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Santa Edvige (Jadwiga) Regina di Polonia

17 luglio

Buda (odierna Budapest), Ungheria, 18 febbraio 1374 – Cracovia, Polonia, 17 luglio 1399

Jadwiga, appartenente al ramo capetingio degli Angiò regnante in Ungheria, fu regina di Polonia e Lituania. Portò a compimento l’evangelizzazione di queste terre, che la venerano come patrona. Giovanni Paolo II l’ha proclamata “santa” l’8 giugno 1997 a Kraków, in Polonia.

Patronato: Polonia e Lituania

Etimologia: Edvige = ricca guerriera, o fortuna in battaglia, dal tedesco

Emblema: Corona, Scettro, Giglio di Francia

Martirologio Romano: A Cracovia in Polonia, santa Edvige, regina, che, nata in Ungheria, ricevette il regno di Polonia e, sposatasi con il granduca lituano Iaghellone, che prese al battesimo il nome di Ladislao, seminò insieme al marito la fede cattolica in Lituania.


L’8 giugno 1997 a Kraków, in Polonia, Giovanni Paolo II canonizzò dinnanzi ad una folla oceanica la prima regina della sua nazione, Jadwiga (Edvige), appartenete come ricordò il papa alla “gloriosa stirpe degli Angioini”, dunque di sangue capetingio.
Con lei si aprì il “secolo d’oro” della storia cristiana della Polonia, cioè il XIV secolo. Fonti storiche risalenti a quel tempo permettono di delinearne un profilo alquanto dettagliato e di ammirare al meglio la sua personalità e la sua spiritualità. Edvige è presentata solitamente nell’atto di “regnare servendo”, comportamento che ne fa immediatamente risaltare la sua maturità cristiana, fondata su una vita impregnata di fede e di carità.
Nei suoi confronti è riscontrabile inoltre un’ininterrotta ammirazione da parte del popolo polacco, accompagnata ad un vero e proprio culto ancora vivo oggi a distanza di secoli.
In Edvige vi era un intreccio di doti e virtù, religiosità e devozione, e tutto ciò contribuiva ad irradiare santità in ogni sua attività quotidiana. Dalla sua profonda ascesi cristiana, scaturì un giusto autocontrollo volto a dominare il suo carattere forte e vivace.
Nata a Buda nel 1374, dalla stirpe capetingia degli Angioini a quel tempo regnati sull’Ungheria, dovette appena maggiorenne annullare gli “sponsalia de futuro” stipulati dai suoi genitori quando lei aveva solo quattro anni, com’era tipica prassi medievale, per combinare un matrimonio con Guglielmo d’Asburgo.
Il 18 febbraio 1386 sposò invece il granduca lituano Jagello, che promise di ricevere il battesimo insieme con tutta la sua nazione, ultimo baluardo pagano in Europa, nonché l’unificazione alla Polonia. Pare che Edvige sia giunta a prendere una decisione così importante per la sua vita a seguito di un lungo travaglio interiore, intense preghiere dinnanzi al Crocifisso di Wawel e parecchie consultazioni con vescovi e nobili polacchi.
Questo matrimonio cambiò la storia europea, trasferendo la frontiera della civiltà occidentale sino ai confini orientali del neonato regno polacco-lituano e ponendo nella schiera dei protagonisti dell’evangelizzazione del vecchio continente. Ciò le avrebbe sicuramente meritato da parte delle Chiese orientali il titolo di “Isapostola”, come le sante Maria Maddalena, Olga di Kiev, Elena madre di Costantino il Grande e Nino di Georgia. Per noi cattolici può essere invece considerata come la regina di Brigida di Svezia “patrona d’Europa”, come ha osservato il papa nell’omelia in occasione della canonizzazione.
Aperta la strada alla cristianizzazione della Lituania, si rese necessario fornire un’adeguata formazione religiosa. A tal scopo Edvige decise di fondare a Praga un collegio per i futuri sacerdoti lituani. Nel documento protocollare dell’atto di fondazione, lei stessa spigò come tale fondazione fu preceduta da lunghe consultazioni ed intense preghiere.
Ritenendo che anche l’Università di Cracovia dovesse collaborare all’opera di evangelizzazione, l’11 gennaio 1397 con il consenso del papa Bonifacio IX fondò la prima Facoltà Teologica polacca. La regina ebbe così a cuore questa sua opera tanto da lasciarvi in testamento le sue gemme ed altri beni personali per anche dopo la sua morte avesse potuto crescere e funzionare al meglio. Queste operazioni, apparentemente pure espressioni di mecenatismo, furono in realtà il frutto della sua fede matura e lungimirante.
Sin dalla sua infanzia Edvige era stata a leggere abitualmente la Sacra Scrittura, il Salterio, le Omelie dei Padri della Chiesa, le meditazioni e le orazioni di San Bernardo, i Sermoni e le Passioni dei Santi ed altre opere religiose classiche. Alcune di esse vennero tradotte su sua iniziativa in lingua polacca e fece redigere un salterio in tre versioni linguistiche, denominato “Salterio Floriano”, oggi custodito nella Biblioteca Nazionale di Varsavia.
