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San Giuseppe Gabriele del Rosario Brochero Sacerdote

26 gennaio

Santa Rosa de Rio Primero, Argentina, 16 marzo 1840 - Villa Tránsito, Argentina, 26 gennaio 1914

José Gabriel del Rosario Brochero fu un sacerdote dell’Arcidiocesi di Córdoba, in Argentina. Destinato nel 1869 come parroco della cittadina di San Alberto, migliorò la vita dei suoi parrocchiani in tutti i campi, senza trascurare quello spirituale. Fu detto “el cura gaucho” (“il prete gaucho”) perché, come i famosi cavalieri argentini, percorreva chilometri e chilometri a dorso di mula, per farsi vicino a tutti. Condivise la condizione dei suoi fedeli fino ad arrivare a contrarre la lebbra, per aver bevuto dell’infuso di erba mate con alcuni ammalati. Tornato nel suo paese natale, fu reclamato indietro dalla sua gente e morì il 26 gennaio 1914, nella città di Villa del Tránsito, che due anni dopo, in suo onore, fu rinominata Villa Cura Brochero. Fu dichiarato venerabile da san Giovanni Paolo II nel 2004 ed è stato beatificato il 14 settembre 2013 sotto il pontificato di papa Francesco, suo connazionale. La sua canonizzazione, dopo l’approvazione del secondo miracolo necessario, è stata fissata a domenica 16 ottobre 2016, insieme a quella di altri sei Beati. La sua memoria liturgica è il 16 marzo. I suoi resti mortali sono venerati nel santuario della Madonna del Transito, a Villa Cura Brochero.



