Nato ad Aparaea, compiuti gli studi ad Antiochia, si trasferì ad Efeso, dove esercitò il mestiere di calligrafo. Attratto nell’orbita del suo corregionale Alessandro, entrò nel monastero di san Menna di Costantinopoli. Seguì, insieme con altri monaci, Alessandro, quando questi, condannato da un concilio di Costantinopoli a lasciare la capitale, si stabilì nella località di Gomone nella Bitinia Nord-orientale. Mentre Alessandro stava morendo (circa nel 430), Marcello ch’era il monaco più ragguardevole della comunità, si allontanò dal monastero per evitare di essere, morto l’egumeno, eletto a succedergli. Ricomparve solo quando seppe che Alessandro era morto e a succedergli era stato eletto Giovanni. Allora il nuovo egumeno fu ordinato prete e Marcello diacono.
Durante l’enumerato di Giovanni la comunità abbandonò Gomone, aspro, selvaggio e malfamato luogo di confine, ed andò ad abitare quasi al centro della riva asiatica del Bosforo, nella località chiamata allora Ireneo e successivamente Chiboukli o Cubuklu, di fronte alla baia di Istenia, a stretto contatto con la capitale. All’Ireneo i monaci, che non interrompevano la preghiera neppure di notte e per questo ricevettero la denominazione di Acemeti, videro chiudersi il brevissimo egumenato di Giovanni ed aprirsi quello lunghissimo di Marcello, secondo successore di Alessandro.
Marcello riformò il monastero degli Acemeti, riabilitandolo e facendolo apparire puro d’ogni sospetto di fanatismo e di eresia. La preghiera continua restò la più spiccata caratteristica dei monaci, che continuarono ad essere riguardati e considerati gli insonni vigili di Dio. Il lavoro, specialmente quello intellettuale, non solo non fu proibito, ma fu anche obbligato; la biblioteca degli Acemeti, la più antica biblioteca monastica di cui si faccia menzione nella storia della Chiesa greca, diventò una delle più ricche di tutto l’Oriente; sotto Giustiniano contò duemila lettere di sant'Isidoro di Pelusio e formò la più grande delizia di Rustico, il giovane diacono romano nipote di papa Vigilio.
Marcello s’impose talmente all’attenzione dei posteri, come dei contemporanei, che gli fu attribuito anche parte di quel che avevano operato i suoi due predecessori. E ciò poté avvenire perché Alessandro era stato accusato d’infamia e Giovanni era passato rapido come una meteora, senza lasciare traccia.
L’egumenato di Marcello che si estende per circa un quarantennio, è caratterizzato da una sorprendente attività svolta in ogni campo, entro e fuori del monastero, soprattutto nel settore delle costruzioni. Se da una parte egli tenne tanto allo spirito e alla pratica della povertà, da respingere la proposta fattagli dai suoi monaci di comprare terre e da cedere ad altri monasteri, senza nulla riservarne per il proprio, i beni ch’egli aveva ereditato da un suo fratello, d’altra parte accettò le grandi ricchezze con le quali Faretrio, ricchissimo cittadino di origine romana, entrò nel monastero dell’Ireneo. Come il suo predecessore Giovanni s’era servito delle ricchezze di Filoteo, altro ricco cittadino d’origine romana, per costruire il monastero dell’Ireneo, così Marcello si servì delle ingenti ricchezze di Faretrio per ingrandire e abbellire quel medesimo monastero, che diventò e fu universalmente chiamato d’allora in poi «il grande monastero degli Acemeti».
Molti furono coloro che da ogni parte accorrevano all’Ireneo per chiedere di esservi ammessi. Tra quelli che accorsero sotto Marcello fu il nobilissimo giovanetto costantinopolitano Giovanni, che poi da acemeta diventò calibita e salì agli onori degli altari in Oriente e in Occidente. Anche il siro Sergio, discepolo di san Simeone Stilita, si avviò alla volta del monastero, ma, allorché sulla barca avvistò sulla riva opposta del Bosforo la colonna di san Daniele Stilita, mutò direzione.
Come si è detto, Marcello fondò ed incrementò anche quella biblioteca, nella quale lui e i suoi monaci si misero in grado di diventare i principali fautori del rinnovamento del pensiero e dell’azione durante quasi tutta la seconda metà del V secolo.
Pur attendendo a formare i suoi monaci dell’Ireneo, a costituire altrove colonie monastiche, a raccogliere reliquie e leggende di santi, ad accogliere pellegrini, che venivano a consultarlo o a visitare il suo monastero, trovava il tempo per prepararsi a partecipare a conferenze dommatiche e a sessioni conciliari.
Nel 448, a Costantinopoli, insieme col patriarca Flaviano, con trentuno vescovi e ventidue archimandriti, sottoscrisse la condanna dell’archimandrita Eutiche. Nel 449, durante il cosiddetto «latrocinio efesino», allorché il monofisfsnio sembrò trionfare, egli dispiegò tanto zelo contro l’eresia da meritare le lodi di Teodoreto di Ciro. Nel 451 era presente alla quarta sessione del concilio di Calcedonia, durante la quale, insieme con altri diciassette archimandriti, sottoscrisse una supplica all’imperatore Marciano contro Eutiche.
Grazie al prestigio e alla fama di santità di cui universalmente godeva e di cui è prova il fatto che il 2 settembre del 465 fu attribuito alle sue preghiere l’arresto dell’incendio di Costantinopoli, egli poté lottare ad oltranza ed efficacemente contro l'arianesimo del goto Aspar Ardaburo, console nel 427 e della sua famiglia. Per due volte, nel 469 e nel 471, impedì che salisse sul trono imperiale un membro di questa stessa famiglia, la quale nel 471 cadde in rovina così come aveva profetizzato l'archimandrita degli Acemeti.
Marcello morì il 485 circa e subito fu venerato come santo.
La sua festa è iscritta nel Martirologio Romano al 29 dicembre, come nei sinassari che, pur recando una notizia su di lui, non menzionano una sinassi in suo onore.
Autore: Giuseppe Caliò
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