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San Giuseppe Nguyen Duy Khang Catechista, martire

6 dicembre

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† 6 dicembre 1861

Nato da genitori cristiani in Vietnam, a sud di Hanoi, ben presto entrò a servizio del sacerdote vietnamita Nang. A 24 anni iniziò a studiare latino e a condurre una vita cristiana più seria. Divenuto discepolo del vescovo domenicano Girolamo Hermosilla e desiderando vivere con maggior impegno la sua consacrazione battesimale, entrò nel Terz'Ordine di san Domenico. Quando, a causa della persecuzione, l'Hermosilla fu arrestato, Giuseppe cercò di difendere il suo vescovo, ma ricevette dagli sgherri tre colpi di spada. Dopo atroci torture fu decapitato. Coronò così il suo ideale: offrire la vita a Cristo insieme al suo vescovo. Papa Giovanni Paolo II lo ha canonizzato in data 19 giugno 1988.

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Nella città di H?i Duong nel Tonchino, ora Viet Nam, san Giuseppe Nguyen Duy Khang, martire, che, catechista e compagno di viaggio del santo vescovo Girolamo Hermosilla, fu insieme a lui catturato, flagellato e tenuto in carcere durante la persecuzione dell’imperatore T? Ð?c e, infine, decapitato.


Giuseppe Nguyen Duy Khang nacque nel 1832 nel villaggio di Cao Mai, nella provincia di Thai Binh. Suo padre morì quando era bambino, così sua madre dovette prendersi cura di lui da sola. Dopo aver ricevuto i Sacramenti, a tredici anni Giuseppe andò a vivere con un anziano padre domenicano, per studiare latino in preparazione al sacerdozio.
Quando la persecuzione divenne più furiosa, il ragazzo dovette interrompere gli studi, ma provò a restare nel villaggio di Ke Mot per aiutare il vescovo Girolamo Hermosilla Aransaez. Grazie alle sue attitudini da capo, venne incaricato di occuparsi dell’ufficio diocesano: svolse i suoi compiti al meglio delle sue possibilità, guadagnandosi la fiducia del vescovo. Inoltre, aderì al Terz’Ordine Domenicano e ne rispettò scrupolosamente la regola. Quanti lo conobbero riscontrarono in lui un carattere onesto, spesso disponibile al sacrificio per far sì che i suoi fratelli nella fede non vivessero in condizioni disagevoli.
Durante la persecuzione, i padri domenicani dovettero stabilire dei turni per guidare le preghiere nelle case dei fedeli e far sì che essi riuscissero a prender parte alle funzioni religiose con loro. I cristiani, però, vennero obbligati a vivere in villaggi pagani, mentre tutte le strutture diocesane vennero smantellate. I seminaristi dovettero travestirsi da contadini e da mercanti ed essere costretti a lavorare per i pagani.
Giuseppe non fece nulla di questo, anzi, rimase al fianco del vescovo Girolamo e lo seguì quando non poté più vivere a Ke Mot. Prima di partire, il giovane disse ai suoi fratelli e ai catechisti: «Voi restate tutti qui, io vado col vescovo. Se i mandarini lo prenderanno, sicuramente non risparmieranno me. Se il vescovo verrà martirizzato, anch’io lo sarò. Le nostre teste verranno smarrite, ma le nostre gambe resteranno».
Il vescovo e il suo fedelissimo aiutante si spostavano di continuo, ma vennero traditi da un cristiano che era al soldo del governo. Giuseppe tentò di difendersi usando una canna di bambù per picchiare gli aggressori, ma il vescovo gl’intimò di non farlo perché non avrebbe ubbidito alla volontà di Dio. Vennero quindi arrestati e portati nella città di Hai Duong.
Il giovane venne confinato nella medesima prigione di altri laici cristiani, coi quali si radunava tre volte al giorno per pregare e compiere atti di riparazione per i propri peccati. Tre volte dovette subire torture: la prima, quando gli fu chiesto dove il vescovo si fosse nascosto prima dell’arresto, venne picchiato così duramente che gli si staccarono dei pezzi di carne dalle natiche. Riportato in cella, venne curato alla meglio dai compagni, che bollirono delle foglie di bambù nell’acqua calda per lavargli le ferite.
Dopo quella prima tortura, scrisse ai seminaristi: «I mandarini mi hanno torturato e mi hanno chiesto in quale villaggio il nostro vescovo stava nascosto, ma io non ho risposto. Ho deciso di resistere alla punizione piuttosto di rivelare alcunché. Pregate con fervore per me».
La seconda volta che venne torturato, gli venne chiesto di parlare del suo luogo di nascita e dei genitori e fu obbligato a calpestare la croce, ma rifiutò di rispondere e di ubbidire agli ordini dei mandarini. Dichiarò soltanto: «Ho ventinove anni. Non so dove stiano vivendo ora i miei genitori, i miei fratelli e le mie sorelle. Tutto ciò che so è ho seguito i predicatori europei dalla mia infanzia fino ad oggi. Sono stato recentemente arrestato col vescovo Liem [il nome vietnamita di Hermosilla] e ignoro dove siano tutti gli altri predicatori europei. Non rinnegherò mai la mia religione cristiana».
Tre giorni dopo, i mandarini lo convocarono nuovamente e, ancora una volta, Giuseppe si rifiutò di fare ciò che gli veniva ordinato. Ad un mandarino che gli prometteva la libertà se avesse abiurato, replicò: «Se ha pietà di me, mi risparmi e io le sarò grato; non mi parli più di apostasia né mi forzi ad abbandonare la mia religione». All’udire questo, il funzionario ordinò di infliggergli centoventi colpi.
Il giovane riferì in una lettera tutti questi maltrattamenti ai seminaristi della sua diocesi e aggiunse di aver bisogno di un paio di pantaloni nuovi, dato che i suoi erano strappati a causa delle frustate, e di un lenzuolo che fungesse da sudario per la sua sepoltura. Il 6 dicembre 1861 venne decapitato a Nam Mau, nella provincia di Hai Duong. Il suo corpo venne seppellito in un campo vicino.
Neanche sei anni dopo il martirio, nessuno ricordava più l’esatta ubicazione della sua tomba. Quando la Santa Sede autorizzò l’avvio del processo per dichiarare il martirio di Giuseppe, gli inviati in Vietnam decisero di celebrare una Messa per le anime del Purgatorio, per chiedere la loro intercessione in vista del ritrovamento dei resti del martire. Poco dopo, venne rinvenuta una grande urna di ceramica sotto la cucina di un’abitazione, dove precedentemente era stato eretto un altare. Sul contenitore era posta una scritta: “Questo è il corpo del catechista Khang, martire”. All’apertura, venne rinvenuta una targhetta di rame con l’iscrizione: “Questo è il corpo del catechista Khang, martirizzato a Hai Duong, nell’anno del Gallo, quattordicesimo anno del regno del re Tu Duc, 1861”. La testa del giovane è attualmente venerata nel Santuario dei Martiri nella provincia di Hai Duong, mentre il suo corpo è custodito a Ke Mot.
Il Decreto per il martirio di Giuseppe Nguyen Duy Khang, del vescovo Girolamo Hermosilla e di altri quattro padri domenicani è stato emanato il 24 giugno 1905, mentre la beatificazione è stata celebrata il 20 maggio 1906. Il gruppo è stato canonizzato il 19 giugno 1988, incluso nella lista dei 117 Martiri del Vietnam.


Autore:
Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2012-10-10

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