacco e un modo di “fumare” le foglie arrotolandole in quelli che venivano chiamati Cigarros. Ma ciò che suscitò un particolare interesse nei monarchi spagnoli furono gli oggetti in oro. Attirati dalle incalcolabili ricchezze possedute dai paesi al di là dell’oceano, i governanti spagnoli fornirono a Colombo i mezzi per tornare nelle “Indie Occidentali” e riempire i forzieri della monarchia, convertire al cristianesimo e avvalorare la sua convinzione secondo la quale con qualche altra esplorazione sarebbe giunto in Giappone. Al comando di una flotta composta da tre grandi navi, tredici caravelle e circa millecinquecento uomini, Colombo avvistò terra il 3 novembre 1493. In seguito raggiunse le isole che conosciamo con il nome di Antille Francesi e Giamaica. Ma quando tornò a La Navidad, scoprì che l’insediamento era stato distrutto dagli indigeni e non trovò più nessuno degli uomini che vi aveva lasciato. Costretti a confrontarsi con indigeni ostili, gli esploratori costruirono un forte, battezzato Santo Tomaso, ma nel frattempo il loro ammiraglio si trovava a dover combattere con gli effetti negativi del clima. Dal nuovo insediamento, Colombo diresse la raccolta d’oro per il tesoro reale e quella degli essere umani da essere inviati in Spagna in catene, perché potessero essere istruiti alla fede cristiana. Gli indigeni rimasti vennero trattati con durezza, un particolare che sarebbe stato sfruttato dai detrattori di Colombo per ritrarlo non come un eroe ma un farabutto. In quegli anni Colombo si trovò ad affrontare episodi di ribellione a causa del suo sistema di amministrazione della colonia. Quando le rimostranze degli uomini raggiunsero la Spagna, vennero respinte da Isabella che preferì dare maggiore peso alle ricchezze che Colombo stava fornendo. Di conseguenza, l’esploratore ottenne i finanziamenti per una terza spedizione e salpò da Siviglia il 30 maggio 1498, iniziando il viaggio che lo avrebbe portato alla scoperta del Sud America. Le continue lamentele riguardo l’amministrazione di Colombo spinsero infine la Regina a inviare nelle nuove colonie suoi uomini di fiducia che non solo rimossero Colombo dalla posizione di governatore delle Indie ma lo arrestarono insieme a due dei suoi fratelli. In catene, Colombo venne trascinato a bordo di una nave e accusato di essersi arricchito e di avere ignorato gli ordini del governo spagnolo. Convinto che il terzo viaggio lo avesse portato più vicino all’Asia, Colombo riuscì a convincere i reali che un’altra spedizione lo avrebbe portato nel mar Rosso e in Terra Santa da dove, disse, avrebbe raggiunto Gerusalemme e recuperato il sepolcro di Cristo. Le cose andarono in altro modo: le navi naufragarono lungo la costa della Giamaica. Tornato in Spagna ai primi di novembre del 1504, Colombo dovette affrontare gravi problemi di salute: sia il corpo sia la mente cominciavano a cedere. Poche settimane dopo, Isabella, sua grande protettrice, morì. Sebbene re Ferdinando lo trattasse con il rispetto dovuto a colui che aveva aperto un Nuovo Mondo alla Spagna, non espresse alcun entusiasmo nei confronti del desiderio di Colombo di lanciarsi in un’altra avventura. Deluso e malato, trascorse i successivi due anni a terra. Morì a Valladolid il 20 maggio 1506. Secondo il figlio, Diego, il corpo venne sepolto in quella città, quindi rimosso nel 1541 e tumulato nella cattedrale di Santo Domingo. Quando la Francia occupò Haiti nel 1795, i resti vennero portati a Cuba. Quando nel 1898 gli Stati Uniti liberarono la colonia al termine della guerra ispano – americana, resti che nessuno poteva affermare con certezza fossero quelli di Cristoforo Colombo trovarono finalmente riposo a Siviglia. Definendo Colombo “un uomo di indubbio genio”, una lunga biografia a lui dedicata nell’enciclopedia cattolica sottolineò che l’esploratore era “un navigatore audace ed esperto, dotato di una profonda conoscenza dei principi della cosmologia e dell’astronomia, un uomo dalle idee originali, dalla mente fertile e dalla tenacia necessaria per mettere in pratica i suoi arditi programmi”, inoltre “il suo successo nel superare gli ostacoli che si frapponevano fra lui e le spedizioni e il superamento delle difficoltà nel corso dei viaggi hanno fatto di lui un uomo dalle inusuali risorse e dall’incrollabile determinazione”. Cristoforo