Villaret, Savoia, 13 aprile 1506 - Roma, 1 agosto 1547
Il 22 luglio 1534 Pietro celebra la prima Messa, e il 15 agosto successivo è ancora lui a salire l’altare, nella chiesa di Santa Maria a Montmartre, quando sette giovani con alla testa Ignazio pronunciano i voti di povertà, castità e obbedienza, finalizzati al totale impegno missionario. Nasce in quel momento la Compagnia di Gesù, con cinque spagnoli (Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Giovanni Laínez, Alfonso Salmerón e Nicola Bobadilla), più il portoghese Simon Rodriguez de Azevedo, e Pietro Favre della Savoia. Non essendo possibile l’andata in Terrasanta, i sette vanno a mettersi a disposizione del papa Paolo III Farnese in Roma: pronti per ogni servizio alla Chiesa, a qualsiasi livello. Il Pontefice manda Pietro Favre a insegnare teologia all’Università della Sapienza; qualche anno dopo, con la stessa obbedienza, lo troviamo a “fare catechismo” nelle campagne parmensi. Paolo III poi lo richiama, inviandolo in terra tedesca ai “colloqui di religione” tra cattolici e protestanti. La sua opera è così apprezzata che nel 1542 lo chiameranno un’altra volta in Germania. Sempre al servizio del Pontefice egli compie poi missioni in Portogallo e in Spagna (introducendo qui stabilmente la Compagnia di Gesù). Poi riceve l’ordine di tornare a Roma. La sua è una vita faticosissima: Pietro Favre non si fa sconti nelle fatiche, nelle penitenze, nella povertà autentica. Paolo III lo chiama per inviarlo al Concilio di Trento che è incominciato nel 1545. Lui parte immediatamente, ma il suo organismo non regge più, sebbene abbia solo quarant’anni. Giunto nell’Urbe a metà luglio del 1546, due settimane dopo è già morto. Papa Francesco lo ha canonizzato il 17 dicembre 2013.
Martirologio Romano: A Roma, beato Pietro Favre, sacerdote, che, primo dei membri della Compagnia di Gesù, affrontò onerosi compiti in diverse parti d’Europa e morì a Roma mentre partiva per il Concilio di Trento.
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Contemporaneo di s. Ignazio di Loyola, fu il primo sacerdote della nascente Compagnia di Gesù; nacque a Villaret, villaggio sulle pendici del Grand Bounard nella Savoia, il 13 aprile 1506; già all’età di dodici anni con il fervore dell’adolescenza, fece voto di castità.
Nel 1525 a 19 anni, si trasferì a Parigi per avviarsi allo studio della filosofia nel collegio di S. Barnaba, qui ebbe come compagno di stanza e di studio s. Francesco Xavier (Saverio) e dal 1529 anche s. Ignazio di Loyola, il quale gli fu di conforto nelle crisi spirituali che l’angustiavano.
Ottenuto il grado di baccelliere (laurea in legge) nel 1530, ritornò in patria, ma nel 1534 fece un mese di esercizi spirituali sotto la direzione di s. Ignazio e dopo la pia pratica si decise a seguirlo.
Fu consacrato sacerdote nel maggio 1534 e il 15 agosto seguente, insieme a s. Ignazio e altri cinque compagni, fece il celebre voto di Montmartre, cioè di vivere in povertà e di andare a Gerusalemme, promettendo di mettersi a disposizione del papa.
Nel 1536 si presentarono, con l’aggiunta di altri tre confratelli al papa Paolo III, rimandando il viaggio in Terra Santa causa la guerra fra Venezia ed i Turchi, ricevendo vari incarichi.
Pietro Favre insegnò teologia alla ‘Sapienza’ di Roma (1537-1539), poi si trasferì a Parma dove stette un anno prima di iniziare il suo apostolato itinerante come gesuita, in tutta Europa specialmente in Germania e la Penisola Iberica, dappertutto propagò la Compagnia di Gesù, predicò, diede gli esercizi, visitò monasteri, conquistò Pietro Canisio al nuovo Ordine.
