Nacque il 13 aprile 1506 a Villaret, frazione di Saint-Jean-de-Sixt, nel ducato di Savoia, da Louis e Marie Périssin. Famiglia di modesti agricoltori, i Favre avevano destinato il figlio alla vita rurale e alla cura del piccolo patrimonio terriero familiare ma, su consiglio dello zio Mamert Favre, priore della certosa del Reposoir, decisero di secondare il vivo desiderio di studiare che il F. manifestò precocemente. Dopo la scuola elementare di Thônes, frequentò per otto anni la scuola di latino fondata dall'umanista P. Veillard a La Roche; nel 1525, per interessamento del cugino Claudio Périssin, nuovo priore del Reposoir, si iscrisse come pensionante a pagamento nel collegio universitario di S. Barbara a Parigi. Nel collegio, uno dei più noti della città, il Favre si formò nel clima ricco di fermenti umanistici e religiosi che vi regnava grazie alla presenza di intellettuali quali J.-L. Estrebay, G. Buchanan, J. Gélida e J. Fernel. Si orientò principalmente verso studi letterari e filosofici, sotto la guida di Juan de la Peña, professore di logica nella facoltà delle arti, rimanendo influenzato dal pensiero occarnista e, soprattutto, dalle dottrine di G. Biel sul primato della volontà e dell'esperienza; presumibilmente lesse le opere di Erasmo da Rotterdam, diffuse nel collegio. Nel 1529 conseguì il baccellierato e la licenza in filosofia. Al S. Barbara il Favre ebbe come compagno di studi e amico Francesco Saverio e nel 1529 vi conobbe Ignazio di Loyola. Tra il Favre e quest'ultimo si instaurò un saldo legame intellettuale e personale, basato sulla condivisione quotidiana delle esperienze universitarie e religiose, spartendo, ricorderà il Favre, il "vitto, la stanza e la borsa" (Memoriale, Fabri Monumenta p. 493); il Favre divenne così uno dei primi compagni del Loyola. Deciso a prendere i voti sacerdotali, nell'inverno 1533-1534 eseguì gli esercizi spirituali sotto la direzione dello stesso Loyola e fu incaricato di seguire quelli di numerosi studenti, fra i quali D. Lainez e A. Salmerón, ben presto conquistati, con S. Rodrigues e N. Bobadilla, al messaggio ignaziano. Mentre seguiva i corsi alla facoltà di teologia dell'università di Parigi per prepararsi all'ordinazione sacerdotale, il Favre iniziò un'intensa vita in comune, di preghiera e di studio, con quel piccolo gruppo di compagni. Desiderosi di ampliare i propri orizzonti intellettuali e religiosi, essi frequentarono il convento dei domenicani di S. Giacomo e il collegio di Navarra, dove insegnavano illustri professori (M. Ory, T. Laurency, J. Benoît, F. Picart e J. Adam), e soprattutto le lezioni del dotto francescano Pierre de Cornet. Per il Favre l'esperienza più incisiva di quegli anni fu comunque rappresentata dall'incontro con il pensiero mistico, principalmente della tradizione renano-fiamminga, avvenuto attraverso la frequentazione della certosa di Vauvert, famoso centro di conservazione e di divulgazione di testi mistici. La cultura mistica costitui infatti un punto di riferimento fondamentale nell'elaborazione del pensiero del Favre, che ad essa attinse idee centrali nella sua riflessione religiosa, quali la necessità di un "ritorno al cuore" come luogo di azione dello Spirito e dell'unione con Dio e di un costante sforzo per realizzare tale unione, fonte della vera riforma; anche gli esercizi spirituali furono concepiti dal Favre in una prospettiva nettamente mistica.. Si mostrò comunque critico verso posizioni che si allontanavano da espressioni e pratiche tradizionalmente accettate dalla Chiesa. L'interesse verso il pensiero mistico fu coltivato dal Favre con letture e tranute costanti rapporti con le certose delle città dove si recava (Magonza, Treviri, Lovanio, Colonia), centri attivi di quella cultura. La formazione universitaria del Favre si concluse nel 