Colombo fu certamente un uomo della Provvidenza divina, dato ch’essa si servì di lui per aprire il cielo per far entrare nel numero dei beati questo servo di Dio, che fu membro zelante del terzo ordine francescano. Per impulso del Cavaliere Giuseppe Baldi, nelle cui mani si trovano le catene in cui Colombo fu fatto riportare in Spagna per ordine del ministro spagnolo Bobadilla, più di 600 vescovi della Chiesa rivolsero al S. Padre la preghiera di dar ordine perché s’inizi il processo di beatificazione di Colombo. Sono anche già state esaudite in modo che ha del miracoloso alcune preghiere che gli furono rivolte. Ricordiamo un fatto avvenuto nel 1885. Un ragazzo di Cannes era stato morso da un cane e ne aveva avuto delle conseguenze fisiche così terribili da far temere il peggio. Medici e medicine non poterono aiutarlo. Dopo cinque anni di sofferenze atroci, la madre del ragazzo, che aveva una grande fiducia in Cristoforo Colombo, implorò caldamente il suo aiuto, ed iniziò una novena in suo onore. Alla fine del non giorno, la sorella del ragazzo, di notte, vide improvvisamente che la stanza del malato era illuminata a giorno; in mezzo a questa luce scorse un uomo alto e forte, in abito bianco, con una cintura violetta, che disse alla ragazza spaventata: “Non aver paura! Sono Cristoforo Colombo e vengo per guarire tuo fratello; alzati e togliti la coperta!”. Poi l’apparizione fece sopra le ferite il segno della S. Croce e scomparve. Il corpo del ragazzo, che era stato così misero e deforme, tutto ad un tratto fu sano e bello, e la biancheria sporca di sangue e di pus, apparve come nuova o appena lavata. Questa è la terza guarigione miracolosa avvenuta.
Autore: Don Marcello Stanzione
Fonte: Aleteia
Nel suo secondo pellegrinaggio apostolico in Argentina, Papa Giovanni Paolo II si è espresso sul significato storico della scoperta e della conseguente opera di evangelizzazione [dell'America]: "Negli uomini e nelle donne di questa terra, nei suoi costumi e nel suo stile di vita perfino nella sua architettura, si scoprono i frutti di quell’incontro di due mondi che ebbe luogo quando giunsero i primi spagnoli ed entrarono in contatto con i popoli indigeni che vivevano in questa regione, e in modo particolare con la cultura quechua-aymarà. "Da questo incontro fruttuoso è nata la vostra cultura, vivificata dalla fede cattolica che, fin dall’inizio, si è radicata molto profondamente in queste terre". Appare perciò utile un’opera chiarificatrice, che deve cominciare proprio dalla personalità di Cristoforo Colombo, il primo artefice della scoperta. Infatti, anche sulla sua figura si accaniscono nuovi detrattori, che riprendono vecchi tentativi di ridimensionamento, ipotesi prive di fondamento, interpretazioni non rispondenti a quanto la ricerca storica ha ormai acquisito pur nella difficoltà oggettiva delle fonti. Né giovano a una buona comprensione della personalità dell’Ammiraglio certe prospettive insistenti su una sua presunta "modernità", che lo avrebbe portato a superare e a vincere i pregiudizi medievali. Queste prospettive riprendono la posizione largamente dominante nella cultura illuminista, che esaltò il personaggio Cristoforo Colombo e la sua scoperta, "triomphe de la raison", infamando, al tempo stesso, la Spagna e la civiltà cattolica. Anche la formula adottata da Paolo Emilio Taviani, "una psicologia moderna su base medievale", secondo cui Cristoforo Colombo si collocherebbe "in mezzo tra due età", perché medievali sarebbero "l’impostazione teorica [...], la visione filosofica e teologica e gli stessi presupposti delle sue concezioni scientifiche", mentre rinascimentali "il suo ardore investigativo, il vivissimo sentimento della natura, la capacità di affrontare le spiegazioni dei fatti fino ad allora non ancora osservati o spiegati", paga un tributo non accettabile a una visione convenzionale della curiosità "scientifica" e dell’atteggiamento medievale verso le realtà della natura. In verità, è impossibile comprendere l’uomo Cristoforo Colombo senza intenderne le profonde radici cattoliche e medievali, senza inquadrarlo nel suo tempo e senza porlo al punto cruciale di una generale espansione europea: piuttosto che tentare una biografia, ci sembra opportuno insistere proprio su questa chiave di lettura e su alcune questioni a essa connesse.
