L’infanzia Rodolfo Giuseppe Luigi Ridolfi (o Redolfi, o Rodolfi, giacché varie, compaiono le attestazioni del cognome) nasce alle ore 3 del pomeriggio del 4 gennaio 1899 a Castiglione delle Stiviere da Luigi Carlo Ridolfi (ortolano) e Teresa Filomena Castellini Fezzardi (casalinga). I due fratelli e la sorella, nati prima e dopo di lui, lasciano la vita terrena in giovanissima età, ma Rodolfo non era propriamente figlio unico, poiché cresciuto con a fianco i due cugini Emma e Francesco, figli della sorella della madre, scomparsa prematuramente. Dalle fonti archivistiche sappiamo che il 6 gennaio, due giorni dopo la nascita, viene celebrato il suo Battesimo da don Giovanni Piccanti; partecipa come madrina e testimone tal Martina Bernacchio Angela fu Giacomo sempre di Castiglione delle Stiviere. A sei anni nel marzo 1905, Rodolfo riceve il sacramento della Cresima dal vescovo monsignor Paolo Francesco Carlo Origo e presenzia l’arciprete di Castiglione delle Stiviere monsignor Vincenzo Scalori. Dal 1905 al 1909 il giovane Rodolfo svolge regolarmente il percorso di studi elementari, ma dal 1911, iscritto al II anno di ginnasio, si ammala e il periodo di convalescenza durerà ben quattro anni. Il 31 luglio 1911 la famiglia si trasferisce a Carpenedolo probabilmente a causa dei problemi di salute del figlio. Alcune testimonianze orali pervenuteci raccontano che ammalatosi di tumore al polmone, aveva promesso, in caso di guarigione, di legarsi al Signore per sempre. In seguito, subita l’asportazione dell’organo e raggiunta la guarigione, la attribuisce fin da subito all’intercessione di Santa Rita, serbandole così da allora e per tutta la vita una fervente devozione. Le figlie del cugino di Rodolfo, diversamente, ricordano che in giovinezza, aveva avuto un problema legato a un ginocchio; in ogni caso, molto probabilmente, la sua decisione di farsi prete era legata ad una o più guarigioni. Gli anni in Seminario e l’Ordinazione Dopo la guarigione, decide di entrare nell’allora Seminario bresciano di San Cristo (la cui ubicazione corrispondeva all’attuale via Piamarta 9) nel settembre del 1916, all’età di 17 anni e, ancora una volta, nella «Carta di presentazione al Seminario», viene ribadito che: «Segno speciale di vocazione può considerarsi l’aver egli superato molte difficoltà oppostegli dalle circostanze». Anche nell’articolo della «Gazzetta di Mantova» relativo ai suoi funerali, viene riportato che Rodolfo avesse preso la decisione di diventare sacerdote a seguito di una particolare circostanza accaduta durante la Prima Guerra Mondiale. Questa informazione potrebbe essere legata ancora una volta, a una eventuale santa guarigione. Studierà a Brescia dal 1916 al 1924 (fino al II anno di teologia), mentre per gli ultimi due anni di teologia si recherà a Mantova. Dal 10 dicembre del 1917 fino al luglio del 1918, il seminarista partecipa alla Grande Guerra come volontario, reclutato nel 62° Battaglione di Milizia Territoriale (Divisione di Fanteria) con mansioni di Scritturale Telefonista fino al congedo. Una sua autocertificazione lo attesta poi impegnato dal primo agosto del 1918 fino al Maggio 1919 nella Canonica di Persone in Val Vestino (Brescia), allora curazia della Parrocchia di San Rocco di Turano, in qualità di collaboratore del parroco Giovanni Ragni. Dal maggio al luglio 1919 lo vediamo ancora volontario a Brescia nel 77° Reggimento Fanteria dei Lupi di Toscana. L'8 dicembre 1922 ottiene la prima Sacra Tonsura da monsignor Giacinto Gaggia, vescovo di Brescia. Un documento del 6 novembre 1924 attesta l’escardinazione perpetua da Brescia di Rodolfo e l’incardinazione a Mantova. Lì, già all’inizio del novembre 1924, fa richiesta di ammissione agli ordini minori; il 15 dello stesso mese viene promosso prima all’Ostiariato e al Lettorato nel 1924 e il 16 riceve i simplici paratos. Il 19 dicembre riceve l’Esorcistato e l’Accolitato. Un anno più tardi, il 22 novembre, viene consacrato all’ordine maggiore del Suddiaconato e quindi il 6 dicembre riceve nella Chiesa del Palazzo Vescovile il Diaconato, primo grado dell’Ordine Sacro. Il 19 dicembre 1925, presso il Palazzo Vescovile, don Rodolfo Ridolfi vede coronata, con discreto ritardo rispetto alla regola, avendo quasi 27 anni, la sua costanza nella chiamata al sacerdozio: per l’imposizione delle mani del vescovo di Mantova Paolo Carlo Francesco Origo, è consacrato presbitero. Dall’ordinazione sacerdotale ebbe i seguenti offici: dal 14 febbraio 1926 al 22 dicembre 1929 è nominato Cappellano nel Collegio ‘Nobili Vergini di Gesù’ di Castiglione delle Stiviere e dal 1926 è nominato vicario cooperatore nella nativa Castiglione delle Stiviere e a Malavicina oltreché cominciare a mettere a disposizione il suo incarico pastorale a favore della Parrocchia di Pellaloco probabilmente come aiutante del parroco predecessore, don Giuseppe Viviani.