1536 con il conseguimento del titolo di magister artium nella facoltà delle arti. Due anni prima era stato ordinato sacerdote dall'arcivescovo di Parigi, il cardinale Jean du Bellay. Il 15 agosto 1534, come unico prete del gruppo, aveva consacrato nella cappella dei Ss. Martiri a Montmartre il primo voto dei futuri fondatori della Compagnia di Gesù (Loyola, Bobadilla, Salmerón, Saverio e Lainez): essi si impegnarono a recarsi, entro un anno, in pellegrinaggio a Gerusalemme e ad assistere i poveri e i pellegrini, vivendo in povertà e castità, o, se non avessero potuto restare in Terrasanta, a porsi agli ordini del papa. Partito il Loyola per la Spagna per raccogliere fondi per il viaggio, il Favre era divenuto il capo del gruppo che, grazie alla sua predicazione fra gli studenti, si accrebbe con C. Jay, P. Broët e G. Codure; seguì negli esercizi spirituali, fra gli altri, l'umanista inglese John Helyar, autore di una serie di note che costituiscono la più antica redazione degli esercizi. Alla fine del 1536 i compagni si riunirono al Loyola a Venezia e, aspettando di imbarcarsi per l'Oriente, si dedicarono alla cura degli ammalati negli ospedali e ad altri uffici religiosi e sociali. Costretti a rinviare il viaggio a Gerusalemme a causa della critica situazione politica esistente tra Venezia e i Turchi, i compagni decisero di stabilirsi nelle città universitarie dell'Italia settentrionale e centrale per svolgere opera di apostolato e di assistenza. Il Favre, il Lainez e il Loyola furono invece chiamati a Roma dal papa che, intenzionato a ristrutturare l'università pontificia "La Sapienza" dopo il sacco del 1527, nominò i primi due professori di teologia, mentre al Loyola fu data la possibilità di diffondere gli esercizi spirituali. Il Favre insegnò teologia positiva fino al 1539; nel contempo, partecipò alle vicende della Compagnia prima dei suo riconoscimento ufficiale da parte di Paolo III. Per autorizzazione del vicario del papa, il Favre e i suoi confratelli poterono predicare nelle chiese cittadine e amministrare i sacramenti in attesa di partire per Gerusalemme; le loro prediche videro un grande concorso di fedeli. L'attività dei compagni fu però turbata dalle accuse di eresia e di criptoluteranesimo rivolte loro dai potenti seguaci del frate agostiniano Agostino Mainardi (presto passato alla Riforma), perché avevano attaccato come luterana la sua predicazione quaresimale, essi furono assolti dopo un regolare processo. L'opera pastorale dei gruppo ricevette intanto segni di apprezzamento sia in Italia sia all'estero: il Favre emerse come la personalità di spicco nelle trattative intraprese dal re Giovanni III di Portogallo con i compagni, per l'evangelizzazione delle Indie portoghesi. Nel 1539 il gruppo decise di costituirsi in Ordine religioso, denominato Compagnia di Gesù; il Favre stilò gli atti sommari delle lunghe riunioni tenute per definire l'ordinamento della Compagnia e l'atto di obbedienza al Loyola, sottoscritto dagli altri compagni. Il primo incarico affidato al Favre, nel 1539, fu la riforma dei territori di Parma e Piacenza, per richiesta del cardinale Ennio Filonardi, legato di Parma. Coadiuvato dal Lainez, il Favre svolse un'intensa opera di evangelizzazione a Parma (non si recò mai a Piacenza). La sua attività ottenne "bon frutto", secondo le dichiarazioni degli Anziani della città al loro oratore a Roma Federigo Del Prato (Tacchi Venturi, Storia della Compagnia di Gesù, I, 2, pp. 194 s.): la pratica degli esercizi ebbe larga diffusione sia fra i religiosi sia fra i laici e, in particolare, fra le gentildonne e diverse persone entrarono nella Compagnia (tra gli altri G. Doménech, P. d'Achille, E. Ugolati). È molto probabile che il Favre abbia esercitato la propria influenza sulla Congregazione della