La patria di Cristoforo Colombo Approfittando dell’assenza di un certificato di nascita e della non rarità, in tutto il Mediterraneo, del cognome nelle diverse varianti linguistiche, la fantasia degli autori si è scatenata nell’attribuire a Cristoforo Colombo i luoghi di nascita più diversi: lo si è voluto francese, corso, catalano, galiziano, portoghese, greco, inglese, tedesco... Ma l’alternativa più insistente, e nuovamente ripresentata anche in occasione del quinto centenario della scoperta dell’America, è la sua origine ebraica; essa merita di essere brevemente esaminata perché, anche nella versione che lo vorrebbe di famiglia ebraica convertita, un converso, questa tesi lo riporterebbe, in parte, a una tradizione culturale diversa da quella da noi indicata come decisiva per la comprensione della sua figura. Già formulata, agli inizi del nostro secolo, da Henry Vignaud — in un’opera peraltro tesa alla demolizione della grandezza di Cristoforo Colombo —, è stata ripresa nel 1939 da uno scrittore particolarmente sottile ed elegante, Salvador de Madariaga, all’interno di una concezione mirante a esaltare il ruolo dei conversos nella Spagna del tempo, decisivi nella guida del regno, dell’Inquisizione e dell’economia. Dunque, Cristoforo Colombo sarebbe stato un ebreo catalano convertito, appartenente a una famiglia fuggita in Liguria, dopo i moti antiebraici avvenuti in Catalogna alla fine del secolo XIV. Gli argomenti di Salvador de Madariaga sono di singolare debolezza e soltanto l’accumulo delle ipotesi e l’ingegnosità dello stile possono disorientare e stordire un lettore troppo passivo. Basti dire che i motivi principali sono i seguenti: — un’interpretazione ebraica del criptogramma con cui Cristoforo Colombo firmava le sue lettere; — il fatto che la madre si chiamasse Susanna, personaggio dell’Antico Testamento; — il mestiere di tessitore del padre, Domenico, considerato "mestiere di elezione degli ebrei". Ma del criptogramma lo stesso Ammiraglio ci invita a una lettura cristiana e strettamente collegata alla sua convinzione di avere avuto una precisa missione da Dio. Quanto ai nomi, dopo aver osservato che, pur raro, quello di Susanna era presente in tutte le principali casate nobili genovesi, Jacques Heers fa notare che Domenico Colombo dette a tutti i suoi figli nomi "perfettamente e inequivocabilmente cristiani: Cristoforo, Bartolomeo, Giacomo e Giovanni Pellegrino". Quanto all’argomentazione relativa al mestiere del padre, citiamo ancora Jacques Heers: "L’affermazione lascia alquanto sbalorditi se si pensa alle migliaia e migliaia di telai che a quel tempo tessevano la lana nelle città e nelle campagne d’Italia"; a Genova, poi, non vi è nessuna traccia di una presenza ebraica in questo settore, anzi, a differenza di altre città, come Venezia, la presenza ebraica in generale era, attorno al 1450, praticamente inesistente. Ancor meno serio — per riprendere il severo ma giusto giudizio di Bartolomé e di Lucile Bennassar — è pretendere, come fa Simon Wiesenthal, che Cristoforo Colombo cercasse nelle Indie una patria per stabilirvi gli ebrei iberici minacciati di espulsione: basti osservare che il progetto del navigatore genovese era stato formulato compiutamente almeno un decennio prima, mentre il provvedimento dei Re Cattolici fu una decisione quasi improvvisa. In realtà, oggi non si può seriamente dubitare che Cristoforo Colombo fosse genovese, di famiglia originaria della montagna ligure. Sappiamo che suo padre, di nome Domenico, esercitava il mestiere di tessitore e, legato al clan familiare dei Fregoso, fu guardiano della porta dell’Olivella. Conosciamo anche il nonno, Giovanni, anch’egli tessitore. La ricerca d’archivio ha aggiunto vari documenti alla generale attestazione dei suoi contemporanei che lo indicano come genovese. E poiché allora i genovesi erano quelli che si muovevano su più ampi spazi marittimi, assicurando i trasporti per mare dal Mar Nero alle Fiandre e all’Inghilterra, si possono ben comprendere le sue esperienze giovanili a Chio, il lungo soggiorno in Portogallo, con le prime esperienze oceaniche e il concepimento del suo progetto, perfino certi aspetti del suo soggiorno in Andalusia, ove la presenza di uomini d’affari genovesi e fiorentini era, come in Portogallo, notevole.