Una vita a Pellaloco Il 28 ottobre 1930 il vescovo di Mantova, Domenico Agostino Menna, decide di eleggerlo Parroco della stessa chiesa di Pellaloco, che il sacerdote già saltuariamente serviva dal 1926. Pellaloco, oggi circa duecento abitanti, è una frazione del Comune di Roverbella, provincia di Mantova. Il paesaggio era e resta eminentemente agricolo e la stragrande maggioranza degli abitanti erano contadini. Don Rodolfo amava la vita, godeva delle quotidiane relazioni con le persone, gustava il cibo. Organizzava feste e momenti di ritrovo, per avvicinare le persone tra loro e alla chiesa. Tutti lo ricordano come un uomo buono, paziente e sorridente, anche burlone e scherzoso, eppure allo stesso tempo volitivo, austero e moralmente severo. Era un prete ‘carismatico’. Poteva sembrare un sacerdote come tanti: certamente pio, onesto e attivo nel ministero, equilibrato nei rapporti umani, ma non diverso da molti altri preti delle campagne mantovane. Ospitava i malati e li rifocillava, benediceva gli indumenti di persone ammalate a chi glieli portava e impartiva volentieri altre benedizioni secondo le necessità dei fedeli. C’era però un tratto speciale, eccezionale, che lo distingueva. La gente percepiva infatti nella sua persona di prete una forte peculiarità spirituale che la teologia cristiana definirebbe senz’altro ‘carismatica’ e tutti coloro che si rivolgevano a lui per un aiuto, tornavano a casa appagati e guariti, se prima di visitarlo erano ammalati. Tangibile prova ne è ancora la chiesa di Pellaloco, le cui pareti sono gremite di ex voto a Santa Rita per grazie che, proprio per la mediazione di don Rodolfo, sembrano essere state ricevute. Per questo motivo la sua fama contagiava i dintorni e i gruppi di persone che si recavano a Pellaloco divenivano sempre più numerosi, tanto che la sua chiesuola andava trasformandosi in una specie di santuario, meta di veri e propri pellegrinaggi. Il suo carisma di guarigione e di penetrazione spirituale non era disgiunto da quello massimo della carità: durante tutto il tempo del suo ministero presbiterale a Pellaloco, egli si prodigò anche per il bene materiale dei parrocchiani e del paese intero. Fu infatti sua tenace e costante intenzione quella di farlo progredire culturalmente, innanzitutto per mezzo di infrastrutture e trasporti che lo collegassero ai centri abitati più importanti. Ma non solo: voleva che anche lo stesso paesino sperduto si dotasse di servizi che permettessero ai cittadini di avere tutto il necessario a portata di mano, senza ricorrere ad altri paesi per comprare cibo, trovare lavoro, attingere cultura. Nel 1952 prese avvio la realizzazione di un asilo da lui voluto che, come molti di altri suoi futuri progetti, fu finanziato dalla famiglia Falck, la famosa famiglia di imprenditori siderurgici di Sesto San Giovanni. Nel 1954 prese vita il più popolare e ardimentoso progetto per lo sviluppo economico sociale del paese di Pellaloco: fu ideata da don Ridolfi una moderna fabbrica di confezioni maschili, la SLAM, inaugurata ufficialmente nel 1962 dopo la morte di don Rodolfo. Questa ospitava fino a 120 operaie di Pellaloco e dintorni, consentendo loro di lavorare e portare un aiuto economico in famiglia senza allontanarsene e riscattandole in parte dal duro lavoro dipendente nei campi, che le esponeva spesso all’arbitrio dei possidenti. Don Rodolfo avrebbe voluto anche dare alle famiglie della Parrocchia una casa accogliente, erigendo un vero e proprio villaggio, ma a causa della sua improvvisa morte, il 18 settembre 1961 a causa di un tumore allo stomaco, il progetto svanì. Don Rodolfo sia per le sue nozioni di medicina, sia per il dialogo continuo con Dio, la preghiera ai santi, in particolare a Santa Rita, riusciva con tangibile efficacia ad aiutare i bisognosi. Perlopiù si era convinti che le guarigioni giungessero grazie all’intercessione della sua preghiera o della venerata Santa Rita: medicine ancora più potenti, medicine ‘celesti’, che subito placavano le sofferenze. Il nostro sacerdote dimostrava un amore intenso a Gesù e coltivava fin dalla giovane età una particolare devozione per Santa Rita da Cascia, la ‘santa degli impossibili’, che egli faceva invocare a tutti coloro che a lui si rivolgevano. Testimonianze riportano che indossava sotto la veste il cilicio, che gli permetteva di affidare in ogni momento la sua sofferenza a Cristo e alla Santa a lui così cara. Tutte le volte che parrocchiani o forestieri si rivolgevano a lui, don Rodolfo li indirizzava alla sua intercessione; e, se anche erano convinti di aver ricevuto la grazia per mezzo di lui, rispondeva di fare un’offerta in ringraziamento a Santa Rita come sua stretta collaboratrice. La Parrocchia di San Rocco e Sant’Eurosia diventò in breve un vero e proprio santuario soprattutto grazie alla pratica della benedizione e distribuzione delle rose nella festa di Santa Rita, ogni anno il 22 di maggio. I solenni festeggiamenti della ricorrenza, introdotti da don Rodolfo, con gli anni sono diventati sempre più partecipati e la venerazione locale per la Santa si è incrementata nel tempo. Fino a che, il 22 maggio 2022, la Chiesa è stata eretta a santuario dedicato a Santa Rita.