Fu chiamato a partecipare al Concilio di Trento e intraprese il viaggio nonostante le cattive condizioni di salute, raggiunse Roma il 17 luglio 1546, ammalatosi morì in questa città il 1° agosto 1547.
Scrisse in lingua spagnola e latina il suo “Memoriale”, una specie di diario spirituale, questo documento stampato in varie edizioni e le sue lettere, sono la fonte per conoscere il suo carattere mite, la sensibilità, gli angelici costumi; amato e venerato da quanti lo frequentarono, uomo di preghiera secondo l’insegnamento di s. Ignazio.
Il culto di beato fu confermato da Pio IX il 5 settembre 1872. Papa Francesco, primo Pontefice gesuita nella storia della Chiesa, in data 17 dicembre 2013 ha decretato la canonizzazione equipollente di Pierre Favre, estendendone il culto liturgico alla Chiesa universale ed iscrivendolo nell'albo dei Santi. Il 3 gennaio 2014, festa del Santissimo Nome di Gesù, Papa Francesco ha celebrato una Messa di ringraziamento nella Chiesa del Gesù per la canonizzazione del Favre, venerando con l'incenso una sua statua. Le spogie mortali di Pierre Favre trovarono riposo nell'antica Chiesa del Gesù a Roma, ma con la costruzione della nuova chiesa sono andate perdute.
Autore: Antonio Borrelli
OMELIA DI PAPA FRANCESCO
Santa Messa in ringraziamento della Canonizzazione - Chiesa del Gesù, Roma, 3 gennaio 2014
San Paolo ci dice, lo abbiamo sentito: «Abbiate gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo» (Fil 2, 5-7). Noi, gesuiti, vogliamo essere insigniti del nome di Gesù, militare sotto il vessillo della sua Croce, e questo significa: avere gli stessi sentimenti di Cristo. Significa pensare come Lui, voler bene come Lui, vedere come Lui, camminare come Lui. Significa fare ciò che ha fatto Lui e con i suoi stessi sentimenti, con i sentimenti del suo Cuore.
Il cuore di Cristo è il cuore di un Dio che, per amore, si è «svuotato». Ognuno di noi, gesuiti, che segue Gesù dovrebbe essere disposto a svuotare se stesso. Siamo chiamati a questo abbassamento: essere degli «svuotati». Essere uomini che non devono vivere centrati su se stessi perché il centro della Compagnia è Cristo e la sua Chiesa. E Dio è il Deus semper maior, il Dio che ci sorprende sempre. E se il Dio delle sorprese non è al centro, la Compagnia si disorienta. Per questo, essere gesuita significa essere una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto: perché pensa sempre guardando l’orizzonte che è la gloria di Dio sempre maggiore, che ci sorprende senza sosta. E questa è l’inquietudine della nostra voragine. Questa santa e bella inquietudine!
Ma, perché peccatori, possiamo chiederci se il nostro cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca o se invece si è atrofizzato; se il nostro cuore è sempre in tensione: un cuore che non si adagia, non si chiude in se stesso, ma che batte il ritmo di un cammino da compiere insieme a tutto il popolo fedele di Dio. Bisogna cercare Dio per trovarlo, e trovarlo per cercarlo ancora e sempre. Solo questa inquietudine dà pace al cuore di un gesuita, una inquietudine anche apostolica, non ci deve far stancare di annunciare il kerygma, di evangelizzare con coraggio. È l’inquietudine che ci prepara a ricevere il dono della fecondità apostolica. Senza inquietudine siamo sterili.