Il progetto. Rifiuti e approvazioni Come l’esperienza marinara di Cristoforo Colombo si inquadra perfettamente nella storia della sua patria e del suo tempo, così il progetto di raggiungere l’Oriente passando, attraverso l’Oceano, per l’Occidente, si stava imponendo, sia pure in maniera sfocata e imprecisa, in diversi ambienti scientifici ed eruditi dell’epoca: basti ricordare l’influenza di Paolo dal Pozzo Toscanelli. Il navigatore genovese ha il merito di concepire con maggior precisione il disegno, rafforzando le tesi di alcuni dotti con la personale esperienza di uomo di mare, che aveva osservato indizi significativi e raccolto anche alcune voci degli ambienti marinari; e quindi di perseguire con ostinazione la realizzazione dell’impresa condotta, poi, con le sue straordinarie doti nella guida delle navi e degli uomini. Tuttavia è bene ricordare che il suo progetto si basava su un duplice errore geografico, pur condiviso da sapienti di grande autorità, e verrebbe voglia di esclamare con la liturgia del Sabato Santo: felix culpa! : infatti egli riteneva la Terra molto più piccola e l’Asia molto più estesa verso l’Europa. Così gli poté apparire realizzabile un viaggio che, senza l’inattesa presenza di un altro continente, si sarebbe rivelato, evidentemente, impossibile. È importante ricordare questo fatto perché ci permette di comprendere il parere negativo sia degli studiosi consultati dal re del Portogallo, Giovanni II, sia di quelli spagnoli, in buona parte dell’università di Salamanca, interpellati dai Re Cattolici. Essi avevano, da un punto di vista matematico e geografico, ragione. E su questo piano avvennero, com’è documentato, le discussioni. Naturalmente non era in questione la sfericità della Terra, dato pienamente acquisito dalla cultura geografica medievale, ma la sua dimensione; e non sarebbe stato necessario ricordarlo se non fosse ancora largamente diffuso questo luogo comune tipico della "leggenda nera" sul Medioevo. Dunque tali studiosi non erano, come spesso li si immagina, i rappresentanti di una cultura vecchia, superata, "medioevale", contrapposta a quella nuova e "moderna" di Cristoforo Colombo. Ancor meno essi erano fanatici religiosi nemici della umanistica laicità del genovese, come, per esempio, ce li raffigurava uno sceneggiato televisivo realizzato alcuni anni or sono, senza risparmiarci nessuno dei topoi che era, ahimé, prevedibile attendersi: facce incavate, occhi ardenti, voci stridule. Semmai era proprio Cristoforo Colombo a superare, di fronte agli altri e a sé stesso, le obbiezioni oltre che con argomenti razionali anche con una convinzione progressivamente crescente di una missione affidatagli dalla Provvidenza. Un’ultima considerazione: perché il progetto di Cristoforo Colombo, che era stato giudicato negativamente da ripetuti autorevoli pareri, trovò quasi improvvisamente accoglienza da parte dei Re Cattolici nei primi mesi del 1492? Indubbiamente pesarono i sostenitori e i finanziatori che il navigatore genovese era riuscito a procurarsi, ma la spiegazione essenziale è da ricercarsi nell’euforia dei sovrani, della Corte e del popolo spagnoli per l’avvenuto compimento del processo di Reconquista, avviato dalla metà del secolo VIII e terminato il 2 gennaio 1492 con la conquista di Granada: un quinto centenario, questo, che il governo socialista spagnolo non ha avuto il coraggio di celebrare o di commemorare.