Le spigolosità del suo carattere, tutte quante emerse nel corso del processo di canonizzazione al punto da, se non ostacolarlo, certamente rallentarlo, non gli avevano alienato la simpatia del suo popolo.
Ed è certo, fosse anche solo per la complicità della comune origine argentina, che anche Papa Francesco l’ha sempre stimato molto, anzi c’è da scommettere che quando nella Messa Crismale del 2013 (la prima nella sua nuova veste di “vescovo di Roma”) ha chiesto ai preti di essere pastori con «l’odore delle pecore», pensava sicuramente a lui, al “Cura Brochero”, come ha lasciato trasparire in occasione della beatificazione, quando lo ha definito «pastore che odorava di pecora, che si fece povero tra i poveri, che lottò sempre per stare vicino a Dio e alla gente, che fece e continua a fare tanto bene come carezza di Dio al nostro popolo sofferente».
José Gabriel del Rosario Brochero nasce nel 1840 nei pressi di Córdoba, in Argentina, ed entra in seminario a 16 anni dopo un faticoso discernimento vocazionale: da sempre attratto verso il sacerdozio, ma frenato e intralciato da dubbi e perplessità.
Ordinato prete dieci anni dopo, inizia il suo ministero in prima linea, perché Córdoba è infestata dal colera che miete più di quattromila vittime, la maggioranza delle quali se lo vedono pericolosamente inginocchiare accanto, nell’atto di amministrar loro gli ultimi sacramenti.
All’emergenza subentra l’ordinarietà del ministero che gli si chiede di esercitare a San Alberto, una comunità di diecimila anime sparse su un territorio di oltre quattromila chilometri quadrati, a tre giorni di viaggio a dorso di mulo da Córdoba.
È la stessa distanza (andata e ritorno) che chiede ai suoi parrocchiani di compiere, quando in comitive di 50/70 per volta, li accompagna a Córdoba a compiere gli esercizi spirituali sullo stile di Sant’Ignazio, spesso sfidando bufere di neve. Proposta sconvolgente ed impegnativa, fatta a mandriani, contadini, povera gente perlopiù analfabeta, che da questa esperienza ritorna come rinnovata e con il proposito di cambiare vita.
Crede talmente in questa sua scelta pastorale da prendere la decisione di costruire una nuova casa di esercizi a Villa del Tránsito, per riuscire ad abbattere almeno i tempi del viaggio: un edificio che adesso porta il suo nome e nel quale si calcola che durante i 40 anni del suo ministero attivo siano transitate almeno 40 mila persone.
Parroco per niente adatto a «restare in sacrestia a pettinare pecore» (secondo la colorita espressione di papa Bergoglio), il Padre Brochero sceglie di immedesimarsi in coloro ai quali vuole annunciare il Vangelo, sapendo che solo così può arrivare dritto al cuore di quella gente semplice.
A cominciare dalla cavalcatura, una semplice mula che non doveva essere uno splendore, fino all’abbigliamento, in tutto simile al loro: vestito come un gaucho, con il poncho sulle spalle e la talare che gli sbuca di sotto e un ampio cappello; il libro di preghiere e il messale, tenuti insieme con un nastro rosso, in mano perché non si perdano durante i lunghi viaggi, senza dimenticare tutto l’occorrente per celebrare Messa.
Precursore di tutti i preti di strada, in perenne movimento nelle sue “periferie”, raggiunge gli angoli più remoti della sua parrocchia con la pioggia o con il sole, soprattutto quando di mezzo c’è un moribondo, perché, dice, «altrimenti il diavolo mi ruba un’anima».
Senza perdere di vista il fine soprannaturale per il quale lavora, cerca di venire incontro alle necessità dei suoi parrocchiani «abbandonati da tutti, ma non da Dio», com’è solito dire: per questo, costruisce strade dove non ce ne sono, apre scuole dove lo stato non arriva, ambulatori medici dove medici non hanno mai messo piede, case per ragazze abbandonate, chiese, asili, ricoveri, mense, scuole, e canali di irrigazione, un cimitero, un acquedotto, un ufficio postale e anche l’estensione di una linea ferroviaria.
Anche il suo linguaggio, semplice e diretto, molto colloquiale, diventa il modo per farsi comprendere da gente che non ha alcuna educazione, né conosce altra lingua se non il dialetto. Nelle sue prediche usa paragoni con la vita di tutti i giorni, episodi e aneddoti facili da capire, usando i termini dei contadini e dei pastori, come quando spiega loro che Dio è come i pidocchi perché si attacca ai poveri e non ai ricchi.
