Da qualche giorno Lucia chiedeva un colloquio a suo padre e finalmente De Gasperi l’accontentò. Un sabato mattina del marzo 1947: le gemme turgide dei platani del Gianicolo annunciavano la primavera. Lucìola, come vezzeggiativamente veniva chiamata in famiglia, non la prese alla larga e disse con chiarezza a suo papà che, dopo lunga meditazione, aveva deciso di consacrarsi al Signore entrando in convento. Turbato, egli le domandò – parafrasando Montalembert – chi mai fosse quel «ladro divino» che ruba le figlie ai padri, ma subito si mostrò dolcissimo ed ebbe parole piene di comprensione. Gli ultimi mesi prima del distacco furono difficili: molti addii, tante spiegazioni, un impegnativo esercizio di umiltà e di pazienza per chi invece, al colmo della gioia e dell’energia, vorrebbe solo volare libero verso i sentieri della volontà di Dio. Talvolta, di fronte alle piccole tenerezze di Lucia che gli porgeva il caffè o gli recava i giornali, De Gasperi le chiedeva di non farlo più, di iniziare a disabituarlo alle sue cure. Ma in realtà ne aveva profondamente compresa la decisione. Le scrisse: «So bene che tu hai scelto il meglio, che il Signore ha maggior diritti su di te per una paternità più alta e priore, so che saremo uniti nello spirito e vivremo ancora nel Suo comune servizio; ma perderò la tua familiarità, la tua vicinanza, il tuo soccorso. A questo pensiero do talvolta un’impressione di impazienza. Lascia andare, non badarci: è l’egoismo che rigurgita. Poi viene il sereno della comprensione, della fiducia in Dio e anche della gratitudine verso di Lui, che ti ha eletto nonostante l’indegnità mia». Il 27 novembre 1947 Lucia si laureò a pieni voti in Lettere antiche, discutendo una tesi su La concezione morale di Esiodo. Il pomeriggio del 7 dicembre successivo, vigilia dell’Immacolata, fece il suo ingresso tra le suore dell’Assunzione. Prima di lasciare l’abitazione romana di via Bonifacio VIII, che per tanti anni era stata la sua casa, entrò nello studio del padre per congedarsi da lui e chiederne la benedizione. «Oh no – le disse – non debbono portarti via! Verrò io stesso ad accompagnarti nella casa del Signore». Il portone di un Istituto religioso di viale Romania si chiudeva alle spalle della secondogenita, ma il legame affettivo e spirituale tra padre e figlia non si spezzerà, anzi, modulato in forme nuove, si intonerà a una comunione di pensieri e di intenti profonda e calorosa. Si realizzava quanto don Luigi Moresco, suo direttore spirituale, aveva detto a Lucia quindicenne che gli chiedeva di passare al vaglio la vocazione che sentiva di aver ricevuto: «Conserva questa scintilla nel cuore, che poi diventerà fiamma e sarà la benedizione della tua famiglia». La vita religiosa di suor Lucia non sarà lunga, ma di certo fu luminosa. Fu insegnante amatissima dalle sue scolare, sulla cui formazione incise in profondità, ma soprattutto fu una suora felice, convinta della sua scelta, assidua alla preghiera e allo studio mai abbandonato, dalla vita spirituale coltivata e custodita con cura. Dalla lettura dei suoi scritti, il dato costante che emerge è una grande libertà interiore: anche a fronte di una certa facilità di contatto e della capacità di stringere relazioni autentiche, ella sapeva riservare un margine di distacco perché tutto fosse schietto e limpido, perché il tratto dell’umanità, anche nelle sue forme più nobili ed elevate, non snervasse la sua missione di consacrata: indicare Dio e sparire. Scrive: «Dio vuole per me una grande solitudine. Io gli chiedo di coltivare in me un grande amore per gli altri, ma un amore puro, che non richieda nulla, né un appoggio, né una consolazione, né uno sguardo». In un appunto del 7 giugno 1953 annota: «Quando si hanno in qualche modo delle pecorelle da fare pascere, siano pure delle alunne del liceo, c’è sempre il pericolo di dimenticare che sono del Cristo». Il suo desiderio giovanile, cantato in una poesia in cui esprimeva l’anelito a «tendere all’alto come fiore alpino, e bere luce e illuminare il mondo», si compiva in maniera libera e fruttuosa nella strada che il Signore le aveva indicato e che ella decisamente percorreva. Dal silenzio del chiostro, non dimenticò mai la sua famiglia di origine. Ogni compleanno, onomastico, anniversario, ogni occasione di vita domestica erano impreziositi da un verso, da un biglietto, da un fiore. Non lasciava mai cadere il ricordo di nessuno. Specialmente non si interruppe mai il dialogo con il padre, il quale di carattere