Nato a Roma da un prete di nome Giovanni, S. era stato per cinque anni vescovo di Anagni, prima di ascendere al soglio pontificio. Successe a Bonifacio VI, eletto dopo la morte di papa Formoso (4 aprile 896) e rimasto in carica appena quindici giorni. Si sa per certo che Stefano VI era già pontefice prima dell'11 di giugno. Al momento dell'elezione di Stefano VI, Arnolfo, incoronato imperatore da Formoso, doveva ancora esercitare il suo controllo su Roma tramite il messo Faroldo, ma non si sa se sull'elezione abbia influito la parte imperiale. In un momento imprecisato fra l'agosto 896 e il gennaio dell'897, Faroldo abbandonò Roma, che tornò sotto il controllo degli Spoletini. Stefano VI aveva programmato un sinodo a Ravenna per il settembre dell'896, convocando anche vescovi d'Oltralpe, ma non si ha alcun elemento per dire che già allora Stefano VI avesse intenzione di far annullare l'elezione papale di Formoso, come poi fece effettivamente a distanza di alcuni mesi, nel cosiddetto "concilio del cadavere", tenuto a Roma nel gennaio dell'897, durante il quale il corpo di Formoso fu disseppellito e venne istruito un processo contro di lui. Fu l'avvenimento più importante del pontificato di Stefano VI, soprattutto per gli strascichi che ebbe nella convulsa storia romana degli anni seguenti, con l'alternarsi di pontefici formosiani e antiformosiani, riabilitazioni di Formoso e nuove sue condanne. Nulla di preciso si sa riguardo al merito di alcune disposizioni canoniche, che pare siano state prese durante il sinodo: le fonti si concentrano sull'episodio del processo al cadavere. Il corpo mummificato di Formoso fu tratto dalla sua tomba in S. Pietro e posto su un seggio; a lato era un diacono, incaricato di rispondere alle accuse. Nessuna fonte dice dove si sia tenuta l'assemblea, durata tre giorni: l'opinione degli studiosi si divide fra la basilica lateranense e S. Pietro in Vaticano. Fra i partecipanti al sinodo, che si svolse probabilmente in un clima di minacce e ricatti, molti erano dell'entourage di Formoso. Ci sono arrivati i nomi di due preti romani, Pietro e Benedetto, e dei vescovi Giovanni di Velletri, Giovanni di Gallese, Stefano di Orte, Pietro di Albano, Silvestro di Porto e Pasquale, di diocesi ignota. Gli ultimi tre pronunciarono le accuse contro Formoso: egli aveva contravvenuto alle disposizioni canoniche, che proibivano la traslazione da una sede vescovile a un'altra, passando da Porto a Roma; non aveva tenuto in alcun conto la scomunica comminatagli da Giovanni VIII, né aveva rispettato il giuramento prestato a Troyes nell'878, con cui si era impegnato a non cercare di tornare a Roma o di riprendere la sede di Porto e a non assumere più uffici ecclesiastici. La condanna di Formoso comportò l'annullamento di tutti gli atti che egli aveva compiuto come pontefice, comprese tutte le sue ordinazioni. Il cadavere fu denudato fino all'altezza del cilicio, incrostato nelle carni; le vesti papali furono sostituite con indumenti laici, a significare l'invalidità dell'elezione a papa; infine, mutilato di due o tre dita della mano destra (con cui si impartiscono le benedizioni e si effettuano le ordinazioni), fu sepolto nel cimitero degli stranieri, forse per ossequio all'interdetto, già ricordato, di Giovanni VIII, che proibiva a Formoso di tornare a Roma. Dopo poco il corpo fu nuovamente dissotterrato, ad opera di briganti, o più probabilmente di partigiani di Stefano VI, e gettato nel Tevere. Fu infine fortunosamente recuperato alle porte di Roma e tenuto nascosto da un monaco, fino al pontificato di Teodoro II, che lo restituì alla sua tomba in S. Pietro. I motivi che portarono Stefano VI ad allestire un processo contro un cadavere, fatto certo singolare, ma con qualche precedente nell'antichità, sono stati oggetto di discussione. In particolare, c'è un ampio disaccordo sul ruolo giocato dalla dinastia spoletina, che, secondo alcuni, annullando gli atti del pontificato di Formoso, avrebbe voluto rendere invalida anche la consacrazione imperiale di Arnolfo (meno probabile pare l'ipotesi di una vendetta postuma; comunque, sarebbe stato più agevole ricorrere all'argomento che il pontefice era stato costretto con la forza a consacrare Arnolfo e inoltre l'annullamento degli atti del pontificato di Formoso rendeva nulla anche l'incoronazione di Lamberto). Le fonti, frammentarie, non permettono di sciogliere completamente i dubbi in proposito, ma sembrano comunque escludere una responsabilità degli Spoletini. Non è infatti certo che Lamberto e sua madre Ageltrude fossero a Roma durante il sinodo, anche se nel gennaio dell'897 avevano sicuramente il controllo della città. D'altra parte, Lamberto era presente al sinodo convocato da