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Beato Antonio Della Chiesa Sacerdote domenicano

Festa: 22 gennaio

San Germano Vercellese, 1394 - Como, 22 gennaio 1459

Nato a San Germano vercellese, entrò nell'Ordine a Vercelli nel 1417. Fu priore a Como, Savona, Firenze, Bologna e Genova; si adoperò attivamente per ristabilire ovunque l'osservanza della regola. Morì nel convento di Como, mentre ne era priore. Il suo culto fu confermato da Pio VII nel 1819.

Martirologio Romano: A Como, beato Antonio della Chiesa, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che in alcuni conventi dell’Ordine riformò l’osservazione della regola, ponendosi con clemenza dinanzi all’umana fragilità e correggendola con fermezza.


Il generale decadimento religioso che interessò l’Italia, sul finire del XIV secolo, dovuto in buona parte allo scisma che lacerava la Chiesa, ma anche conseguenza di pestilenze e guerre che impoverivano sempre più la società, colpì anche gli ordini religiosi. I Domenicani, come avvenne in altre congregazioni, videro però sorgere al loro interno luminose figure che dedicarono tutta la propria esistenza a far tornare l’Ordine al fervore delle origini e all'osservanza rigorosa delle regole del Padre Fondatore Domenico. Ricordiamo, tra i principali “riformatori”: santa Caterina da Siena, il b. Raimondo da Capua, eletto Maestro Generale nel 1380, e il b. Giovanni Dominici, uno dei suoi principali collaboratori. Tra i massimi artefici di tale opera riformatrice troviamo anche un piemontese, il cui apostolato fu straordinario.
Antonio nacque a San Germano Vercellese intorno al 1394, in una nobile famiglia, i Marchesi Della Chiesa di Roddi. Il padre inizialmente si oppose al desiderio del giovane di prendere l'abito domenicano. Solo intorno ai vent’anni Antonio entrò come novizio nel convento vercellese di San Paolo, dove pronunziò i voti solenni e iniziò gli studi filosofici e teologici. Per ottenere il titolo di lettore, necessario per essere abilitato all'insegnamento, fu poi mandato nel celeberrimo convento veneziano dei Ss. Giovanni e Paolo, dove giunse in pieno “clima riformista”. Vi passò i suoi anni di formazione, fino ad essere ordinato sacerdote, quindi iniziò il ministero pastorale pur seguitando a studiare. Si distinse perché seppe unire alla vita contemplativa, un generoso impegno caritatevole. Osservava frequenti digiuni e non era inusuale che trascorresse l’intera notte in preghiera. Tale impegno fece sì che terminati gli studi, a soli 28 anni, venisse inviato a Como come priore con il compito di riformare il grande convento di S. Giovanni Pedemonte, detto anche “in Alto”, che era presso le mura, ai piedi del monte di Santo Eustichio, comprendente due chiostri ed una bellissima chiesa gotica. Nella sua nuova “patria” non limitò l’impegno alla “moralizzazione” della comunità, ma esercitò il suo benefico influsso anche sulla vita cittadina, sconvolta da lotte politiche dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti. In tale opera di pacificazione fu coadiuvato nel 1432 dal celebre predicatore san Bernardino da Siena. Tra il Della Chiesa e il santo francescano nacque un’amicizia e i due frati furono compagni nelle missioni tenute anche nei paesi vicini.
Altra santa amicizia padre Antonio ebbe con una monaca di Brunate, suor Maddalena Albrici del monastero di S. Andrea, fondato nel 1340. Il suo ruolo fu determinante quando nacque un dissidio tra la beata e i suoi fratelli, contrari alla concessione di una rendita che il padre aveva lasciato per sopperire ai bisogni della comunità. Inoltre, sempre su consiglio del beato, la direzione del monastero passò, nel 1455, agli Agostiniani Riformati detti Eremitani. Nella città lariana il b. Antonio rimase per più di dieci anni e venne riconfermato priore, cosa non usuale.