Possiamo quindi anche solo immaginare quali e quanti dubbi questo suo stile di parlare e scrivere abbia fatto sorgere nei censori-teologi durante il processo di canonizzazione, fino a giudicarlo troppo basso e addirittura sgrammaticato, dimenticando forse che il prete in questione nel 1869 ha ottenuto a pieni voti, all’Università di Córdoba, il titolo di Maestro in Filosofia, per cui lo stile dimesso che utilizza altro non vuole essere che una strategia di “incarnazione”.
Che, in ogni caso, ottiene l’effetto sperato, a giudicare anche solo dalla fama che circonda il “Cura-gaucho” (cioè il “prete-mandriano”), già in vita ritenuto santo dalla sua gente, al punto che nel 1883, a Córdoba, distribuiscono la sua biografia e dal 1906 il suo nome è citato nei testi scolastici.
Lo pensionano nel 1898, quindi prima dei 60 anni, per motivi di salute, non potendo più reggere ad un ritmo di vita davvero sfibrante cui da parroco non saprebbe rinunciare. Nominato canonico della cattedrale di Córdoba, dimostra subito che questo posto non fa proprio per lui, cosicché quattro anni dopo gli devono affidare di nuovo la parrocchia di Villa del Transito, di cui prende possesso ad agosto 1902: con lo stesso stile e il medesimo ritmo, incurante dei riguardi che dovrebbe avere per la sua salute.
Sembra trascuri anche le più elementari precauzioni quando si tratta di assistere i malati, cui da sempre vanno le sue preferenze e le sue attenzioni. Avviene così che un bel giorno viene contagiato dalla lebbra per colpa del famoso “mate”, che imprudentemente (o generosamente?) ha voluto condividere con alcuni lebbrosi che sta assistendo.
Devastato progressivamente dalla malattia, nel 1908 deve rinunciare alla parrocchia, questa volta definitivamente, e rientrare nel suo paese natale dove una sorella si prende cura di lui. Accecato dalla lebbra e praticamente sordo, inizia così il periodo della sua decadenza fisica, durante il quale sente di ricevere da Dio «il compito di cercare la mia fine e di pregare per gli uomini passati, presenti e quelli che verranno fino alla fine del mondo».
Evidentemente, pur se menomato, ai suoi “vecchi” parrocchiani il “Cura Brochero” va bene anche così, tanto da reclamarlo a Villa del Transito nel 1912, reso ormai un rudere ma ancora capace di riprendere in mano l’unica cosa lasciata in sospeso, cioè l’ampliamento della linea ferroviaria.
La completa cecità non gli impedisce di celebrare Messa, ma deve accontentarsi dell’unica che riesce a ricordare a memoria, cioè la “Messa della Madonna” e la cosa non gli deve dispiacere, visto che si tratta della «mia Immacolata». «Ora ho gli attrezzi pronti per il viaggio», sussurra il 26 gennaio 1914, poco prima che il suo cuore cessi di battere.
Subito i suoi gauchos, ma in fondo l’Argentina tutta, gli tributano grandi onori e ne tramandano il ricordo: per loro, in fondo, non ci sarebbe bisogno di un processo canonico che certifichi una santità di cui sono già convinti e fieri.
Per la Chiesa, invece, ci vuole più tempo, 50 anni per l’esattezza, perché solo nel 1967 si avvia il Processo che registra pause, spinte, frenate, accelerazioni, perplessità; le stesse, cioè, che si verificano nel successivo mezzo secolo, in cui a fare problema è soprattutto lo stile utilizzato dal “Cura Brochero” per incarnare il Vangelo nella sua terra.
Nel 2004, con papa Giovanni Paolo II, viene riconosciuta la sua venerabilità, cioè l’esercizio eroico delle virtù, poi inizia la paziente attesa del “segno dal cielo”, cioè del miracolo che apra la strada alla beatificazione.
È Benedetto XVI, nel 2012, a riconoscere un miracolo verificatosi nel 2000 per intercessione del padre Brochero, di cui pertanto si fissa la beatificazione, che avviene a settembre 2013, naturalmente nella sua parrocchia e, per una eleganza della Provvidenza, durante il pontificato del primo papa argentino.
Poco più di un mese dopo arriva il secondo miracolo, riconosciuto nel 2015, che consentirà a papa Francesco di proclamarlo santo il prossimo 16 ottobre. Sono miracoli, se vogliamo, di basso profilo, in pieno “stile Brochero”, entrambi compiuti in Argentina ed entrambi a favore di bimbi: il primo salvato da uno stato vegetativo in seguito ad un incidente stradale, la seconda strappata a 45 giorni di coma per le violenze subite in famiglia. Sono la firma di Dio sullo stile misericordioso, checché ne pensino gli uomini, con cui don Brochero ha vissuto il suo sacerdozio.