È questa l’inquietudine che aveva Pietro Favre, uomo di grandi desideri, un altro Daniele. Favre era un «uomo modesto, sensibile, di profonda vita interiore e dotato del dono di stringere rapporti di amicizia con persone di ogni genere» (Benedetto XVI, Discorso ai gesuiti, 22 aprile 2006). Tuttavia, era pure uno spirito inquieto, indeciso, mai soddisfatto. Sotto la guida di sant’Ignazio ha imparato a unire la sua sensibilità irrequieta ma anche dolce, direi squisita, con la capacità di prendere decisioni. Era un uomo di grandi desideri; si è fatto carico dei suoi desideri, li ha riconosciuti. Anzi per Favre, è proprio quando si propongono cose difficili che si manifesta il vero spirito che muove all’azione (cfr Memoriale, 301). Una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo. Ecco la domanda che dobbiamo porci: abbiamo anche noi grandi visioni e slancio? Siamo anche noi audaci? Il nostro sogno vola alto? Lo zelo ci divora (cfr Sal 69,10)? Oppure siamo mediocri e ci accontentiamo delle nostre programmazioni apostoliche di laboratorio? Ricordiamolo sempre: la forza della Chiesa non abita in se stessa e nella sua capacità organizzativa, ma si nasconde nelle acque profonde di Dio. E queste acque agitano i nostri desideri e i desideri allargano il cuore. E’ quello che diceSant’Agostino: pregare per desiderare e desiderare per allargare il cuore. Proprio nei desideri Favre poteva discernere la voce di Dio. Senza desideri non si va da nessuna parte ed è per questo che bisogna offrire i propri desideri al Signore. Nelle Costituzioni si dice che «si aiuta il prossimo con i desideri presentati a Dio nostro Signore» (Costituzioni, 638).
Favre aveva il vero e profondo desiderio di «essere dilatato in Dio»: era completamente centrato in Dio, e per questo poteva andare, in spirito di obbedienza, spesso anche a piedi, dovunque per l’Europa, a dialogare con tutti con dolcezza, e ad annunciare il Vangelo. Mi viene da pensare alla tentazione, che forse possiamo avere noi e che tanti hanno, di collegare l’annunzio del Vangelo con bastonate inquisitorie, di condanna. No, il Vangelo si annunzia con dolcezza, con fraternità, con amore. La sua familiarità con Dio lo portava a capire che l’esperienza interiore e la vita apostolica vanno sempre insieme. Scrive nel suo Memoriale che il primo movimento del cuore deve essere quello di «desiderare ciò che è essenziale e originario, cioè che il primo posto sia lasciato alla sollecitudine perfetta di trovare Dio nostro Signore» (Memoriale, 63). Favre prova il desiderio di «lasciare che Cristo occupi il centro del cuore» (Memoriale, 68). Solo se si è centrati in Dio è possibile andare verso le periferie del mondo! E Favre ha viaggiato senza sosta anche sulle frontiere geografiche tanto che si diceva di lui: «pare che sia nato per non stare fermo da nessuna parte» (MI, Epistolae I, 362). Favre era divorato dall’intenso desiderio di comunicare il Signore. Se noi non abbiamo il suo stesso desiderio, allora abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera e, con fervore silenzioso, chiedere al Signore, per intercessione del nostro fratello Pietro, che torni ad affascinarci: quel fascino del Signore che portava Pietro a tutte queste "pazzie" apostoliche.
Noi siamo uomini in tensione, siamo anche uomini contraddittori e incoerenti, peccatori, tutti. Ma uomini che vogliono camminare sotto lo sguardo di Gesù. Noi siamo piccoli, siamo peccatori, ma vogliamo militare sotto il vessillo della Croce nella Compagnia insignita del nome di Gesù. Noi che siamo egoisti, vogliamo tuttavia vivere una vita agitata da grandi desideri. Rinnoviamo allora la nostra oblazione all’Eterno Signore dell’universo perché con l’aiuto della sua Madre gloriosa possiamo volere, desiderare e vivere i sentimenti di Cristo che svuotò se stesso. Come scriveva san Pietro Favre, «non cerchiamo mai in questa vita un nome che non si riallacci a quello di Gesù» (Memoriale, 205). E preghiamo la Madonna di essere messi con il suo Figlio.
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