Carità, orientandone l'attività forse anche con delle regole. Certo egli fu l'ispiratore - anche se non il fondatore, come vogliono molti suoi biografi e la stessa lapide dell'oratorio - della Compagnia del Ss. Nome di Gesù istituita ufficialmente nel 1543 dai cosiddetti preti contemplativi o contemplanti per opere assistenziali. Alla "Soliditas Parmensis" il Favre destinò lo scritto Ordine et aiuto di perseverare nella vera vita christiana et spirituale (Parma 1540, in Fabri Monumenta, pp. 39-44), contenente una serie di direttive per l'attuazione quotidiana dei principî degli esercizi spirituali. Nel 1540 il Favre fu raggiunto dall'ordine di partecipare ai colloqui di Worms. Da quel momento fu la Germania a costituire il centro dei suoi interessi e delle sue preoccupazioni: con il viaggio a Worms egli prese infatti coscienza della frattura che si era verificata nella cristianità con la Riforma e decise di dedicare ogni sua cura per sanarla. Primo gesuita a entrare in Germania, il Favre giunse a Worms al seguito di Pedro de Ortiz, oratore imperiale e consigliere di N. de Granvelle, presidente dei colloqui per la parte cattolica. Contrariamente alle sue speranze, per ordine del Granvelle il Favre non poté intraprendere alcuna iniziativa autonoma di dialogo con i protestanti, pur essendo la sua richiesta caldeggiata dai consiglieri del presidente, fiduciosi nelle sue capacità di mediazione; la proibizione gli risultò particolarmente gravosa nei confronti di Melantone, di cui stimava i tentativi di conciliazione. Per analoghi motivi di opportunità politica gli fu impedito di predicare in città. Il Favre si risolse quindi ad attendere alla cura spirituale delle personalità cattoliche presenti ai colloqui che richiedevano i suoi uffici come Alvaro, Moscoso, il maestro del Sacro Palazzo T. Badia e i vescovi G. Morone e R. Vauchop. L'incontro di Worms servì principalmente al Favre per rendersi conto dell'incapacità della Chiesa cattolica di fronteggiare la nuova situazione religiosa, per la condizione di grave decadenza spirituale e morale in cui versava, e, d'altra parte, della determinazione e vastità del movimento protestante; egli rimase invece sostanzialmente estraneo alla controversia dottrinale, in mancanza di una conoscenza diretta della teologia riformata. Il Favre non colmò mai tale lacuna poiché, già a Worms, iniziò a delineare come fine del suo apostolato la riforma e il rafforzamento della Chiesa cattolica, piuttosto che la lotta contro i protestanti. Al termine dei colloqui di Worms, interrotti poco dopo il loro inizio per la convocazione della Dieta imperiale a Ratisbona, il Favre seguì l'Ortiz alla Dieta, dopo una breve sosta a Spira, durante la quale entrò in relazione con il vicario generale della città G. Mussbach e incontrò i nobili e i vescovi tedeschi presenti alla corte del vescovo della città, Filippo II di Flersheim. Il fallimento dei colloqui di Ratisbona convinse definitivamente il Favre che il solo mezzo per ostacolare la diffusione del protestantesimo era rappresentato dal rinnovamento spirituale della Chiesa romana, operato con la riforma interiore di tutti i credenti, mentre si rivelavano inutili le dispute e le battaglie pubblicistiche: "occorrono argomenti di opere e di sangue", egli scrisse ai confratelli di Parigi, "le parole ormai non servono più" (Fabri Monumenta, p. 105; cfr. pp. 414 s.). La prospettiva dei Favre restava comunque irenica: il ritorno all'originario messaggio evangelico e la realizzazione della "reformatio vitae" da parte dei fedeli avrebbe infatti consentito di ritrovare la perduta unità tra i cristiani. Il suo orientamento ecumenico lo accomunò agli irenisti J. Pflug, G. Postel, J. Gropper, A. Pighius e N. Clenardus, con i quali ebbe rapporti epistolari e personali. Il Favre dedicò tutta la