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Servo di Dio Bruno Bruni Sacerdote gesuita, martire
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Civitella del Tronto, Teramo, 7 novembre 1590 - Tembién, Etiopia, 12 aprile 1640
Nato nel 1590 a Civitella del Tronto, cittadina abruzzese dell'odierna provincia di Teramo, da Brunamonte Bruni e Tisbia Trambocca, entrambi di Colonnella. Entrato nel 1605 nel Collegio Romano per interessamento dello zio paterno, membro della Compagnia di Gesù, nel 1608 Bruni divenne novizio gesuita e manifestò il desiderio di divenire missionario. Terminati gli studi, fu incaricato di insegnare retorica e umane lettere a Firenze. Dopo qualche anno, tornato a Roma, fu ordinato sacerdote. Nel 1623 fu scelto, insieme ad altri confratelli gesuiti, per accompagnare in Etiopia, ove il cattolicesimo, grazie anche al favore del negus Susenyos (1572-1632), si stava diffondendo, il gesuita portoghese Alfonso Mendez (1579-1659), nuovo patriarca di quelle terre. Il lungo viaggio di Bruni, attraverso il Mozambico, si concluse nel 1625 quando il religioso raggiunse il Tigrè, ove rimase per circa tre anni. Il deciso appoggio dell'imperatore al proselitismo cattolico provocava comunque, in alcune zone dell'impero, l'avversione dei fedeli e del clero copto. Nel 1628 trasferitosi nel Goggiam, oltre a continuare la sua opera missionaria di catechesi e conversione, Bruni ricostruì, partecipando personalmente con il proprio lavoro, un'antica chiesa del XV secolo dedicandola alla Madonna. L'opposizione alla diffusione del cattolicesimo, divenuta sempre più forte, si estese infine anche agli ambienti di corte: Susenyos fu costretto a revocare i permessi concessi alla missione e poi ad abdicare. Il successore, il figlio Fāsiladas, espulse i gesuiti e iniziò le persecuzioni contro i cattolici convertiti. Bruni, a differenza del patriarca Mendez e di alcuni missionari, decise di restare trasferendosi nuovamente, con altri due compagni, nel Tigrè, fidando nella protezione prima di un capo locale Giovanni Akai e poi, costretto a rifugiarsi in alcune grotte, di Tecla Manuel. Traditi dal nuovo protettore e catturati da una banda che gli dava la caccia, gran parte dei missionari furono uccisi. Bruni, ferito e creduto morto, riuscì a salvarsi con l'aiuto di alcuni cattolici del luogo. Trasferitosi nuovamente in un'altra zona del Tigrè, Bruni si mise sotto la protezione del governatore Za-Mariàm, un convertito genero del vecchio imperatore Susenyos, che, nonostante le pressioni, resisteva alle ingiunzioni di consegnare i missionari. La morte di Za-Mariam fece precipitare gli eventi: Bruni e il suo compagno superstite, il gesuita portoghese padre Luis Cardeira, si rifugiarono nell'Amba Salam ove resistettero per diciotto mesi. Una falsa promessa di poter lasciare indenni il paese li convinse ad abbandonare il rifugio: catturati, furono impiccati il 12 aprile 1640 a Tembièn. Nel 1902 è stata introdotta la causa di beatificazione per Bruni e gli altri confratelli uccisi in Etiopia.
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Nacque il 7 novembre 1590, molto probabilmente a Civitella del Tronto, dal dottore in legge Brunamonte - che fu podestà di Macerata, di San Severino, di Cingoli e di Matelica - e da Tisbia Trambocca. Nell'ottobre 1605, per iniziativa dello zio paterno, Giovanni, autorevole membro della Compagnia di Gesù, venne accolto nel Collegio Romano. Il 14 agosto 1608 entrò nel noviziato di S. Andrea del Quirinale a Roma, mutando il nome di Brunotto, ricevuto al battesimo, in quello di Bruno; all'appartenenza alla provincia romana della Compagnia fu dovuta probabilmente l'indicazione, comune nelle fonti, della sua nascita a Roma. Ancora novizio espresse al padre Ottavio Novarola il desiderio di recarsi in terra di missione e indirizzò lettere, in tal senso allo stesso generale della Compagnia. Compiuto il periodo di noviziato e completati gli studi di retorica e di filosofia nel Collegio Romano, fu inviato a Firenze a insegnare grammatica e "umane lettere"; dopo tre o quattro anni tornò a Roma, concluse gli studi teologici e fu ordinato sacerdote. Nel 1623 fu prescelto quale componente del gruppo di gesuiti destinati ad accompagnare Alfonso Mendez, nuovo patriarca, in Etiopia, ove la diffusione del cattolicesimo, favorita dallo stesso imperatore Susenyos, regnante dal 1606, segnava notevoli progressi, suscitando però in molte zone del paese la fiera resistenza del clero copto e della popolazione. Dopo un difficoltoso viaggio, con una sosta nel Mozambico, il Bruni giunse a Goa verso la fine del 1624 e da qui passò in Etiopia, con il Mendez e altri missionari, nel giugno del 1625. Per circa tre anni il Bruni restò nella residenza di Fremona, nella regione del Tigrè, dedicandosi