La religiosità di Cristoforo Colombo Certamente in Cristoforo Colombo e in coloro che lo seguirono, come in generale nell’espansione europea della fine del Medioevo, non sono da trascurare le motivazioni di tipo economico e, in particolare, la ricerca dell’oro, senza dimenticare che, a partire dagli anni Quaranta del secolo XV, per i portoghesi acquista crescente importanza anche la cattura di schiavi lungo le coste africane: ma questa motivazione economica è assente dal progetto del navigatore genovese; più in generale, in tale espansione si manifesta "l’incoercibile bisogno, più o meno cosciente, di spazio", non per eccesso di popolazione — le grandi epidemie di peste del secolo precedente avevano abbattuto di circa il 40% la popolazione europea —, ma per la ricerca di orizzonti più ampi, anche in relazione al serrarsi del Mediterraneo Orientale per l’avanzata dei turchi ottomani e al completamento della Reconquista. Inoltre, per Cristoforo Colombo le motivazioni di ordine religioso avevano un peso notevole, che sarebbe estremamente ingiusto e arbitrario ridurre a giustificazioni strumentali o a residui poco significativi di riti o di pratiche a carattere magico e superstizioso. E ciò va ribadito contro gli storici moderni poco propensi a prendere in considerazione il richiamo religioso; essi, come ha osservato Jacques Heers, "se ne parlano, vi vedono un elemento troppo trascurabile per evocarlo in maniera attenta, oppure un semplice pretesto. Molti pensano volentieri che il Genovese parlasse di dovere religioso, di servizio di Cristo e di prospettive di evangelizzazione solo per conciliarsi meglio le buone grazie della regina attraverso una manovra interessata". Già la lettura del Diario di bordo ci offre un’ampia esemplificazione di questi aspetti decisivi per comprendere la personalità dell’Ammiraglio: ci limitiamo a qualche esempio, per altro assai eloquente, circa la profonda religiosità di Cristoforo Colombo e la sua convinzione di svolgere una missione accompagnata dal favore divino. In data 23 settembre 1492 egli istituisce un parallelo fra sé e Mosé: come allora a Mosé, che conduceva gli ebrei fuori dalla schiavitù egiziana, risultò utile il mare grosso in assenza di vento, così lo stesso straordinario fenomeno si è ripetuto a suo vantaggio per tranquillizzare i marinai timorosi circa la possibilità di fare ritorno. Il problema della conversione degli indigeni è, fin dallo stesso primo contatto del 12 ottobre, al centro dell’attenzione dello scopritore: "Conobbi che era gente che meglio si salverebbe e si convertirebbe alla nostra santa fede con l’amore che con la forza". E in data 27 novembre, rivolgendosi ai sovrani spagnoli, dopo aver esposto la necessità di superare la barriera linguistica, scrive: "E poi si raccoglieranno i benefici e si lavorerà per fare cristiani tutti questi popoli, il che agevolmente si farà perché essi non hanno setta alcuna, né sono idolatri". Sempre il Diario di bordo ci informa sul comportamento e sui pensieri di Cristoforo Colombo durante la spaventosa tempesta che coglie le due caravelle superstiti a metà febbraio, durante il viaggio di ritorno. In tali drammatici frangenti egli ha il timore che Dio gli impedisca il ritorno e "attribuì questo alla sua poca fede e alla mancanza di fiducia nella Provvidenza divina. D’altra parte lo confortavano le grazie che Dio gli aveva fatto, dandogli tanto grande vittoria, permettendogli di scoprire quello che aveva scoperto. [...] E che, come nel passato aveva posto il suo fine e indirizzato tutta la sua impresa a Dio e lo aveva ascoltato [...] doveva credere che gli darebbe compimento di quanto cominciato e lo porterebbe a salvamento". Da buon capitano medievale Cristoforo Colombo si preoccupa "che si estraesse a sorte un pellegrino che andasse a Santa Maria di Guadalupe e portasse un cero di 5 libbre di cera", e la sorte designa proprio lui: a questo santuario