vita all'attuazione del progetto ecumenico, impegnandosi in un'intensa opera di evangelizzazione in Germania, in Portogallo e in Spagna, innanzitutto attraverso la diffusione degli esercizi spirituali, che considerava il mezzo apostolico per eccellenza e nella cui conduzione si distingueva a giudizio dello stesso Loyola. La preferenza accordata alla prassi fece sì che il Favre non desse una sistemazione concettuale organica alla propria riflessione religiosa, ma ne affidasse l'espressione al proprio diario, denominato poi Memoriale (o Confessioni), alla corrispondenza e a brevi scritti occasionali. Del novero di questi ultimi sono i Capita quaedam de fide et moribus a patre Pedro Fabro proposita (Ratisbonae 1541, poi in Fabri Monumenta, pp. 119-125), redatti dal Favre insieme con il vescovo R. Vauchop per i numerosi nobili, uomini politici e di chiesa che avevano seguito i suoi insegnamenti o avevano fatto gli esercizi spirituali a Ratisbona, fra i quali figuravano il teologo J. Cochleus, Carlo II di Savoia (che lo volle come confessore personale e direttore spirituale), J. Gropper, il nunzio G. Poggi e il cardinale G. Contarini. Nello scritto sono riassunte in dieci capitoli le regole per condurre una vita cristiana e giungere ad un completo rinnovamento interiore, base della "vera Riforma". Nel 1541, a conclusione dei colloqui di Ratisbona, il Favre si trasferì con l'Ortiz in Spagna. Da Galapagar, grossa borgata presso Madrid dove l'Ortiz amministrava una parrocchia, il Favre irradiò la propria attività pastorale alla Catalogna, all'Aragona e alla Castiglia. Favorito anche dallp potenti amicizie dell'Ortiz, allargò la propria rete di relazioni alla nobiltà e ai prelati spagnoli, stringendo rapporti con la duchessa di Medinaceli, con Eleonora Mascarefias e con il vicario generale complutense G. de Quiroga. La principale preoccupazione del Favre restava tuttavia la conciliazione universale, come rivelava nel suo diario, auspicando la pacificazione di tutti i credenti come dei regnanti (Memoriale, Fabri Monumenta, p. 502). Colse quindi con entusiasmo l'opportunità offertagli dal cardinale G. Morone di aiutarlo, insieme con Bobadilla e con Jay, a promuovere la riforma cattolica in Germania. Il Favre fu destinato dal Morone a svolgere il proprio ufficio a Spira, a Magonza, a Colonia e nella regione renana; il suo operato fu seguito con speranza, da Roma, dal cardinale G. Contarini, fautore della sua linea riformatrice. L'azione pastorale del Favre trovò vasta rispondenza nelle città tedesche e in particolare a Magonza, dove divenne uno dei principali interlocutori dell'arcivescovo Alberto di Brandeburgo, desideroso di avviare un processo di riforma e di concifiazione religiosa nei propri domini, e a Colonia che, per sua opera, vide la fondazione, nel 1544, della prima residenza della Compagnia di Gesù in Germania. A Magonza il Favre fu incaricato di tenere lezioni di Sacra Scrittura alla facoltà di teologia dell'università e di predicare. La sua presenza fu richiesta a Colonia nel 1543 per sostenere i cattolici nella lotta contro l'arcivescovo Hermann von Wied, che incoraggiava la diffusione del luteranesimo in città con l'appoggio di gran parte del Consiglio e del clero. I risultati positivi delle trattative intraprese dal Favre, a nome dell'università, con i rappresentanti imperiali e della Curia furono presto vanificati dal passaggio alla Riforma dell'arcivescovo. Più incisiva fu l'opera di apostolato svolta dal Favre all'università, nei conventi (soprattutto femminilì) e fra la popolazione, che guadagnò sostenitori alla causa della riforma cattofica e membri alla Compagnia (fra cui Pietro Canisio). La sua linea riformatrice trovò un convinto seguace nel priore della certosa di S. Barbara, G. Kalckbrenner, al quale lasciò una copia