Infanzia e famiglia Bartolo Longo nacque a Latiano, in provincia di Brindisi e diocesi di Oria, il 10 febbraio 1841, secondo dei cinque figli di Bartolomeo Longo e Antonia Luparelli. Fu battezzato tre giorni dopo la nascita nella chiesa di Santa Maria della Neve a Latiano, con i nomi di Bartolomeo (essendo il primo figlio maschio, ricevette lo stesso nome del padre), Vincenzo, Romualdo, Maria. Della sua infanzia si sa poco: aveva un carattere vivace, creativo e incline allo scherzo. A sei anni fu mandato dai genitori al Real Collegio Ferdinandeo di Francavilla Fontana, retto dai padri Scolopi: lì consolidò la religiosità già vissuta in famiglia e pose le basi della sua formazione culturale, diventando uno dei migliori allievi.
Gli studi come avvocato Completati gli studi nell’estate 1857, rientrò in famiglia. Nell’anno seguente studiò a Brindisi sotto la guida del canonico Giustino Minunni, poi convinse il secondo marito di sua madre, l’avvocato Giovanni Battista Campi, a instradarlo nella carriera forense. Venne quindi inviato a Lecce, ma il patrigno lo richiamò a Latiano, per evitare che si lasciasse coinvolgere dai moti indipendentisti. Per conseguire la laurea in giurisprudenza in un’università legalmente riconosciuta dal neonato Regno d’Italia, dovette però trasferirsi a Napoli: vi arrivò nella seconda metà del 1862, insieme al fratello minore Alceste, che invece voleva diventare medico. Trascorreva il tempo libero nei balli e negli incontri con gli amici, insieme a lunghe passeggiate nella campagna di Afragola. Di lì a poco, però, cadde preda di un pericolo più minaccioso di quei divertimenti tutto sommato tranquilli e leciti.
Un tempo di crisi Era l’epoca della «Vita di Gesù» scritta da Ernest Renan, che sconvolse non poco l’opinione di molti credenti e diede l’avvio a opere riparatrici e movimenti di protesta. Anche il giovane studente la lesse e vide crollare, uno dopo l’altro, i principi nei quali era stato educato a credere dalla madre, che lo portava con sé a distribuire vestiti e cibo a persone bisognose, ma anche a quelli ricevuti negli anni del collegio. Lo scrittore affermava che Gesù era solo un personaggio importante e non il Figlio di Dio; lo stesso sostenevano i professori dell’università, sia della sua facoltà sia quelli degli altri corsi che Bartolo seguiva; di conseguenza, non valeva più la pena di credere in lui.
Nelle riunioni dello spiritismo Così, come altri suoi contemporanei, Bartolo cominciò a frequentare alcune riunioni dove si raccontava che si riuscisse a colloquiare con gli spiriti dei defunti. Era animato da una certa curiosità, ma anche dalla ricerca di qualcosa che placasse la sua angoscia intima. Per cinque anni fu un partecipante di questi circoli, ma, nonostante fosse riuscito a laurearsi il 12 dicembre 1864, non riusciva a sentirsi in pace. Ne parlò quindi col professor Vincenzo Pepe, suo compaesano e amico di famiglia, che non gli risparmiò sonori rimproveri: se avesse continuato con lo spiritismo, sarebbe finito in manicomio. Gli diede anche un consiglio più pacato: per cercare di uscirne, poteva andare a parlare con il domenicano padre Alberto Radente, esperto direttore spirituale.
L’incontro con Caterina Volpicelli Circa in quel periodo, inoltre, era andato a trovare un amico, il marchese Francesco Imperiali, quando s’imbatté in una giovane donna, dal portamento nobile ma vestita in maniera dimessa, ovvero non secondo la moda del tempo. Era Caterina Volpicelli, cognata del marchese, che da tempo aveva iniziato a ospitare in casa propria riunioni ben diverse da quelle alle quali Bartolo era abituato: avevano, infatti, lo scopo di diffondere la devozione al Sacro Cuore di Gesù e di formare i laici attraverso letture e conferenze spirituali. Informata dal marchese, che era suo cognato, decise di pregare e far pregare i suoi amici per la conversione del giovane.