Giovanni IX a Ravenna nell'898, dove venne riabilitata la memoria di Formoso e riconosciuta la validità dei suoi atti di pontefice; ciò rende molto improbabile un'iniziativa di Lamberto nel "concilio del cadavere", appena un anno prima. Molto malsicura anche l'ipotesi, quasi universalmente condivisa, di un tentativo di autolegittimazione da parte di Stefano VI. Secondo tale ipotesi, proposta la prima volta da Dümmler (Auxilius und Vulgarius, p. 10), Stefano sarebbe stato consacrato vescovo di Anagni da Formoso; avendo anch'egli contravvenuto alle disposizioni canoniche, con il passaggio dalla sede di Anagni a Roma, Stefano avrebbe poi cercato di regolarizzare a posteriori la propria posizione, annullando tutti gli atti del pontificato di Formoso e quindi anche la propria consacrazione a vescovo. La ricostruzione è però puramente congetturale, poiché la notizia della consacrazione a vescovo di Stefano da parte di Formoso non si trova in nessuna delle fonti contemporanee, ma solo in un testimone tardo come Sigeberto di Gembloux (il passo di Invectiva in Romam, citato da H. Zimmermann, Papst-absetzungen des Mittelalters, p. 55 n. 27, e W. Hartmann, p. 390, che peraltro non condividono l'ipotesi di Dümmler, riguarda Stefano V e non Stefano VI). Del resto, anche la cronologia crea qualche difficoltà: Stefano fu vescovo ad Anagni per cinque anni, mentre il pontificato di Formoso durò solo quattro anni e mezzo: il vescovato di Stefano sarebbe dunque iniziato qualche mese prima del pontificato di Formoso. Al di là delle circostanze precise in cui si svolse, è probabile che l'episodio sia legato ai profondi cambiamenti della società romana nel periodo successivo alla morte di Giovanni VIII. Il crollo del sistema statale carolingio e l'esaurimento progressivo, ma rapido, della capacità di controllo imperiale su Roma liberavano l'iniziativa di forze locali, entrate subito in conflitto per la conquista dell'egemonia. Del resto, al di là delle conseguenze dirette e indirette in tutta Italia, Stefano VI avrebbe limitato alla sola città di Roma la deposizione di coloro che erano stati ordinati da Formoso: questo confermerebbe il carattere e il significato esclusivamente locali dell'iniziativa, leggibile quindi, più che come strumento di (auto)legittimazione, come mezzo per imporre uomini di fiducia, dopo avere allontanato i titolari indesiderati. Che la questione delle ordinazioni formosiane avesse un rilievo sociale sembra confermato dalla sollevazione che rovesciò Stefano VI, nella seconda metà di giugno o a fine luglio-inizi agosto dell'897. Privato della sua dignità, forse costretto a farsi monaco, fu incarcerato e strangolato, probabilmente nell'agosto dell'897. Il suo corpo fu fatto trasportare in S. Pietro nel 907 da Sergio III e la sua tomba, secondo T. Alfarano (De Basilicae Vaticanae antiquissima et nova structura, Roma 1914, p. 115), fu collocata tra la porta Romana e la porta Guidonea, nell'atrio dell'antica basilica. Mallio attesta, infatti, di averne letto l'epitaffio (Inscriptiones Christianae urbis Romae septimo saeculo antiquiores, a cura di G.B. de Rossi, II, Romae 1888, nr. 81, p. 215) "ante ecclesiam". L'epigrafe metrica fu commissionata da Sergio III il quale, in occasione della traslazione, si occupò anche delle esequie del suo predecessore (vv. 11-12: "post decimum [...] transtulit annum / Sergius huc papa sacra colens"). Ivi si ricorda in termini adulatori l'offensiva intrapresa da Stefano VI contro Formoso (v. 3: "hic primum repulit Formosi spurca superbi") presiedendo il suddetto "concilio del cadavere" (v. 5: "concilium instituit, praesedit pastor et ipsi") e la tragica fine che lo colse (vv. 9-10: "carceris interea vinclis constrictus in imo/strangulatus ubi exuerat hominem"). Poco altro si può aggiungere sul pontificato di Stefano VI. Ebbe rapporti solo con Chiese del Regno franco occidentale: confermò possedimenti e privilegi alla Chiesa di Narbona e al monastero di Vézelay, prese sotto la protezione apostolica il monastero di Psalmodi. Stefano VI indirizzò due lettere all'arcivescovo di Reims Folco, che già aveva avuto contatti stretti con Formoso ed era imparentato con la casa di Spoleto. Nella prima, dal tono fortemente polemico, Stefano VI rifiutava le scuse di Folco, che non si era ancora recato a Roma, e lo invitava a partecipare al concilio programmato per il settembre dell'896 a Ravenna, minacciandolo di sanzioni canoniche. Nella seconda, concedeva a Folco di rimanere a Reims e di mandare al concilio due altri vescovi. Sotto il pontificato di Stefano VI si verificò il crollo della basilica lateranense, poi ricostruita da Giovanni IX e Sergio III.
Autore: Vito Loré
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