degli Esercizi spirituali e un direttorio per quanti intendevano dirigerli (Pro privata alicuius reformatione, Coloniae 1544, poi in "Revue d'ascétique et mystique" (1960), pp. 346-349). Durante la sua missione in Germania il Favre scrisse dei brevi testi - istruzioni per l'apostolato e sul comportamento cristiano (De instructione pro itinere, Moguntii 1543, in Epistolae P. H. Nadal, IV, Madrid 1905, pp. 636-639), composte per i confratelli Alvaro Alfonso e Juan de Aragón in occasione del loro viaggio attraverso la Germania nel 1543, e i Monita circa confessiones (Coloniae 1544, poi in Fabri Monumenta, pp. 245-252), contenenti direttive per rendere la confessione uno strumento di reale rinnovamento interiore dei credente - e iniziò la redazione del Memoriale. Il Memoriale costituisce lo scritto più importante del Favre, anche ai finì della ricostruzione della sua biografia e del suo pensiero, poiché in esso egli annotò le proprie riflessioni dal 1542 sino alla morte, sia pure non sistematicamente, e riassunse le proprie vicende biografiche anteriori a quella data. Il diario servì al Favre come strumento di chiarificazione intellettuale dei processi vissuti nella propria esperienza della grazia (considerata una "nascita spirituale") e per individuare i modi di tradurre tale esperienza in azione pratica. Nel serrato dialogo interiore che il Favre vi instaura riflettendo sui voleri divini, l'imitazione di Cristo (intesa in senso mistico) emerge come momento centrale della vita cristiana e della conoscenza di Dio e come mezzo principale per la riforma della Chiesa. Il contatto diretto con la realtà tedesca portò il Favre a una elaborazione più precisa della propria posizione sulla riforma cattolica e sui rapporti' con i protestanti, che trovò espressione nel suo carteggio col Kalckbrenner e con C. Périssin e soprattutto in una rilevante lettera a G. Lainez, scritta da Évora nel 1546, che è una sorta di trattato sul modo di comportarsi con gli eretici (Fabri Monumenta, pp. 399-402). Il metodo propugnato in essa dal Favre si fondava sulla convinzione, comune ad Erasmo e ai suoi seguaci, che il miglioramento della vita morale e spirituale costituiva il presupposto del processo di conversione alla "vera" fede. All'origine dell'allontanamento dei protestanti dalla Chiesa cattolica vi era infatti, secondo il Favre, l'abbandono del giusto atteggiamento interiore verso i precetti della vita cristiana prima che il rifiuto intellettuale della dogmatica cattolica. Per ricondurre i protestanti alla fede cattolica occorreva pertanto stiniolarli al rinnovamento interiore. Come strumento peculiare per l'evangelizzazione il Favre indicava il dialogo che, intrapreso con spirito di carità e di amore, doveva mirare alla ricerca di un terreno comune di intesa e quindi orientarsi su argomenti relativi all'edificazioqe morale e spirituale, piuttosto che su questioni dottrinali. Il soggiorno del Favre in Germania fu interrotto da frequenti missioni pastorali in Belgio e da una lunga sosta a Lovanio, dove nel 1543 cadde ammalato mentre si apprestava a raggiungere il Portogallo per accompagnare Maria Manuela, figlia di Giovanni III, al matrimonio con il principe Filippo di Spagna; a Lovanio ebbe contatti con professori e studenti della facoltà di teologia e delle arti e diffuse gli esercizi spirituali, dettandone anche un testo. Un nuovo ordine del le di Portogallo lo costrinse a partire per Avora nel 1544; non avrebbe più fatto ritorno in Germania. Il Favre riprese la sua vita di predicatore itinerante in Portogallo e in Spagna, godendo dell'ospitalità e del favore dei regnanti di quei paesi: dalla corte reale portoghese Évora si recò a Coimbra, a Salamanca, a Valladolid, presso il principe Filippo di Spagna, e infine a Madrid. La sua predicazione fu