Il ritorno alla fede Lui, da parte sua, accettò il suggerimento del professor Pepe. A partire dal 29 maggio 1865, giorno del suo primo colloquio con padre Radente, iniziò a lasciarsi alle spalle le pratiche esoteriche e a ricevere un’istruzione che gli chiarisse tutti i punti rimasti oscuri dopo la lettura del testo di Renan. Il 23 giugno, data in cui cadeva quell’anno la festa del Sacro Cuore, Bartolo si riaccostò all’Eucaristia, dopo che il suo confessore gli aveva concesso l’assoluzione. Tornato in pace con Dio, doveva ora capire quale strada prendere. Pensò di sposarsi, ma prima un fidanzamento, poi un altro vennero annullati dall’intervento di un altro suo consigliere spirituale, padre Emanuele Ribera, redentorista: era infatti convinto che Dio avesse un piano diverso per lui. Anche padre Radente, cui chiese aiuto, era del medesimo parere. Nel frattempo, Bartolo entrò nel Terz’Ordine di San Domenico, assumendo il nome di fra Rosario, e proseguì la sua formazione nei Cenacoli di preghiera guidati da Caterina Volpicelli, che in seguito fondò le Ancelle del Sacro Cuore (fu canonizzata nel 2009).
La proposta della contessa Farnararo De Fusco e l’arrivo a Valle di Pompei Improvvisamente, e per un certo tempo, lui che era così assiduo a quegli incontri prese a non venirci. Un’amica della Volpicelli, la contessa Marianna Farnararo vedova De Fusco, s’interessò al suo caso e mandò una sua domestica a controllare: in effetti, era ammalato e non mangiava da giorni, a causa dell’assenza della proprietaria della pensione dove alloggiava. Venne quindi deciso che fosse ospitato da Caterina, mentre avrebbe mangiato a casa della contessa. Un giorno lei gli fece una proposta lavorativa: doveva occuparsi dell’amministrazione di alcuni suoi possedimenti agricoli, situati in una località detta Valle di Pompei. L’impatto fu decisamente desolante: le rovine dell’antica città romana erano ancora mezze sommerse dalla lava. Non migliore era la condizione dei contadini: i loro figli non avevano un’istruzione, non essendoci scuole, ed erano letteralmente abbandonati; in alcuni casi, avevano perfino i genitori in carcere. Quanto alla religiosità, era vissuta in maniera confusa e superstiziosa.
«Chi propaga il Rosario è salvo!». Nell’ottobre 1872 la preoccupazione di Bartolo era giunta al culmine. Uscì dal Casino di caccia (una casa di campagna) dove alloggiava e prese a camminare senza meta. Giunto in una località denominata Arpaja si fermò, col cuore che quasi scoppiava per la pena che sentiva al pensiero della sua vita passata. In quel momento, gli parve di risentire le parole che tante volte padre Radente gli aveva ricordato: «Se cerchi salvezza, propaga il Rosario. È promessa di Maria. Chi propaga il Rosario è salvo!». Sull’orlo della disperazione, alzò il volto e le mani al cielo e supplicò la Vergine: «Se è vero che tu hai promesso a San Domenico che chi propaga il Rosario si salva, io mi salverò perché non uscirò da questa terra di Pompei senza aver qui propagato il tuo Rosario!». Poco dopo, sentì suonare da lontano l’Angelus di mezzogiorno.
L’arrivo del quadro della Madonna del Rosario Da allora, cominciando con piccole lotterie con premi a carattere religioso, l’avvocato cercò di rianimare gli abitanti di Valle di Pompei. Alle lotterie affiancò la Festa del Rosario, che negli anni ebbe un successo sempre maggiore. Nell’ottobre 1875 decise di organizzare una missione popolare e di procurarsi un’immagine più adatta allo scopo, da conservare nella chiesa parrocchiale del Santissimo Salvatore. Anni prima, padre Radente aveva regalato a una religiosa del Conservatorio del Rosario a Porta Medina, suor Maria Concetta De Litala, un quadro della Madonna del Rosario: Bartolo andò a vederlo, ma si dispiacque dello stato pietoso in cui si trovava; alla fine, dietro le insistenze della suora, lo prese ugualmente. Il dipinto era troppo grande per essere trasportato in treno o in carrozza, così Bartolo fece chiamare Angelo Tortora, uno dei capi dei contadini di Valle di Pompei, e gli chiese di farlo arrivare a destinazione. Il 13 novembre 1875 il quadro fu recapitato, ma solo quando anche Bartolo tornò al paese scoprì che Angelo l’aveva caricato sul letame che era già sul carretto: spesso, infatti, ritirava quel materiale dalle stalle dei nobili napoletani, per rivenderlo ai contadini come fertilizzante. Poco dopo l’arrivo, il quadro fu restaurato, nonché ritoccato secondo le indicazioni di Bartolo, il quale volle che l’immagine di santa Rosa da Lima, inginocchiata ai piedi della Madonna in trono con Gesù Bambino insieme a san Domenico di Guzmán, fosse sostituita con quella di Caterina da Siena, santa alla quale era particolarmente devoto.