Autore: Gianpiero Pettiti

 


 

La famiglia e la vocazione
José Gabriel del Rosario Brochero nacque nei pressi di Santa Rosa de Río Primero (vicino Córdoba, in Argentina) probabilmente il 16 marzo 1840, sebbene sembra che sia stato registrato all’anagrafe un giorno dopo, quando ricevette il Battesimo. I suoi genitori, Ignacio Brochero e Petrona Dávila, avevano già accolto altri tre figli e in totale ne ebbero dieci; due femmine, tra l’altro, entrarono tra le Figlie di Maria Santissima dell’Orto, fondate da sant’Antonio Maria Gianelli.
Un suo amico, il politico Ramón José Cárcano, scrisse di averlo spesso udito raccontare che la sua preoccupazione costante era il sacerdozio, anche se a lungo fu incerto se intraprenderlo o meno. Un giorno, angosciato da quel pensiero, partecipò a una predica dove si prospettava ciò che la vocazione sacerdotale e quella laicale esigevano. Appena finì di ascoltarlo, il dubbio non lo tormentava più: aveva deciso, senza ripensamenti, di diventare prete.

La formazione e il primo incarico
Così, José Gabriel entrò nel Collegio Seminario «Nuestra Señora de Loreto» il 5 marzo de 1856, a sedici anni. Il 16 luglio 1862 ricevette la tonsura e i quattro Ordini Minori. Venne ordinato suddiacono il 26 maggio 1866 e diacono il 21 de settembre dello stesso anno. Poco prima, il 26 agosto 1866, aveva aderito al Terz’Ordine Domenicano. Infine, il 4 novembre 1866, fu ordinato sacerdote dal vescovo José Vicente Ramírez de Arellano.
Destinato come collaboratore pastorale presso la Cattedrale di Córdoba, si prodigò durante l’epidemia di colera che colpì la città nel 1867 e mieté più di quattromila vite. In qualità di Prefetto agli Studi del Seminario Maggiore, ottenne il titolo di Maestro in filosofia presso l’Università di Córdoba il 12 novembre 1869.

Parroco di San Alberto
Il 18 novembre 1869, padre José Gabriel venne incaricato della cura d’anime della parrocchia di San Alberto. Il 24 dicembre partì da Córdoba e, dopo tre giorni di viaggio a dorso di mulo, arrivò a destinazione. Si trattava di una parrocchia di poco più di diecimila anime, sparse su quattromilatrecentotrentasei chilometri quadrati, popolata da gauchos, contadini e briganti, dove le comunicazioni erano quasi impossibilitate dalla mancanza di strade e dalla presenza delle Sierras Grandes.

Vicino alla sua gente
L’anno successivo al suo arrivo, prese ad accompagnare uomini e donne a Córdoba per far compiere loro gli Esercizi Spirituali. Le carovane, che superavano a volte le cinquanta persone, erano spesso sorprese da tormente di neve. Dopo quei giorni di ritiro, molti decidevano di cambiar vita.
Per non affaticarli ulteriormente, padre José Gabriel pensò di fondare una casa per gli Esercizi più vicina, a Villa del Tránsito (dal 1916, in suo onore, si chiama Villa Cura Brochero), la cui costruzione, supportata dai fedeli, durò dal 1875 al 1877. Ad essa fece seguito, nel 1880, una scuola per le bambine.
Si diede da fare anche nelle sedi politiche e civili: fece costruire strade ed esortò le autorità ad aprire uffici postali e scuole. Tutto per i suoi amati parrocchiani, «abbandonati da tutti, ma non da Dio», come era solito ripetere.
Prima di queste costruzioni, però, faceva venire la predicazione del Vangelo. Portava con sè il necessario per la Messa, accompagnato dalla sua fedele cavalcatura. Nemmeno il freddo o la pioggia lo facevano desistere dal portare i sacramenti agli ammalati: «Altrimenti il diavolo mi ruba un’anima», spiegava. Alla sua gente rendeva chiara la fede anche con curiosi paragoni: a suo dire, Dio era come i pidocchi perché si attaccava ai poveri e non ai ricchi.

Parroco a Villa del Tránsito
La sua salute, diventata malferma, lo obbligò, dopo trent’anni, a rinunciare al suo incarico. Il 24 aprile 1898 accettò, esclusivamente per motivi di salute, il canonicato della cattedrale di Córdoba, offertogli dal vescovo, e lasciò quindi la parrocchia il 30 maggio. Ma il 25 agosto 1902 venne nuovamente nominato parroco a Villa del Tránsito, compiendo di nuovo la presa di possesso il 3 ottobre, previa rinuncia del canonicato.

La malattia e la morte
Riprese le sue visite ai parrocchiani, al punto da rischiare la vita: dopo aver condiviso del “mate”, la tipica bevanda argentina, con alcuni lebbrosi, contrasse il loro morbo. Diventato sordo e praticamente cieco, il 5 febbraio 1908 rinunciò formalmente alla parrocchia; il 30 marzo tornò a Córdoba e andò a vivere, con le sue sorelle, a Santa Rosa de Río Primero, la sua città natale.
Non vi restò per molto: sollecitato dai suoi vecchi parrocchiani, tornò a Villa del Tránsito nel 1912, preoccupandosi dell’opera che aveva sospeso, ossia l’installazione di una linea ferroviaria. Infine, il 26 gennaio 1914, rese l’anima a Dio. Le sue ultime parole, pronunciate in dialetto, furono: «Ora ho gli attrezzi pronti per il viaggio» («Ahora tengo ya los aparejos listos pa’l viaje»).