Antonio lasciò Como per assolvere importanti incarichi, profondendo un impegno apostolico davvero sorprendente. Nella primavera del 1437 il Maestro Generale dell'Ordine lo nominò Vicario Generale della congregazione riformata di Lombardia. Lasciò questo incarico nell’autunno del 1439 per essere eletto priore – nel 1440 - del convento di S. Domenico di Bologna, culla dell’Ordine. L’anno seguente venne nominato, per la seconda volta, Vicario Generale della Congregazione lombarda, inoltre nel mese di luglio prese possesso del convento di S. Maria degli Angeli a Ferrara. Nel 1441 avvenne l'elezione a priore del convento di Savona, pur mantenendo la guida della congregazione lombarda che comprendeva anche le comunità liguri, a cui venivano destinati numerosi religiosi provenienti da Como e Pavia. Fu conferito tale importante incarico proprio a padre Antonio, che lo mantenne fino a quando assunse la direzione del convento di S. Maria di Castello di Genova, di cui nel 1443 fu nominato superiore, in un contesto assai complesso. Nel giugno 1441 papa Eugenio IV sottomise l’importante collegiata ad un'ispezione, causa la poca "cura animarum”, e, conseguentemente, privò i canonici della sua amministrazione. Il successivo affidamento ai Domenicani “riformati” fu aspramente osteggiato dalla curia, mentre i religiosi venivano sostenuti dal Comune. Vi si insediarono il 13 novembre 1442, incorrendo nella scomunica dell'arcivescovo. Nel frattempo furono persino sottratti alcuni beni della casa prepositurale e della chiesa, con conseguente causa che si trascinò per tutto il 1443.
L'attività riformatrice del b. Antonio continuò instancabile negli anni successivi: nel 1444 fu a Piacenza come priore del convento di San Giovanni che in soli tre anni riuscì a portare alla perfetta osservanza. Quindi, per la terza volta, fu posto alla guida della Congregazione lombarda (certamente lo era nel marzo 1446), ma dovette essere esonerato dall'incarico nei mesi successivi, perché è certo che il 7 maggio 1447 era priore del convento veronese di Santa Anastasia.
Le capacità di mediazione del b. Antonio indussero Papa Eugenio IV ad affidargli il delicato compito di riconciliare alla Chiesa di Roma i “seguaci” dell’antipapa Felice V, eletto a Basilea il 5 novembre 1439 da alcuni padri conciliari che avevano dichiarato deposto il pontefice legittimo. L’antipapa era il Duca Amedeo VIII di Savoia che dopo aver saggiamente governato il suo ducato si era ritirato sul lago di Ginevra nel monastero di Ripaglia. La riforma domenicana sosteneva decisamente Eugenio IV e il Della Chiesa ne fu un fedele difensore. Una importante lettera, datata 17 novembre 1446, termine del suo priorato a Piacenza, gli fu indirizzata dal pontefice, con l’invito ad operare per porre fine allo scisma. Al beato, che in quel tempo si trovava a Savona, il pontefice associò l’illustre francescano padre Nicolò da Osimo. Ciò attesta l'altissima stima con cui era considerato padre Antonio, conosciutissimo nelle terre in cui erano più numerosi i sostenitori di Felice V. Lo scisma durò fino al 1449, anche nei primi anni di pontificato di Nicolò.
Il Della Chiesa fu quindi inviato a Firenze, nel celebre convento di San Marco, importante centro di studi, scrigno d’arte grazie alla geniale maestria del beato Angelico. Con l'elevazione ad arcivescovo di Sant' Antonino Pierozzi era venuta a mancare in San Marco una guida spirituale, mentre la peste, cominciata sul finire del 1448, aveva decimato anche i frati. Pure in questo caso venne in aiuto la Congregazione Lombarda che inviò come priore appunto padre Antonio e ottimi studenti tra i quali ricordiamo il b. Andrea da Peschiera. Il b. Antonio, definito dal suo predecessore "uomo di grande età, specchio di santità, e di religione", divenne priore nel 1454. Diede testimonianza della sua grande cultura - sotto il suo priorato la biblioteca del convento venne arricchita di parecchi volumi – anche perché, finalmente, ebbe il tempo di dedicarsi agli studi, da sempre trascurati a causa dei continui numerosi impegni. Di questi anni abbiamo notizia di alcuni suoi “prodigi”, in particolare la “guarigione” di un bambino muto dalla nascita, portato a lui dai genitori.