La costruzione del nuovo santuario La folla di pellegrini e devoti aumentò a tal punto che si rese necessario costruire una chiesa più grande. Su consiglio anche del vescovo di Nola (nel cui territorio cadeva Valle di Pompei), monsignor Giuseppe Formisano, iniziò il 9 maggio 1876 la costruzione del nuovo tempio, che terminò nel 1887. Il quadro della Madonna, dopo essere stato opportunamente restaurato, venne sistemato su un trono splendido; l’immagine poi venne incoronata con un diadema d’oro, ornato da più di 700 pietre preziose e benedetto da papa Leone XIII. La costruzione venne finanziata da innumerevoli offerte di denaro, proveniente dalle tante Associazioni del Rosario sparse in tutta Italia: in breve divenne un centro di grande spiritualità, elevato al grado di Santuario e di Basilica Pontificia.
Le opere di “don” Bartolo “Don” Bartolo (così era chiamato per rispetto, secondo l’uso del Sud Italia) istituì anche un orfanotrofio femminile, affidandone la cura alle suore Domenicane Figlie del Rosario di Pompei, da lui fondate. Ancora, fondò l’Istituto dei Figli dei Carcerati in controtendenza alle teorie di Lombroso, secondo cui i figli dei criminali sono per istinto destinati a delinquere; chiamò a dirigerlo i Fratelli delle Scuole Cristiane. Nel 1884 divenne promotore del periodico «Il Rosario e la Nuova Pompei», che ancora oggi si stampa in centinaia di migliaia di copie, diffuse in tutto il mondo; la stampa era affidata alla tipografia da lui fondata per dare un avvenire ai suoi orfanelli. Un anno prima, il 14 ottobre 1883, era stata recitata per la prima volta la Supplica alla Beata Vergine del Rosario di Pompei, da lui stesso composta. Da allora si diffuse in tutto il mondo, recitata solennemente a mezzogiorno dell’8 maggio e della prima domenica di ottobre. Basandosi su di un testo preesistente tradotto dal francese, compose poi «I Quindici Sabati del Santo Rosario».
I “santi viventi” suoi amici Tra i suoi amici speciali c’erano padre Ludovico da Casoria, francescano, conoscente anche di Caterina Volpicelli (canonizzato nel 2014) e Giuseppe Moscati, il famoso medico di Napoli (la cui canonizzazione avvenne nel 1986), che divenne il suo medico personale; spesso visitava anche gli orfanelli. Molte altre furono le personalità della Chiesa del suo tempo e i fedeli che gli accadde d’incontrare per i quali sono stati aperti, e spesso felicemente conclusi, i processi di beatificazione e canonizzazione.
Tra polemiche e calunnie Tuttavia non mancarono le calunnie, in particolare a riguardo del rapporto tra Bartolo e la contessa Marianna. Dovette intervenire papa Leone XIII in persona, sciogliendo entrambi dagli impegni presi privatamente (lui voleva restare celibe) e invitandoli a unirsi in matrimonio, pur continuando a vivere come fratello e sorella, come del resto avevano fatto fino a quel momento: la cerimonia si svolse nella cappella privata del Vicario Generale della diocesi di Napoli il 1° aprile 1885. Altre polemiche sorsero a causa di questioni amministrative. Per questa ragione, nel 1893, Bartolo Longo offrì a papa Leone XIII la proprietà del Santuario con tutte le opere pompeiane e, qualche anno più tardi, rinunciò anche all’amministrazione, che il Pontefice gli aveva lasciato. In un pubblico discorso, lasciò le onorificenze ricevute ai suoi orfani e raccomandò di essere sepolto nel Santuario, ai piedi del trono della Madonna. Con il Breve pontificio «Quotquot religionis», Leone XIII pose il Santuario di Pompei sotto la protezione della Sede Apostolica e nominò il cardinale Raffaele Monaco La Valletta protettore del Santuario.