era animato da un inestinguibile bisogno di calore per alimentare la sua fede testarda nell’umanità. Sapendolo assorbito in un’attività politica svolta a ritmi serrati e confidando che la sua preghiera potesse guidarne l’opera secondo giustizia e rettitudine, suor Lucia prese a inviargli biglietti contenenti riflessioni di natura spirituale per sostenerlo nella sua vita di fede, animata in questo da una convinzione condivisa, che cioè entrambi, in modo sensibilmente diverso ma contiguo, offrissero la loro opera a Dio svolgendo una comune missione a vantaggio degli uomini; e a chi stava in convento spettava di pregare per chi invece lavorava nel mondo: «Che il mio silenzio dia a te la parola efficace che porta frutto». I «foglietti per papà» sono stati raccolti e pubblicati: li sostanzia la dottrina robusta di una suora che poneva la sua formazione spirituale e culturale tra le priorità, vibra l’afflato della contemplativa, tutto è innervato dall’affetto tenero della figlia. De Gasperi leggeva con avidità quelle note «odorose del timo dei chiostri», «inghirlandate delle viole del pensiero», considerandole un sostegno prezioso alla sua spiritualità, e rispondeva brevemente, secondo quanto il tempo gli consentiva. Suor Lucia gli scriveva le sue riflessioni sul Vangelo del giorno, gli inviava le sintesi di corsi di esercizî spirituali a cui prendeva parte, gli consigliava libri compilando per lui florilegi di citazioni spesso in latino o in francese, trascriveva meditazioni personali. Nessuno, come chi è impegnato nella vita attiva, ha bisogno di una sacca a cui attingere per scongiurare il rischio dell’arido efficientismo. Il 19 agosto 1954, nella casa di Sella di Valsugana, De Gasperi chiudeva la sua operosa giornata terrena. Per apprezzarne la statura non solo di uomo e di politico, ma soprattutto di padre, basti leggere un estratto della lettera che suor Lucia gli indirizzò il giorno del suo ingresso in convento: «Un grazie grande grande per la tua paternità così calda e forte, che fin da piccole ci ha dato il senso della sicurezza e dell’appoggio, a cui ci siamo abbandonate senza altri timori. Grazie per l’ambiente che ci hai creato intorno, un ambiente di saldi principî, di larghe vedute, di obbiettività di giudizî. […] Non sono tanto le cognizioni acquisite a scuola che mi hanno educato l’intelligenza, quanto il tuo continuo parlare di cose belle e intelligenti. Grazie perciò di non aver taciuto: grazie di avermi raccontato sempre, anche quando ritornavi a casa stanco, di averci spezzato il pane della tua cultura così universale e così poco pedante. […] Ora basta, ché le parole non dicono nulla di fronte alla tenerezza ch’io sento in cuore: una tenerezza che non stringe il cuore, ma lo allarga fino ad abbracciare le anime più lontane, ché d’ora innanzi la mia famiglia resterete sempre voi, ma anche tutta la Chiesa, tutto il mondo. E in questo ci incontriamo, vero? Tu nella tua diuturna fatica, io nella costante preghiera e nel lavoro modesto di ogni giorno, penseremo sempre a tutti, in una visione universale e larga di tutte le cose. Arrivederci, papà: sarai sempre il mio papà! Vorrei darti la consolazione di diventare il papà di una Lucia vicina vicina, sempre più, al nostro caro e buon Signore». Suor Lucia raggiungerà suo padre in Paradiso il 5 dicembre 1966, a soli quarantun’anni, lasciando la madre e le sorelle in un dolore immenso per la prematura dipartita. Riposa nel cimitero del Verano. Torna alla mente quanto scrisse Sergio Paronetto, figura tanto importante per la storia del cattolicesimo italiano, anche lui morto in giovane età all’aurora della sua vita di intellettuale e di sposo. Sentendo avvicinare la sua fine e avvertendo lo scarto tra ciò che avrebbe ancora voluto fare e il tempo che s’accorciava, annotò sul diario: «Se Tu, o Signore, mi chiami, vuol dire che quello che a me pare incompiuto è già conchiuso; quello che a me sembra un dovere era uno scrupolo; quello che credo appena avviato è già in porto». Parole altissime, che possono applicarsi anche a suor Lucia. Quando muoiono, un sacerdote, una religiosa non lasciano segni su questa terra, non lasciano figli. Con la loro veste, con la loro operosità spesso misconosciuta tutto scompare. Ma rimane la storia segreta scritta in tante anime, non si estinguono le note talvolta appena sussurrate di un cantico che distende la sua eco sui sentieri dell’eternità.
Autore: Luciano Cardinali
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