La connessione con Padre Pio Tra Don Rodolfo e Padre Pio intercorreva un rapporto, le cui tracce ricorrono in più modalità. In più occasioni validamente attestate, infatti, don Rodolfo figura in un’intima connessione, fino alla condizione di alter ego, con San Padre Pio da Pietrelcina: per esempio, il frate pugliese sarebbe apparso in bilocazione sostitutiva di don Rodolfo, allora gravemente malato e prossimo a morire, per dispensare consiglio e incoraggiamento a un seminarista con spirito missionario, don Luciano Giacomuzzi, recatosi a Pellaloco per incontrarne il parroco. Il giovane, trovandosi nella chiesa del Paese, in effetti credette di parlare appunto con questi; ma a tempo debito poté comprendere che proprio Padre Pio si era invece rivolto a lui. Dalle testimonianze, pare che anche don Rodolfo avesse il dono della bilocazione: un giovane di Pozzolo di Marmirolo, paese sul Mincio, vide per la strada che portava al proprio paese don Rodolfo, con le braccia aperte. Risultò però provato che il sacerdote non poteva essere in quel luogo. Simili segni straordinari sono stati attestati anche dopo la sua morte.
L’opinione di santità del sacerdote Don Rodolfo era un uomo eccezionale, un uomo straordinario. Faceva cose inspiegabili, impossibili alla gente ‘normale’. Mostrava di sapere in anticipo i peccati di chi intendeva o non intendeva confessarsi; a volte faceva tornare al posto chi, in coda per ricevere l’eucaristia, non aveva voluto confessarsi per tempo. Prevedeva, in una sorta di premonizione, gli avvenimenti; capitava perciò che uscisse di chiesa esattamente nel momento in cui sapeva, inspiegabilmente per chiunque, che qualcuno stava venendo da lui e si disponeva come ad aspettarlo. Come pochi preti, esercitava l’umile e in molti sensi rischioso ministero dell’esorcista: in molte testimonianze lo si trova impegnato nell’aiuto a persone vessate dal maligno o oggetto di malefici operati mediante contatto diretto della vittima con un oggetto portatore del male. Questi oggetti, come coltelli o piume, erano stati posti magari nei cuscini o sotto il materasso del dormiente. Don Rodolfo consigliava di bruciarli o farli bollire. Verso quelli che credevano nella misericordia di Dio, don Rodolfo era a sua volta misericordioso e, in caso di malattia o altra avversità, prometteva loro la guarigione, la liberazione dalle sofferenze fisiche o dalle calamità naturali. Le promesse, a dire dei soggetti interessati, venivano mantenute. Spesso, in campagna, i parassiti aggredivano le piantagioni, oppure i topi infestavano case e rimesse; allora don Rodolfo recitava le sue preghiere e presto tutto tornava alla normalità. In moltissimi gli richiedevano guarigioni per i propri cari e perciò portavano in sacrestia indumenti e biancheria degli ammalati, affinché egli li benedicesse col suo tocco: la guarigione sarebbe stata constatata immancabilmente al ritorno a casa. Non vantava meriti per questi fatti straordinari, tutto ciò che compiva, diceva essere merito del Cielo e di Santa Rita, che tanto faceva amare e venerare dalla gente del luogo. Nell’opinione dei fedeli il Parroco e la Santa appaiono stretti collaboratori.
Autore: Cristina Grisanti
Note:
Per ulteriori informazioni: https://donrodolforidolfi.blogspot.com/
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