La morte La contessa Marianna morì il 9 febbraio 1924, mentre Bartolo rese l’anima a Dio il 5 ottobre 1926. Seguendo il suo desiderio, fu sepolto nella cripta sotto l’altare maggiore; tre anni dopo, furono traslati lì anche i resti della moglie. L’8 maggio 1926, pochi mesi prima del transito di Bartolo, papa Pio XI, accanto alla Delegazione Pontificia per il Santuario, istituita dal Papa san Pio X il 20 febbraio 1906, aveva creato la Prelatura nullius di Pompei. Al suo arrivo aveva trovato una zona paludosa e malsana, a causa dello straripamento del vicino fiume Sarno, abbandonata praticamente dal 1659. Morendo, lasciava Valle di Pompei ripopolata, salubre, con la vita sociale e religiosa che ruotava attorno al Santuario e alle opere annesse. Non fece tuttavia in tempo a vederla diventare, il 29 marzo 1928, Comune autonomo, denominato semplicemente Pompei.
La causa di beatificazione fino al decreto sulle virtù eroiche Il processo informativo per la beatificazione di Bartolo fu celebrato dal 1934 al 1935 nella Prelatura di Pompei. Il 1° febbraio 1939 venne emesso il decreto sugli scritti, confermato il 4 aprile 1943. Secondo le norme vigenti al tempo, seguì il processo apostolico, dal 1947 al 1948. Dopo la seduta dei Consultori Storici, il 2 gennaio 1967, avvenne l’introduzione della causa, sempre secondo la normativa canonica in corso. La convalida del processo informativo e di quello apostolico avvenne col decreto del 26 febbraio 1971. Gli Officiali e i Consultori della Congregazione delle Cause dei Santi, nella loro riunione del 22 aprile 1975, dichiararono che Bartolo aveva vissuto in grado eroico le virtù cristiane. Analogo parere venne, l’8 luglio 1975, dalla plenaria dei Cardinali e del Vescovi membri della stessa Congregazione. La conferma papale della plenaria arrivò il 12 luglio 1975; il 3 ottobre dello stesso anno il Papa san Paolo VI autorizzò la promulgazione del decreto sulle virtù eroiche.
Il miracolo per la beatificazione Il miracolo preso in esame per la beatificazione di Bartolo (la legislazione in materia era cambiata, per cui era necessario un solo miracolo anziché sue) fu la guarigione, avvenuta il 4 aprile 1943 a Baronissi, in provincia di Salerno, di Carmela Camera, madre di famiglia, affetta da sindrome enterocolitica, da grave e ipercronica anemia e da coleciste calcolosa. L’inchiesta diocesana sull’asserito miracolo si celebrò nel corso del 1945, ma fu convalidata il 24 ottobre 1975. La Consulta Medica della Congregazione delle Cause dei Santi si pronunciò, il 24 ottobre 1975, a favore dell’impossibilità di spiegare l’accaduto secondo le conoscenze scientifiche del tempo in cui esso si era verificato. Il 10 aprile 1978, gli Officiali e i Consultori della Congregazione delle Cause dei Santi si pronunciarono a favore del nesso tra il presunto fatto prodigioso e l’intercessione di Bartolo; il loro parere fu confermato dai Cardinali e dai Vescovi della Congregazione il 29 maggio 1979. Dopo la conferma papale della sentenza della plenaria, il 1° giugno 1979, il Papa san Giovanni Paolo II autorizzò la promulgazione del decreto sul miracolo: era il 13 luglio 1979.
La beatificazione e il culto Bartolo fu beatificato il 26 ottobre 1980, in piazza San Pietro a Roma, dal Papa san Giovanni Paolo II. La sua memoria liturgica venne fissata al 5 ottobre, giorno della sua nascita al Cielo. Tre anni dopo, i suoi resti mortali vennero traslati in una cappella adiacente alla cripta. Infine, nel 2000, vennero sistemati sotto l’altare di una nuova cappella a lui intitolata, situata nel complesso del Santuario.
La fama di santità dopo la beatificazione Dopo la beatificazione, la fama di santità di Bartolo arrivò a livelli mondiali, sia per la devozione alla Madonna di Pompei da lui promossa e avviata, sia per le iniziative di apostolato sociale e cristiano da lui promosse. Il Santuario di Pompei ricevette sempre più pellegrini da ogni parte del mondo, ma non tutti ricordavano la sua storia né quella del fondatore: numerose pubblicazioni, convegni e incontri ebbero il merito di darle nuova luce e di riattualizzarla, specie in occasione dell’Anno Giubilare Longhiano, indetto nel 2022 per commemorare il centocinquantesimo anniversario del suo arrivo a Pompei. Per tutte queste ragioni, il 18 giugno 2024, monsignor Tommaso Caputo, arcivescovo prelato e Delegato Pontificio del Santuario di Pompei, insieme a monsignor Antonio Di Donna, vescovo di Acerra e presidente della Conferenza Episcopale Campana, presentò al Santo Padre Francesco una Supplica per chiedere la canonizzazione con la dispensa dal miracolo. Interi episcopati regionali italiani come quelli della Sicilia, della Calabria, della Basilicata, ma anche delle Conferenze episcopali dell’India, del Myanmar e della Polonia, presentarono analoghe petizioni.