particolarmente proficua a Coimbra, dove aderirono alla Compagnia figure quali L. Gonzáles de Camara, A. Gómez; e J. Azpilcueta. Per indirizzare l'attività della comunità cittadina, il Favre invià ai confratelli di Coimbra una breve istruzione sull'importanza dell'obbedienza assoluta e della carità (De obedientia, Colimbriae [1544], poi in Fabri Monumenta, pp. 284-287). Nel 1546 il Favre fu scelto dal Loyola come rappresentante della Compagnia al concilio di Trento, ma non poté parteciparvi: giunto a Roma già malato, al termine di un lungo viaggio attraverso le comunità di Valenza, Gandia e Barcellona, morì il 1º agosto 1546. Il 5 settembre 1872 il Favre fu beatificato da Pio IX, sulla base dei processi istruiti nel 1626 e nel 1869 (ma il primo processo, inedito, è del 1605). In seguito al processo di beatificazione, sul Favre fiorì un'abbondante letteratura agiografica; sino ad allora il nome e il pensiero del gesuita erano rimasti pressoché sconosciuti al di fuori della Compagnia - nella quale fu considerato un modello - e dei territori della Savoia, dove divenne oggetto di culto subito dopo la morte. Papa Francesco, primo Pontefice gesuita nella storia della Chiesa, in data 17 dicembre 2013 ha decretato la canonizzazione equipollente di Pierre Favre, estendendone il culto liturgico alla Chiesa universale ed iscrivendolo nell'albo dei Santi. Il 3 gennaio 2014, festa del Santissimo Nome di Gesù, Papa Francesco ha celebrato una Messa di ringraziamento nella Chiesa del Gesù per la canonizzazione del Favre, venerando con l'incenso una sua statua. Le spogie mortali di Pierre Favre trovarono riposo nell'antica Chiesa del Gesù a Roma, ma con la costruzione della nuova chiesa sono andate perdute.
Autore: Lucia Felici Fonte: www.treccani.it
OMELIA DI PAPA FRANCESCO
Santa Messa in ringraziamento della Canonizzazione - Chiesa del Gesù, Roma, 3 gennaio 2014
San Paolo ci dice, lo abbiamo sentito: «Abbiate gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo» (Fil 2, 5-7). Noi, gesuiti, vogliamo essere insigniti del nome di Gesù, militare sotto il vessillo della sua Croce, e questo significa: avere gli stessi sentimenti di Cristo. Significa pensare come Lui, voler bene come Lui, vedere come Lui, camminare come Lui. Significa fare ciò che ha fatto Lui e con i suoi stessi sentimenti, con i sentimenti del suo Cuore.
Il cuore di Cristo è il cuore di un Dio che, per amore, si è «svuotato». Ognuno di noi, gesuiti, che segue Gesù dovrebbe essere disposto a svuotare se stesso. Siamo chiamati a questo abbassamento: essere degli «svuotati». Essere uomini che non devono vivere centrati su se stessi perché il centro della Compagnia è Cristo e la sua Chiesa. E Dio è il Deus semper maior, il Dio che ci sorprende sempre. E se il Dio delle sorprese non è al centro, la Compagnia si disorienta. Per questo, essere gesuita significa essere una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto: perché pensa sempre guardando l’orizzonte che è la gloria di Dio sempre maggiore, che ci sorprende senza sosta. E questa è l’inquietudine della nostra voragine. Questa santa e bella inquietudine!
Ma, perché peccatori, possiamo chiederci se il nostro cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca o se invece si è atrofizzato; se il nostro cuore è sempre in tensione: un cuore che non si adagia, non si chiude in se stesso, ma che batte il ritmo di un cammino da compiere insieme a tutto il popolo fedele di Dio. Bisogna cercare Dio per trovarlo, e trovarlo per cercarlo ancora e sempre. Solo questa inquietudine dà pace al cuore di un gesuita, una inquietudine anche apostolica, non ci deve far stancare di annunciare il kerygma, di evangelizzare con coraggio. È l’inquietudine che ci prepara a ricevere il dono della fecondità apostolica. Senza inquietudine siamo sterili.
