Nacque fra il 1155 e il 1157 nel villaggio di Cudot (nella diocesi di Sens) in Francia, dove morì il 3 nov. 1211. I suoi genitori erano poveri e vivevano delle rendite di un piccolo podere che coltivavano direttamente; poiché Alpaide era la primogenita, appena le forze glielo permisero, fu costretta ad aiutare il padre Bernardo nel suo duro lavoro. Doveva fra l'altro portare sulle gracili spalle il fimo e lo sterco nei campi e nell'orto, pungolare i buoi mentre tiravano l'aratro, condurre le vacche e le pecore al pascolo. In queste fatiche, che talvolta si prolungavano anche la notte, resse fino ai dodici anni; poi non ce la fece più e dovette mettersi a letto, un letto aspro, fatto di un saccone di paglia, senza cuscino e senza lenzuoli, preda di una grave malattia. Di che genere fosse la malattia non è facile dire. Un documento ci informa che la fanciulla « gravi admodum atque diutino prius est castigata flagello, adeo ut, propter affluentem de toto corpore saniem, suis quoque foret in horrorem » ; un altro documento ci dice che il Signore, per darle prova del suo amore, « tetigit os eius et carnem, percus-sitque eam ulcere pessimo, ita ut a pianta pedum usque ad verticem non esset illi sanitas » ; un altro ancora ci fa sapere che, essendosi putrefatte le carni, « tantum horrorem cernentibus ingerebat, tantumque fetorem ex se emittebat, quod etiam mater eius abhorrebat ». Si trattava forse della lebbra, come credono alcuni? Il fatto è che i familiari « tantae luis impatientes, ipsam in domo vili seorsum abicerunt, et singulis diebus eam invisen-tes, pauperrimum ei victum, occlusis ob fetorem naribus, ab ostio porrexerunt ». I fratelli, che pur le volevano bene, non solo rifiutarono di avvicinarla, ma non intendevano più somministrarle il cibo, affinché morisse di inedia; anche la misera madre (il padre era oramai morto) supplicava di continuo il Signore perché ponesse termine con la morte ai tormenti della figlia, « et quia pauper erat, et aliud quid quod ei offerre posset non habebat, panem hordeaceum a longe, veluti cani, propter intollerabilem fetorem, quandoque ei proiciebat », che quella quasi mai riusciva ad afferrare con le mani paralizzate e tanto meno a portare alla bocca. Alpaide sopportò tutto con grande pazienza e senza lamentarsi. Era circa un anno che si era ammalata, quando la vigilia di Pasqua, probabilmente del 1170, mentre paragonava sé, immersa in tanta squallida solitudine, ai suoi coetanei che, vestiti a festa, andavano gioiosamente in chiesa, le apparve d'improvviso la Madonna in mezzo a una gran luce e a un soavissimo profumo, « extensaque sancta dextera, singula membra contrectat, et mox ulcera quaeque curantur, fetor omnis abscedit ». Fu liberata dalle piaghe e dal fetore, ma rimase in uno stato di impotenza quasi totale, costretta a tenere sempre il letto in posizione supina, senza vigore nel corpo insensibile e morto, bisognosa di aiuto persino per rigirarsi. Di sano aveva solo il petto, il capo, la mano e il braccio destro; tuttavia, « ita venusta corpulentaque in vultu cernitur ac si deliciarum copia perfruatur ». La Madonna le aveva detto che sarebbe vissuta nel corpo senza bisogno di cibo corporale. Così fu : finché visse non mangiò e non bevve mai nulla, fatta eccezione della Comunione che riceveva la domenica. La fama del suo miracoloso digiuno giunse ben presto alle orecchie dell'arcivescovo di Sens, Guglielmo, zio del re Filippo, il quale, dopo aver appurato il fatto con un'inchiesta, ordinò la costruzione di una chiesa attigua alla camera della vergine per permetterle di assistere ai divini uffici dal suo letto attraverso una finestra che guardava l'altare. La rettorìa della chiesa fu affidata a un gruppo di canonici regolari con a capo un priore. Dal giorno dell'apparizione Alpaide cominciò a operare miracoli; ebbe visioni meravigliose superiori alla umana facondia; fruì di estasi specialmente nelle solennità del Signore e della Vergine; vedeva in spirito le cose lontane, prevedeva le future; era insignita del dono della circospezione nelle parole e della sapienza nei consigli; e come si diffuse la fama di questi prodigi cominciarono i pellegrinaggi alla sua casa. Arcivescovi e vescovi, abati ed altri prelati, semplici sacerdoti, nobili e plebei andarono da lei per raccomandarsi alle sue preghiere, per vederla, per ascoltarla. La regina di Francia Adele, sposa di Luigi VII, nel 1180 destinò alla chiesa di Gudot una rendita annua di un moggio di frumento per amore di Alpaide, rendita che nel 1184 fu confermata in perpetuo da Filippo Augusto con un diploma. Altre donazioni furono fatte in seguito. Alla sua morte il corpo della beata fu deposto nel coro della chiesa e il popolo la venerò subito come una santa. Nel 1894 esso si trovava ancora nello stesso luogo, davanti all'altare maggiore. Il 26 febb. 1874, in seguito a regolare processo istruito a Sens per ordine dell'arcivescovo, la S. Congregazione dei Riti ne approvò il culto immemorabile e il 28 nov. dello stesso anno concesse che se ne celebrasse la festività con rito doppio minore nelle diocesi di Sens e di Orléans, e con rito doppio di seconda classe nelle chiese di Cudot e di Triguières nella diocesi di Orléans, dove qualcuno a torto la riteneva nata. Sempre verso la fine del sec. XIX (non disponiamo di informazioni più recenti) la devozione verso la b. Alpaide era ancor più viva a Gudot e nei dintorni, dove si organizzavano pellegrinaggi alla sua tomba. Nei pressi del paese fluiva una fonte chiamata di s. Alpaide perché, secondo la leggenda, era stata fatta scaturire da lei un giorno che, già deforme per la sua infermità, trovandosi in un prato col gregge, aveva domandato da bere, ma invano, a una persona. Il popolo ne beve l'acqua, se ne bagna le piaghe, la porta a casa per devozione.
Autore: Pietro Burchi
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