Giovanni Štìkna, Stanislao di Scarbimiria ed Enrico di Bitterfeld, guide spirituali di grande pregio, furono messi a disposizione degli ecclesiastici, dei cortigiani e degli uomini di cultura, assicurando loro in tal modo non solo una formazione culturale.
Edvige esigeva infatti dal clero un alto livello sia spirituale e che culturale.
In quei tempi, in cui vi fu un amalgamazione di varie credenze, dottrine e prassi, spesso provenienti dal mondo pagano, Edvige si rivelò sempre fedele alla tradizione ed in profonda comunione con la Sede Apostolica. Al tempo stesso si dimostrò tollerante nei confronti delle altre confessioni cristiane e delle altre religioni. In tale direzione va citato l’esempio della fondazione della chiesa e del convento dei Benedettini slavi a Cracovia, che avrebbero dovuto recarsi nella Rus’Rossa per celebrare la liturgia nel rito slavo, per giungere pacificamente ad un riavvicinamento fra i differenti culti. In qualità di sovrana cristiana, seppe testimoniare la sua fede con irrepetibile sensibilità; per esempio, per ravviare il culto nella cattedrale di Cracovia, fondò nel 1393 il “Collegio dei 16 Salmisti”, perché giorno e notte potesse risuonarvi la gloria di Dio.
In occasione del Giubileo dell’Anno Santo 1390, desiderando poter avvicinare tutti i suoi sudditi, polacchi, lituani e ruteni, ai frutti spirituali della Chiesa, ma ben conscia degli enormi disagi di natura politica e sociale ai quali sarebbero stati esposti in pellegrinaggio per Roma, chiese ed ottenne dal papa Bonifacio IX la grazia di poterlo celebrare nel proprio paese.
Incoronata “Regina della Polonia”, con il passare del tempo prese parte sempre più attivamente agli affari pubblici dello suo stato, rivelando sempre più la sua prudenza e saggezza politica. Dal 1389 si trovò ripetutamente a dover fare da mediatrice nei rapporti conflittuali fra la Polonia e l’Ordine teutonico, nonché in varie rivalità familiari.
Consapevole dell’immane pericolo che i Turchi costituivano per l’Europa cristiana, Edvige tentò di dissuadere l’ambizioso duca lituano Vitoldo dal disperdere le forze dell’esercito polacco-lituano in un’inutile spedizione bellica contro i Tartari.
Ma gli affari dello stato non le impedivano di soccorrere i suoi sudditi nei loro bisogni quotidiani. Ciò è testimoniato anche dai registri dei conti reali. In Edvige è sicuramente da sottolineare l’acuto senso, non solamente di giustizia, ma di rispetto per ciascun essere umano. Un episodio in particolare dimostra inequivocabilmente la fermezza che la contraddistinse sempre nel difendere i deboli e gli oppressi. Nel 1386, avendo appreso che gli abitanti di un villaggio erano stati privati dei loro beni da parte dei cavalieri reali, ordinò che fossero risarciti non solo i danni materiali, ma, preoccupata della ferita provocata alla loro dignità umana, affermò con dolore: “Se pure abbiamo restituito il bestiame ai coloni, chi restituirà loro le lacrime?”. Questa domanda, tramandataci dai cronisti del tempo, pone in rilievo il suo “genio del cuore”, al punto che Konrad Górski, storico della spiritualità polacca, l’ha definita “l’espressione più profonda della cultura cristiana”.
Solita contemplare l’immagine del Crocifisso Nero di Wawel, la santa regina attingeva amore e forza per regnare servendo, lo slancio missionario, l’umiltà di cuore, l’altruismo e la pace nel soffrire e nell’agire. Diverse fonti ricordano come fosse solita assistere alla Messa nei giorni feriali, anche durante i suoi viaggi.
La croce l’accompagnò sempre nel suo pellegrinaggio terreno, anche nelle circostanze più difficili: la morte prematura del padre, il distacco dalla casa paterna a Buda, l’incoronazione a Regina all’età di dieci anni in un regno a lei ignoto, la rassegnazione circa i falliti progetti matrimoniali dell’infanzia, la tragica morte della madre nel 1387 e dell’ultima sorella nel 1395, le calunnie diffuse nei suoi riguardi nelle corti europee, il tentativo di creare discordia fra lei e suo marito Ladislao Jagello più anziano di lei. Ma in tutte le numerose e complesse difficoltà politiche e umane in cui venne a trovardi, Edvige seppe sempre prodigarsi con tutto l’amore possibile.
Una di queste fu rappresentata dalla lunga attesa dell’erede al trono. Nel Medioevo, infatti, la sterilità della donna era considerata un segno del castigo divino: Edvige dunque ne soffriva, tanto più che sperava di rafforzare l’unione polacco-lituana e di proseguire l’opera di cristianizzazione con la nascita di un figlio. La sofferenza fu interrotta solo per breve tempo dalla lieta novella della gravidanza. All’approssimarsi del parto Jagello era solito raccomandarle di addobbare sontuosamente la stanza del nascituro.
