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Sant' Ellero (Ilaro) di Galeata Abate

15 maggio

Tuscia, 476 - 15 maggio 558

Nato in Tuscia nel 476, a dodici anni Ellero decise di darsi a vita solitaria: lasciò la casa paterna, si inoltrò sull'Appennino e scelse per propria dimora un monte della valle del Bidente, in Romagna. Qui costruì in tre anni una cappella dove pregare e, sotto, una spelonca dove alloggiare, procurandosi il vitto col proprio lavoro. A vent'anni passò dalla vita eremitica a quella cenobitica. Infatti un nobile ravennate, Olibrio, pagano e posseduto dal demonio, fu condotto da lui perché lo esorcizzasse. Olibrio fu liberato dallo spirito maligno, fu battezzato con tutta la famiglia e, alla morte della moglie, si offerse insieme ai due figli come compagno di vita monastica ad Ellero, donandogli i suoi averi e un piccolo terreno da lavorare. Sorse così, verso il 496, il nucleo monastico di Galeata. Ellero morì a ottantadue anni, il 15 maggio del 558. (Avv.)



Nacque in Tuscia nel 476. A dodici anni, nell'ascoltare la lettura del brano di Lc. 14, 26, decise di darsi alla vita solitaria: lasciò la casa paterna, si inoltrò sull'Appennino, scese verso l'Emilia e scelse per propria dimora, dietro indicazione di un angelo, un monte della valle del Bidente a circa un miglio dal fiume. In quel luogo costruì in tre anni una cappella dove pregare e, sotto di essa, una spelonca dove alloggiare, procurandosi il vitto col proprio lavoro. A vent'anni passò dalla vita eremitica a quella cenobitica: infatti un nobile ravennate, Olibrio, pagano e posseduto dal demonio, fu condotto al santo perché lo esorcizzasse. Olibrio fu liberato dallo spirito maligno, fu battezzato con tutta la sua famiglia e, essendogli morta poco dopo la moglie, si offerse insieme coi due figli come compagno di vita monastica ad Ellero: donò al santo i suoi averi e tra l'altro un piccolo terreno poco lontano, da lavorare. Sorse così, verso il 496, il nucleo monastico di Galeata.
Altri miracoli compiuti dal santo e, aggiungiamo noi, lo smarrimento e lo sconcerto provocato dai grandiosi e terribili eventi di quegli anni (caduta dell'impero ed invasioni barbariche in Italia), gli recarono nuovi discepoli. La regola che egli fece osservare era semplicissima, non molto dissimile, a quanto pare, da quella di s. Pacomio (quale del resto troviamo seguita in tutti i monasteri occidentali prima di s. Benedetto): essa era basata sulla preghiera comune, sul digiuno, sul lavoro dei campi, sulla pratica della carità, per cui ogni monaco, ed Ellero primo fra tutti, lavava i piedi al proprio fratello e gli offriva ogni più umile servizio. Notevole il particolare che ogni monaco doveva far benedire dal "padre" (poi abate) tutti i frutti della terra per liberarli da ogni influsso demoniaco: il monaco Glicerio, infatti, che non si era attenuto a questa norma, ebbe la sorpresa di veder mutarsi dell'uva in un serpente. Teodorico stesso (493-526), che aveva fatto costruire un palazzo non lontano dal monastero di Ellero, quantunque in un primo tempo tentasse di molestare i monaci, in seguito, anche per essersi compiuti avvenimenti prodigiosi, si mostrò assai benevolo verso di loro e donò al monastero beni e terreni. Ellero morì all'età di ottantadue anni, il 15 maggio del 558.
Questa è la sua Vita, ma quale ne sarà il valore? Il suo autore, si dichiara discepolo del santo e testimone oculare degli ultimi avvenimenti della di lui vita. Tale asserzione merita fede? Sull'argomento il Lanzoni ha scritto un ottimo lavoro, purtroppo ancora manoscritto nella Biblioteca Comunale di Faenza. In esso l'insigne agiografo faentino fa un'ampia analisi dei dati stilistici, topografici, cronologici, onomastici e soprattutto di quelli offerti dalla descrizione di usi monastici, dall'andamento del racconto, ecc., e conclude che la Vita s. Hilari è veramente opera di un contemporaneo il quale fu testimone dell'ultima parte della vita del santo e per il resto attinse a tradizioni popolari e monastiche. Lo scrittore si prefisse lo scopo non solo di narrare la vita del fondatore, ma altresì di porre in inscritto le linee fondamentali della regola del monastero di Galeata come dimostrano le lunghe illustrazioni che ne fa. Naturalmente, nella sua redazione, l'autore seguì — forse un po' troppo semplicisticamente — gli schemi usuali dell'agiografia contemporanea, la quale nel santo vedeva spesso solo il taumaturgo, moltiplicava a iosa interventi ed apparizioni di angeli e di demoni, e poneva in bocca ai protagonisti lunghe preghiere o discorsi centonati da testi biblici, dalle Passiorles Martyrum e dalle Vitae Patrum. E così fece il nostro scrittore, componendo più un panegirico che una vera storia. In particolare la liberazione di Olibrio dall'ossessione demoniaca rassomiglia troppo a racconti del genere di cui è piena l'agiografia del tempo (cf. s. Abercio, s. Apollonia, s. Gordiano, s. Ciriaco diac., s. Epifanio di Cipro, s. Vito mart., s. Potito, le Gesta Marcelli) ecc.) per non apparirne un derivato. Anche l'incontro del santo con Teodorico è già trasfigurato dalla tradizione popolare che negli imponenti avanzi dell'acquedotto romano di Galeata, vedeva un ennesimo palazzo di Teodorico. Comunque, conclude il Lanzoni, "l'opera, nella penuria di documenti di quel tempo, è tutt'altro che disprezzabile".
Il culto a s. Ilario, o s. Ellero (secondo la dizione toscana) è molto diffuso in Toscana ed in Romagna: specialmente nelle diocesi di Arezzo, Sarsina, Forlì, Bertinoro, Faenza, Imola, Modigliana, Fiesole, Firenze e nell'abbazia di Farfa. Il santo è particolare protettore di Lugo; la sua festa è celebrata il 15 maggio.


Autore:
Giovanni Lucchesi


Fonte:
Bibliotheca Sanctorum

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Aggiunto/modificato il 2001-11-14

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