attivamente alla predicazione e all'apostolato, mentre nell'intero paese il cattolicesimo sembrava trionfare con l'adesione ufficiale del sovrano e della famiglia reale (12 febbraio 1626); ma l'intransigenza del Mendez, deciso a imporre, anche con la forza, la riforma delle tradizioni, dei riti e del calendario religioso locale, suscitò un sempre più acceso ed esteso spirito di ribellione che in molte regioni diede luogo a uno stato di guerra aperta contro l'autorità imperiale. Nel 1628 il Bruni ebbe l'incarico di fondare una nuova residenza a Nebessié, nella regione del Goggiàm, ove era forte l'opposizione copta e incombeva la minaccia delle incursioni delle tribù Galla. Il Bruni, al quale soltanto dopo alcuni anni fu dato un compagno per aiuto, operò con appassionata energia e con abnegazione, espletando anche funzioni di giudice per incarico dell'imperatore. Nei tre monasteri, uno dei quali con quasi quattrocento monaci, presenti nella zona affidata alla sua cura pastorale, ristabilì una severa disciplina claustrale, imponendo l'osservanza dei voti di castità e di povertà. Con l'aiuto del sovrano riedificò, essendone insieme l'architetto e il muratore, una antica chiesa, costruita nel secolo XV dalla imperatrice Elena, e la dedicò alla Madonna. Con particolare impegno si dedicò all'istruzione catechistica dei fanciulli e ottenne numerose conversioni, anche fra i notabili della regione. Tuttavia alcune forti resistenze permanevano irriducibili ed il Bruni fu anche oggetto di un attentato, come egli stesso riferisce nella lettera ai superiori del 30 giugno 1629 (Beccari, XIII, pp. 353-358). L'opposizione alla politica dell'imperatore Susenyos, favorevole al cattolicesimo, si andava accentuando sempre più in varie regioni del paese e trovò sostegno nella stessa corte presso l'imperatrice ed il figlio Fāsiladas; questi nel 1632, sostenuto da un vasto movimento di reazione anticattolica, costrinse il padre a revocare i provvedimenti a favore della Chiesa di Roma e ad abdicare. Salito al trono, Fāsiladas ristabilì il rito copto e diede inizio ad una persecuzione dei cattolici della quale furono prime vittime i gesuiti, posti al bando dell'impero: il Mendez con la maggior parte dei missionari dovette lasciare il territorio nel 1633. All'inizio della persecuzione il Bruni fu tra i missionari che non vollero abbandonare il paese; con i padri portoghesi Pereira e Cardeira si rifugiò nel Tigrè, sotto la protezione del capo locale Giovanni Akai, riuscendo ad esercitare il proprio ministero nella zona di Fremona. All'aggravarsi della reazione anticattolica, si nascose con altri confratelli nelle grotte della regione, insieme con piccoli gruppi di cattolici. Impedito nell'apostolato il Bruni compose, secondo la tradizione, scritti di argomento religioso e canzoni sacre.
Sul finire d'aprile del 1635, per il tradimento del nuovo protettore, Tecla Manuel, al quale si erano affidati, i missionari furono indotti a lasciare il nascondiglio e a dirigersi altrove, ma vennero scoperti da una squadra che da tempo dava ad essi la caccia: il p. Paez e due altri Portoghesi furono uccisi, il B., gravemente ferito, e il p. Pereira, considerati morti e perciò abbandonati, furono ricoverati in una spelonca e assistiti segretamente dai cattolici. Mentre il compagno morì pochi giorni dopo, il B. si riprese lentamente.
Dopo alcuni mesi si trasferì con il p. Cardeira in un'altra località del Tìgrè, sotto la protezione del potente Za-Mariàm, governatore del Tembièn e genero di Susenyos, rimasto fedele al cattolicesimo. Mentre nel resto del paese proseguiva aspramente la persecuzione dei cattolici, i quali speravano in un aiuto militare proveniente dall'India portoghese e con ciò suscitavano i sospetti e i timori degli Etiopici, il B. e il compagno restavano relativamente tranquilli, protetti da Za-Mariàm, il quale si opponeva recisamente alle ingiunzioni dell'imperatore di consegnare i due gesuiti.
La sorte del B. e del Cardeira era legata ormai a quella di Za-Mariàm attaccato dalle truppe dell'imperatore che riuscirono a stringerlo d'assedio. Pur dopo la morte di Za-Mariàm un piccolo gruppo di cattolici, con alla testa il B. e il padre portoghese, si rifugiò nell'Amba Salam ed ivi resisté per diciotto mesi tra difficoltà sempre crescenti. Ad una ingannevole offerta di pace dell'imperatore, che assicurava loro la possibilità di abbandonare il paese, i due gesuiti lasciarono il loro riparo, ma vennero fatti prigionieri ed impiccati, dopo che si furono vicendevolmente confessati, a Tembièn il 12 apr. 1640. La causa di beatificazione, introdotta nel 1902 anche a favore degli altri gesuiti uccisi in Etiopia in quel periodo, è tuttora pendente.
Autore: Salvatore Bono
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