Grazie al noto cronista polacco Jan Dlugosz conosciamo lo stato d’animo della regina in questo periodo, tramite la sua risposta al re: “Da lungo tempo ho allontanato da me il fasto del secolo e non lo voglio seguire in prossimità della morte, che, abbastanza spesso, il parto è solito causare, ma piuttosto voglio piacere a Dio, il quale mi ha donato la fecondità, tolto l’obbrobrio della sterilità, non per lo splendore dell’oro e delle gemme, ma nella mansuetudine dell’umiltà”.
Purtroppo ebbe modo di gioire assai poco della sua maternità fisica, perché la neonata erede al trono Elisabetta Bonifacia morì in breve tempo. A distanza di quattro giorni, il 17 luglio 1399, si spense anche Edvige, alla giovanissima età di 25 anni e 5 mesi. Premurosa della sorte del coniuge, preoccupata per la solidità dello stato e per la continuità della dinastia Jagellonica, prima di morire consigliò al marito di sposare Anna di Cilli, figlia del Guglielmo e nipote del re San Casimiro il Grande.
Nonostante la grande venerazione tributatale spontaneamente dal popolo polacco, vi sono voluti ben sei secoli per giungere al riconoscimento ufficiale del suo culto con la canonizzazione.
Il passo necessario per arrivare a tale traguardo è stato il riconoscimento da parte della Congregazione delle Cause dei Santi di una guarigione miracolosa da “otomastoidite purulenta destra cronicizzata con ipoacusia a labirintito”, che ha visto quale protagonista la signora Anna Romiszowska. Nata a Varsavia il 10 marzo 1924, all’età di 2 anni, dopo una scarlattina, si verificò un primo episodio flogistico all’orecchio destro. Nel dicembre 1949, all’età di 26 anni, a seguito di un’angina, fu nuovamente colpita al medesimo organo da una otite acuta, che venne curata con la penicillina. Assai poco giovamento poté trarre la paziente da questo trattamento, a causa della comparsa di un acuto dolore in sede retroauricolare e stato febbrile. Fu trattata con i raggi ultravioletti e poi ricoverata nella clinica otoiatrica dell’Università di Varsavia, ove rimase ben due settimane. In seguito al ricovero si manifestò un’otorrea purulenta. Gli accertamenti radiologici rilevarono un’osteite dell’apofisi mastoidea. Per i numerosi rischi dell’intervento e dell’anestesia la signora Romiszowska fu curata con la penicillina, ma peggiorò per la comparsa di vertigini e senso di nausea. Fu sottoposta a nuovi e più approfonditi esami, che confermarono l’otomastoidite purulenta con chiara sofferenza uditiva e vestibolare, vertigini e vomito. Temendo delle complicazioni endocraniche, alla paziente fu prescritto l’intervento chirurgico della trapanazione del cranio. Il 16 agosto 1950 la fu ricoverata nella Clinica Otorinolaringoiatrica dell’Università di Cracovia, per essere operata il giorno seguente. All’indomani la paziente riferì un improvviso netto miglioramento. Venne dunque sottoposta a nuovi accertamenti radiologici e otofunzionali, che esclusero definitivamente la necessità dell’intervento. La paziente, guarita, fu dimessa già il 18 agosto. Fu successivamente sottoposta a nuovi controlli, che evidenziarono una piccola perforazione, tessuto di granulazione e un deciso miglioramento degli esami.
La guarigione avvenne dunque in poche ore il 17 agosto 1950, nel quarto giorno della novena all’allora Beata Edvige, nella quale la paziente coinvolse l’intera sua famiglia, in cui il culto della regina era vivo da ben tre generazioni. Inoltre durante la novena la malata applicò sulla parte dolente un pezzo di stoffa in cui erano state avvolte le ossa della beata il 14 luglio 1949 in occasione dell’esumazione, del riconoscimento e della traslazione delle reliquie nel nuovo sarcofago nella Cattedrale di Cracovia.
Il 19 dicembre 1996 la Consulta Medica predisposta dalla congregazione vaticana dichiarò all’unanimità tale guarigione come estremamente rapida, definitiva e scientificamente inspiegabile. Il 7 febbraio 1997 anche tutti i membri teologi espressero voto affermativo riguardo a questa guarigione, riconoscendone la preternaturalità ed attribuendola all’intercessione della Beata Edvige. Il 4 marzo seguente giunsero alla medesima conclusione i Cardinali, gli Arcivescovi e i Vescovi chiamati ad esprimersi.
Jadwiga poté così essere elevata agli onori degli altari con il titolo di “santa”.


Autore:
Fabio Arduino

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Aggiunto/modificato il 2005-02-21

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