È questa l’inquietudine che aveva Pietro Favre, uomo di grandi desideri, un altro Daniele. Favre era un «uomo modesto, sensibile, di profonda vita interiore e dotato del dono di stringere rapporti di amicizia con persone di ogni genere» (Benedetto XVI, Discorso ai gesuiti, 22 aprile 2006). Tuttavia, era pure uno spirito inquieto, indeciso, mai soddisfatto. Sotto la guida di sant’Ignazio ha imparato a unire la sua sensibilità irrequieta ma anche dolce, direi squisita, con la capacità di prendere decisioni. Era un uomo di grandi desideri; si è fatto carico dei suoi desideri, li ha riconosciuti. Anzi per Favre, è proprio quando si propongono cose difficili che si manifesta il vero spirito che muove all’azione (cfr Memoriale, 301). Una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo. Ecco la domanda che dobbiamo porci: abbiamo anche noi grandi visioni e slancio? Siamo anche noi audaci? Il nostro sogno vola alto? Lo zelo ci divora (cfr Sal 69,10)? Oppure siamo mediocri e ci accontentiamo delle nostre programmazioni apostoliche di laboratorio? Ricordiamolo sempre: la forza della Chiesa non abita in se stessa e nella sua capacità organizzativa, ma si nasconde nelle acque profonde di Dio. E queste acque agitano i nostri desideri e i desideri allargano il cuore. E’ quello che diceSant’Agostino: pregare per desiderare e desiderare per allargare il cuore. Proprio nei desideri Favre poteva discernere la voce di Dio. Senza desideri non si va da nessuna parte ed è per questo che bisogna offrire i propri desideri al Signore. Nelle Costituzioni si dice che «si aiuta il prossimo con i desideri presentati a Dio nostro Signore» (Costituzioni, 638).
Favre aveva il vero e profondo desiderio di «essere dilatato in Dio»: era completamente centrato in Dio, e per questo poteva andare, in spirito di obbedienza, spesso anche a piedi, dovunque per l’Europa, a dialogare con tutti con dolcezza, e ad annunciare il Vangelo. Mi viene da pensare alla tentazione, che forse possiamo avere noi e che tanti hanno, di collegare l’annunzio del Vangelo con bastonate inquisitorie, di condanna. No, il Vangelo si annunzia con dolcezza, con fraternità, con amore. La sua familiarità con Dio lo portava a capire che l’esperienza interiore e la vita apostolica vanno sempre insieme. Scrive nel suo Memoriale che il primo movimento del cuore deve essere quello di «desiderare ciò che è essenziale e originario, cioè che il primo posto sia lasciato alla sollecitudine perfetta di trovare Dio nostro Signore» (Memoriale, 63). Favre prova il desiderio di «lasciare che Cristo occupi il centro del cuore» (Memoriale, 68). Solo se si è centrati in Dio è possibile andare verso le periferie del mondo! E Favre ha viaggiato senza sosta anche sulle frontiere geografiche tanto che si diceva di lui: «pare che sia nato per non stare fermo da nessuna parte» (MI, Epistolae I, 362). Favre era divorato dall’intenso desiderio di comunicare il Signore. Se noi non abbiamo il suo stesso desiderio, allora abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera e, con fervore silenzioso, chiedere al Signore, per intercessione del nostro fratello Pietro, che torni ad affascinarci: quel fascino del Signore che portava Pietro a tutte queste "pazzie" apostoliche.
Noi siamo uomini in tensione, siamo anche uomini contraddittori e incoerenti, peccatori, tutti. Ma uomini che vogliono camminare sotto lo sguardo di Gesù. Noi siamo piccoli, siamo peccatori, ma vogliamo militare sotto il vessillo della Croce nella Compagnia insignita del nome di Gesù. Noi che siamo egoisti, vogliamo tuttavia vivere una vita agitata da grandi desideri. Rinnoviamo allora la nostra oblazione all’Eterno Signore dell’universo perché con l’aiuto della sua Madre gloriosa possiamo volere, desiderare e vivere i sentimenti di Cristo che svuotò se stesso. Come scriveva san Pietro Favre, «non cerchiamo mai in questa vita un nome che non si riallacci a quello di Gesù» (Memoriale, 205). E preghiamo la Madonna di essere messi con il suo Figlio.
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