dell’Estremadura condurrà di persona i primi indiani portati in Spagna a ricevere il battesimo. Poi viene deciso anche "di mandare un pellegrino a Santa Maria di Loreto, che è nella marca di Ancona, terra del Papa, che è una casa dove Nostra Signora ha fatto e fa molti e grandi miracoli"; "dopo di ciò l’Ammiraglio e tutto l’equipaggio fecero voto di andare, arrivando alla prima terra, tutti in camicia in processione a far preghiera in una chiesa che fosse dedicata a Nostra Signora". Va inoltre ricordato che l’Ammiraglio tiene sempre presenti, anche nel corso delle sue esplorazioni, il calendario liturgico, le solennità ecclesiastiche e i misteri della Fede. Il 6 dicembre 1492, giorno della festività di san Nicola, chiama con quel nome il porto dell’isola Hispaniola — poi Haiti — in cui si trovava, come nel secondo viaggio un promontorio riceve il nome di Cabo Cruz il 3 maggio, giorno del rinvenimento della Croce.
Cristoforo Colombo, il Santo Sepolcro e la Crociata Un motivo ricorrente nei testi di Cristoforo Colombo è quello della finalizzazione dei risultati della sua impresa alla liberazione del Santo Sepolcro. Nel Diario di bordo, dopo aver narrato la costruzione del primo insediamento, quello di Navidad — fondato il 25 dicembre del 1492, subito dopo il naufragio della Santa Maria. —, afferma che intende ritornare in un secondo viaggio dalla Castiglia e trovare oro e spezie "in tanta quantità che i re, prima di 3 anni, intraprendessero e preparassero [l’azione] per andare a conquistare la Casa Santa" confermando così l’impegno preso "con fermezza" con i sovrani prima della sua partenza, e cioè "che tutto il guadagno di questa mia impresa si spendesse nella riconquista di Gerusalemme". In quell’occasione — ricorda — i sovrani "sorrisero e dissero che piaceva loro e che [anche] senza questo avevano quel desiderio". Nell’atto con cui istituisce il maggiorascato a favore di don Diego, il suo primogenito, Cristoforo Colombo ricorda nuovamente l’intenzione di spendere la rendita delle Indie "per la conquista di Gerusalemme" e impegna il figlio, o il suo erede, "ad andare con il Re Nostro Signore, se andrà a Gerusalemme a conquistarla, o anche solo, con la maggior forza possibile". Dopo il terzo viaggio, fra il 1501 e il 1502, l’Ammiraglio, temporaneamente caduto in disgrazia presso i sovrani, pone mano al Libro de las Profecias, una raccolta di passi biblici, di Padri della Chiesa e di Seneca "circa materiam recuperande sancte civitatis et montis Dei Syon ac inventionis et conversionis insularum Indie et omnium gentium atque nationum ad reges nostros Hispanos", come suona il titolo del manoscritto conservato nella Biblioteca Colombina di Siviglia. Del resto, come orgogliosamente affermava, sempre nel 1501, in una lunga lettera ai Re Cattolici, non aveva forse scritto l’abate Gioacchino che "doveva uscire di Spagna chi avrebbe riedificato la casa del monte Sion"? Nella stessa lettera, pur amareggiato, umiliato, deluso, afferma chiaramente di considerarsi il missionario predestinato a portare a Cristo gli abitanti delle terre da lui scoperte, in "pieno compimento di ciò che disse Isaia" e grazie a "un miracolo evidentissimo che volle fare Nostro Signore in questo affare del viaggio alle Indie". E se indubbiamente il progetto crociato non fu realizzato, come dimenticare, comunque, che "l’oro del Nuovo Mondo servirà a finanziare eserciti e armadas contro i Turchi"? Negli anni Ottanta è stato scoperto un libro copiador, cioè un quaderno copialettere, contenente nove lettere di Cristoforo Colombo, sette delle quali inedite. Alcune di esse, tutte indirizzate ai Re Cattolici e ricche di diverse informazioni nuove, confermano ulteriormente le profonde radici medievali e cristiane della personalità del navigatore e l’alta consapevolezza del significato storico dell’impresa compiuta. E ritorna, in una di esse, il tema del ricupero della "Casa Santa" di Gerusalemme.