Verso la canonizzazione con dispensa dal miracolo Accogliendo quindi le richieste presentate, il Santo Padre autorizzò il Dicastero delle Cause dei Santi a intraprendere lo speciale iter in vista dell’eventuale canonizzazione. La “Positio super canonizatione” ebbe quindi l’intento di portare le prove non solo del culto perdurante e anzi incrementato, ma anche come quello di Bartolo fosse un modello eccellente di carità cristiana applicata alla società civile. I cardinali e i vescovi membri del Dicastero delle Cause dei Santi, nella loro Sessione Ordinaria del 18 febbraio 2025, sottolinearono come la testimonianza di Bartolo fosse particolarmente attuale e quindi meritevole di rilevanza universale. Il 24 febbraio 2025, nel corso dell’udienza concessa al cardinal Pietro Parolin, Segretario di Stato, e a monsignor Edgar Peña Parra, Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, papa Francesco approvò i voti favorevoli dei cardinali e dei vescovi del Dicastero delle Cause dei Santi a riguardo della canonizzazione con dispensa dal secondo miracolo. Nel corso del Concistoro ordinario pubblico del 13 giugno 2025, papa Leone XIV decretò che la canonizzazione di Bartolo fosse celebrata domenica 19 ottobre 2025. Autore: Emilia Flocchini
C’è sempre la speranza che un giovane ritrovi la retta via. Bartolo Longo nasce nel 1841 a Latiano (Brindisi), in una famiglia benestante. Si trasferisce a Napoli e si laurea in giurisprudenza. Cattive amicizie e ambiente universitario lo allontanano dal Cristianesimo, ma grazie all’incontro con alcune persone buone e un sacerdote, Bartolo ritrova la serenità e Gesù. La contessa Marianna De Fusco, rimasta vedova con cinque figli, gli chiede di occuparsi dei suoi terreni nella Valle di Pompei (Napoli). Bartolo, diventato avvocato, accetta.
Un giorno, mentre cammina senza meta, rimugina sul suo passato lontano da Dio ed ecco arrivare una voce che rivela alla sua anima una missione: diffondere la preghiera del Rosario. Il giovane assolve a tale compito per tutta la vita e, siccome per lui la preghiera deve essere accompagnata dalle opere di bene, si prodiga per aiutare i poveri. Bartolo viene deriso dai suoi ex compagni, ma non si scoraggia. Insegna il catechismo ai contadini analfabeti di Pompei e parla loro del Rosario, una preghiera semplice in cui si recitano il Padre Nostro, il Gloria al Padre, tante Ave Maria e si enunciano i “misteri”, attraverso i quali si medita sul Vangelo.
Bartolo si reca, poi, in una piccola chiesa diroccata perché desidera collaborare con il parroco. Intanto si sposa con Marianna De Fusco e insieme fondano orfanotrofi maschili e femminili e si occupano dei figli dei carcerati. Secondo la visione dell’epoca per questi bambini non c’era futuro. Invece per Bartolo essi possono essere recuperati e diventare onesti cittadini. Il primo figlio di carcerati ospitato è un piccolo calabrese che diventa sacerdote. Bartolo e la moglie si preoccupano di insegnare un mestiere agli orfani e istituiscono la Congregazione delle Suore “Figlie del Rosario di Pompei” per l’educazione dei bambini abbandonati.
Grazie alle generose offerte raccolte, l’avvocato fa costruire un santuario intitolato alla “Madonna del Rosario”, dedicato alla “Pace nel Mondo”, che attira pellegrini da ogni dove. Attorno al santuario rinasce la città di Pompei, distrutta dall’eruzione del Vesuvio (79 d.C.). I quadri esposti nella basilica testimoniano le numerose grazie ricevute. Lo stesso Longo viene guarito da una grave malattia. Il quadro della Madonna del Rosario, situato sopra all’altare, era in origine una tela rovinata, donata a Bartolo da una suora di Napoli. Portata fino a Pompei su un carrettino usato per il trasporto del letame, la tela, restaurata, diventa la splendida icona oggi tanto venerata. Bartolo Longo muore nel 1926 a Pompei. Oggi riposa assieme alla moglie Marianna De Fusco nel santuario, vicino alla Madonna.
Autore: Mariella Lentini
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