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Sant' Ulrico Eremita venerato ad Haselbury

20 febbraio

Compton Martin, Bristol, Inghilterra, data ignota - Haselbury, Somersetshire, 20 febbraio 1154

Nato in un'epoca di decadenza morale e religiosa, iniziò la sua carriera ecclesiastica come un dissipato, dedito alla caccia e ai festini. Tuttavia, dopo aver incontrato un mendicante e aver conosciuto i cistercensi, si convertì a una vita di povertà, preghiera e carità. Divenne un predicatore popolare e un uomo di grande fama per la sua santità e il suo dono della profezia. Morì in una piccola cella, dove si era ritirato per dedicarsi alla preghiera e all'ascolto dei bisognosi.

Etimologia: Ulrico = ricco di beni, dal tedesco


Sappiamo quando è morto, ma non quando è nato, né da quale famiglia. Per una parte della sua vita non si sa nulla di lui; poi gradualmente lo si “ritrova” grazie alla fama di santità che lo circonda già da vivo, per esplodere dopo la morte, allorché i fedeli faranno anche a botte per contendersi le sue reliquie. E dire che è partito davvero male. Ha voluto essere prete e lo è diventato, ma di scarto. Più assiduo alla caccia che alla preghiera, ai festini nobiliari che alla cura d’anime.
E non è il solo. Nell’Inghilterra del tempo, dopo la conquista normanna e le lotte per la corona, la famosa Cronaca Anglo-Sassone (iniziata già nel IX secolo) dice che i nobili "furono spergiuri e perdettero la fedeltà al re: e tutto il Paese si ricoprì di castelli". Ogni castello una sfida al sovrano. Molto clero, poi, violava scandalosamente dovere e disciplina ecclesiastica: non si contavano i conviventi con donne; alcuni, anzi, si consideravano “autorizzati” a convivere, dopo il pagamento di una multa. Si ignorava quasi del tutto la distinzione tra la condizione del laico e quella dell’uomo di Chiesa.
Questa la situazione e questi gli esempi che ha trovato il sacerdote Ulrico. O meglio: alcuni esempi. Perché poi ne conosce altri. Dopo gli esempi ribaldi dei nobili, eccolo di fronte alla realtà vastissima e muta dei nullatenenti. Eccolo in ascolto del “sermone” che lo aiuterà a capire. Parla a lungo con un mendicante (uno dei molti). Ma soprattutto lo ascolta. Capisce, impara, si vergogna. Trova poi altri esempi in mezzo a uomini di Chiesa del tutto nuovi: quei faticatori taciturni vestiti di bianco, i cistercensi, che nelle campagne più abbandonate e improduttive fanno nascere un’agricoltura nuova; e con essa la pastorizia, che darà vita all’industria della lana. Dopodiché vanno a pregare, per ore, di giorno e di notte. E mangiano in silenzio. Ulrico scompare dalle feste. Pochi sanno dove sia finito. E pochi lo riconoscerebbero incontrandolo ad Haselbury (Somersetshire) perché indossa un saio malconcio (e sulla nuda pelle porta una maglia di ferro). Celebra la Messa, prega molto, lavora per la Chiesa del luogo, ricopia libri.
E parla. I miserabili trovano in lui la prima persona al mondo che li ascolta. E che risponde a tutti. L’uomo che delle pene altrui fa un problema suo. Ed è proprio la voce della povera gente a farlo conoscere in alto, come eccezionale propagatore di speranza. Dicono che abbia il dono della profezia. Un giorno arriva anche il re Enrico II per ascoltarlo. Ulrico deve rimanere sempre più a lungo nella sua cella, per parlare con tutti. Ormai ci vive, lì dentro. Infine ci muore. E per luogo di sepoltura avrà questo piccolo vano: la sua cella, che verrà poi trasformata in sagrestia della chiesa di Haselbury.


Autore:
Domenico Agasso


Fonte:
Famiglia Cristiana

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Aggiunto/modificato il 2001-02-01

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