Cristoforo Colombo, il criptogramma e la devozione alla Santissima Trinità Geo Pistarino ha avanzato un’ipotesi interpretativa del famoso criptogramma o acronimo che Cristoforo Colombo crea probabilmente in occasione del secondo viaggio, di cui impone l’adozione ai suoi eredi nel testamento del 1498 e che adotta poi sistematicamente come firma, dopo aver pazientemente esaminato tutte le ipotesi, anche le più arbitrarie e strampalate, formulate nei secoli, con trascrizioni in ebraico o, addirittura, in linguaggio esoterico-massonico o pseudo-templare. Sulla base delle indicazioni date dall’Ammiraglio, bisogna ricercare la corretta interpretazione nell’ambito preciso della sua religiosità cattolica. Non a caso, a partire dal 1502, alla base del criptogramma egli pone, in sostituzione del precedente El Almirante, la spiegazione del significato del suo nome: Christo ferens, che porta a Cristo. Secondo l’ipotesi di lettura prospettata da Geo Pistarino le tre "S" del triangolo superiore andrebbero lette come una ripetuta e circolare invocazione allo Spirito Santo, al Sanctus Spiritus mentre le lettere inferiori rimanderebbero ai nomi Christus, Maria, Yesus, ricordando che nella scrittura spagnola dell’epoca "Y" e "J" si identificavano. La "A" starebbe per Altissimus. La forma generale, poi, richiamerebbe il triangolo trinitario. Senza esaminare questa ipotesi in tutti i suoi aspetti, compreso il problema dei rapporti fra Cristoforo Colombo ed eredità gioachimite, più o meno dirette, importa riprendere alcune osservazioni dell’autore su due cardini della spiritualità del genovese: la devozione mariana — si pensi ai toponimi da lui dati di Asunción, Concepción, Anunciación — e quella verso la Santissima Trinità. A questa, secondo quanto affermava in una lettera scritta dalla Niña il 15 febbraio 1493, tutta la Cristianità doveva dare "solenni grazie" con molte orazioni "per la grande esaltazione che avranno dall’accesso di tanti popoli alla nostra santa fede". E "in nome della Santa Trinità" muove, in occasione del secondo viaggio, all’esplorazione di Cuba. Di più: all’inizio dell’atto del maggiorascato del 1498, Cristoforo Colombo attribuisce alla Santissima Trinità l’idea prima — "ci ha messo in mente" — e poi la precisa concezione — "perfetta comprensione" — della possibilità di andare dalla Spagna alle Indie "passando il Mare Oceano a Ponente". Nello stesso anno, nella lettera scritta dall’isola di Hispaniola ai Re Cattolici con la relazione del terzo viaggio, il richiamo alla Santa Trinità è continuo: Essa ha mosso i sovrani ad appoggiare l’impresa di cui era il messaggero; in Suo nome è partito ogni volta; con il Suo aiuto compirà gli ordini che gli verranno dati.
Autore: Marco Tangheroni - Maurizio Parenti
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