Il processo di beatificazione
La fama di santità di padre Brochero, perdurata a distanza di anni, portò alla richiesta di aprire il processo di beatificazione. Ottenuto il nulla osta da parte della Santa Sede il 17 marzo 1967, il processo ebbe una fase informativa nell’arcidiocesi di Córdoba (dal 6 novembre 1968) e una rogazionale nella diocesi di Cruz del Eje, territorio dove il Servo di Dio era deceduto (dal 6 gennaio 1970 all’8 dicembre 1972). La solenne conclusione di entrambe si svolse il 5 giugno 1974, mentre il decreto sugli scritti giunse il 3 marzo 1979, dopo aver superato i dubbi di alcuni dei censori teologi: ritenevano, infatti, che il suo stile fosse troppo basso e addirittura sgrammaticato. L’opinione finale fu che tale modalità di scrittura non fosse altro che un ulteriore tentativo di presentare il Vangelo con un linguaggio realmente accessibile.
Il 19 aprile 2004 papa Giovanni Paolo II firmò il decreto con cui veniva riconosciuta l’eroicità delle sue virtù. Quando gli fu raccontato chi era, il Pontefice, stando ai vescovi di Cruz del Eje e Santa Fé, commentò: «Allora padre Brochero sarebbe il Curato d’Ars dell’Argentina».

Il miracolo e la beatificazione
Nel febbraio 2009 venne avviata a Córdoba un’inchiesta circa un presunto miracolo, avvenuto a un bambino, Nicolas Flores, finito in punto di morte per un incidente stradale subito il 28 settembre 2000; venne dichiarata valida il 7 maggio 2010.
Ottenuto il parere favorevole della commissione medica (7 maggio 2010) e di quella teologica (10 maggio 2011), seguita da una riunione dei periti teologici (7 luglio 2011), mancava solo l’ultimo atto. Il 20 dicembre 2012, infine, papa Benedetto XVI ha firmato la dichiarazione con cui il miracolo era ufficialmente riconosciuto, aprendo pertanto la via alla beatificazione. La cerimonia, presieduta dal delegato pontificio, il cardinal Angelo Amato, si è svolta a Villa Cura Brochero il 13 settembre 2013. La memoria liturgica è stata fissata al 16 marzo. I suoi resti mortali sono invece venerati nel santuario della Madonna del Transito, a Villa Cura Brochero.

Il secondo miracolo e la canonizzazione
Come secondo miracolo da esaminare per la canonizzazione è stato preso in considerazione il caso di Camila Brusotti, una bambina originaria della città di San Juan, all’epoca di nove anni. La sera del 30 ottobre 2013 fu portata in ospedale in braccio alla madre, Alejandra Ríos, che affermò che era caduta da cavallo. In realtà riportava lesioni multiple dovute a percosse, delle quali fu accusato inizialmente il suo patrigno Pedro Oris, ma in seguito fu incarcerata e processata anche la mamma. Dopo 45 giorni di coma, durante i quali i nonni materni chiesero l’intercessione del Beato don Brochero, la piccola si riprese.
Il 10 settembre 2015 la Consulta medica della Congregazione delle Cause dei Santi ha dato il proprio parere favorevole, seguito il 3 novembre dello stesso anno da quello della commissione teologica. Ottenuto anche quello dei cardinali e vescovi membri della Congregazione, il 21 gennaio 2016 papa Francesco, ricevendo in udienza il cardinal Angelo Amato, ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui la guarigione di Camila è stata dichiarata miracolosa.
Nel Concistoro del 15 marzo 2016 ha annunciato che la canonizzazione del Beato José Gabriel del Rosario Brochero è stata fissata a domenica 16 ottobre 2016, insieme a quella di altri sei Beati.


Autore:
Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2016-10-29

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