Il periodo fiorentino durò poco: il 5 settembre 1455 Antonio assunse nuovamente, come Vicario Generale, la guida dei Riformati lombardi. Nel corso di questa sua quarta amministrazione riuscì ad ottenere dal Maestro Generale alcune disposizioni su cui si fondò la costituzione della nuova congregazione domenicana: la facoltà di proporre un candidato quale vicario, prima di procedere all’elezione secondo gli statuti. Pur essendo ormai in età avanzata, il beato fu incaricato nel 1458 di riformare il convento di Cremona, nell'anno successivo fu ritrasferito sempre come priore a Como. A sessant'anni tornava nelle terre lariane, dove il suo ricordo era ancora vivissimo.
Grande predicatore, implacabile soprattutto nel condannare l'usura, per tutta la vita ebbe a cuore anche la cura degli infermi. Portò a Dio innumerevoli anime, nessuno partiva da lui senza diventare migliore. Fin dalla giovane età fu devotissimo alla Vergine Maria alla quale riconosceva la grazia della vocazione: un fatto straordinario risale ai tempi della sua seconda permanenza a Como. Un giorno in cella gli apparve insieme al Figlio che teneva nelle braccia. Ne fu testimone un certo Antonio Della Villa che andava da lui per la confessione e attratto dal vivissimo splendore che usciva dalla porta socchiusa della cella, vide discorrere la Madonna ed il beato. Ritornato ai sensi Antonio gli impose di non rivelare l’accaduto e difatti solo dopo la sua morte l’uomo ne diede formale testimonianza. Nella parrocchiale sangermanese esiste un quadro seicentesco in cui il fatto è rappresentato.
Del periodo ligure si narra un altro fatto singolare: padre Antonio era costretto a continui trasferimenti da Savona a Genova ed era solito viaggiare per mare, via più breve, ma insicura. Una notte alcuni pirati, individuata la sua piccola barca, lo assalirono e catturarono insieme ad un confratello. Il beato serenamente si dispose alla sorte, sarebbe stato ucciso o reso schiavo. All'alba però i corsari rimasero talmente stupiti nel vedere la serenità dei prigionieri che li liberarono. Altro fatto memorabile capitò un giorno mentre Antonio, con un confratello, si recava a Pavia su di un somaro. Chiedevano ospitalità solo in conventi domenicani o francescani e sovente era necessario viaggiare nottetempo. Una notte dunque, sfiniti dal freddo e dalla neve, fu loro offerto del cibo, ma il beato, se fu premuroso nel convincere il compagno ad accettare, non volle sfamarsi per rispettare il periodo di digiuno. 
Quarant'anni di infaticabile apostolato, le penitenze, i viaggi lunghi e faticosi, affievolirono la forte tempra del beato Antonio. Si narra che tornato per l’ultima volta a Como ebbe il presagio della morte vicina. A Brunate riprese i contatti con la beata Maddalena Alberici.
Antonio si spense il 22 gennaio 1459. Il corpo, esposto nella chiesa del convento, emanò una dolce fragranza, molti accorsero anche dalle campagne. Le sue vesti, fatte in piccoli pezzi, furono distribuite ai fedeli. Prima che fosse sepolto gli si staccò la mano sinistra che, in una teca d'argento, fu mandata a San Germano, suo paese nativo, perché venisse esposta ai fedeli. Le spoglie furono quindi poste in un'arca nella cappella dei Santi Apostoli che più tardi gli fu dedicata. 
Con l’avvento di Napoleone il convento fu soppresso e nel 1810 ufficialmente destinato a ricovero per i poveri. Nello stesso anno il corpo del beato venne traslato a San Germano Vercellese. Il convento tra il 1814 ed il 1815 venne definitivamente abbattuto perché fatiscente. Nel 1819 Pio VII concesse il culto ab immemorabili, lo si festeggia anche il giorno della traslazione delle sue spoglie (28 luglio). Nel 1913 a San Germano fu posta una lapide sulla sua casa natale.
Al beato Antonio della Chiesa si attribuiscono Sermones varii de sanctis, de tempore, de festis, conservati alla Biblioteca Nazionale di Torino.


Autore:
Daniele Bolognini

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Aggiunto/modificato il 2014-09-25

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