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Servo di Dio Ezechiele Ramin Sacerdote comboniano, martire

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Padova, 9 febbraio 1953 – Cacoal, Brasile, 24 luglio 1985

Ezechiele Ramin, detto Lele, nacque a Padova il 9 febbraio 1953. Sin dalla prima giovinezza s’impegnò nel sostegno alle missioni, entrando a far parte di Mani Tese. Dopo il diploma, fu ammesso tra i Missionari Comboniani del Cuore di Gesù. Prima dei voti perpetui e dell’ordinazione sacerdotale, ebbe occasione di visitare riserve indiane negli Stati Uniti d’America e concretamente a svolgere un’esperienza pastorale tra i “latinos” a Chicago e poi per un anno nella Bassa California messicana. Ordinato sacerdote il 28 settembre 1980, fu per tre anni circa animatore missionario e operò tra i terremotati dell’Irpinia. Nel gennaio 1983 partì per Cacoal, nello Stato brasiliano di Rondônia, dove si rese presto conto dei soprusi a cui erano sottoposti contadini e indigeni, espropriati delle loro terre. Il 24 luglio 1985, di ritorno da una missione pacificatrice tra contadini e proprietari terrieri, cadde in un’imboscata: morì crivellato di colpi d’arma da fuoco, perdonando i suoi aggressori. Il processo diocesano della sua causa di beatificazione e canonizzazione, per l’accertamento del suo effettivo martirio in odio alla fede, si è svolto nella diocesi di Ji-Paraná dal 1° aprile 2016 al 4 marzo 2017. A esso si è aggiunta l’inchiesta rogatoria presso la diocesi di Padova, iniziata il 10 aprile 2016 e conclusa il 25 marzo 2017. I resti mortali di padre Ezechiele riposano a Padova.



I primi anni
Ezechiele Ramin, detto Lele, nacque a Padova il 9 febbraio 1953. Battezzato il 15 febbraio 1953 e cresimato il 5 giugno 1960. Suo padre, Mario Ramin, era artigiano lavoratore della pietra, mentre sua madre, Ammirabile Rubin, era casalinga; ebbero sei figli, tutti maschi.
Come ha raccontato il fratello Paolo, la loro era una famiglia con tante “F”: fede e fiducia in Dio, fatiche quotidiane, fratellanza fra i componenti e fanciullezza di cuore, sinonimo di semplicità e purezza.
Dal 1959 al 1964, Ezechiele frequentò la scuola elementare “Alessandro Manzoni”. Per le medie e le superiori, dal 1964 al 1972, fu invece allievo del Collegio Barbarigo di Padova.

L’inizio del suo impegno missionario
Il periodo trascorso come liceale fu molto intenso. Studiava fino alle 22 o alle 23, perché aveva trascorso il pomeriggio in vari impegni caritativi, alla ricerca di una scelta di vita definitiva. Trascorreva le vacanze in campi di lavoro con altri giovani, per costruire case per i poveri in altre zone del Veneto. A Padova, nel 1971, si impegnò nel gruppo di Mani Tese riuscendo a renderlo per la sua giovialità più coeso; per il suo interesse circa la problematica terzomondiale più cosciente e per le sue radicate convinzioni religiose più determinato nella sua azione.
Proprio da queste attività in favore dei poveri del Sud del mondo, scaturì la sua vocazione missionaria, concretizzata poi dall’incontro, nel Collegio Barbarigo, con gli studenti del vicino seminario dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù e del loro superiore padre Pietro Settin.

Fra i Missionari Comboniani
Ezechiele conseguì la maturità classica nel 1972, con ottimi voti. Nell’estate di quell’anno, per rispondere ai genitori su quale Facoltà universitaria avrebbe scelto, li condusse davanti alla casa dei Missionari Comboniani in via San Giovanni da Verdara a Padova e dichiarò: «Questa è la mia facoltà, missionario d’Africa».
Aveva scelto il suo futuro, perché Dio lo chiamava da tempo a portare agli uomini i doni più preziosi. la pace e la libertà. Del resto, «Pace e giustizia, non violenza», era il suo tema preferito, dibattuto fin dagli anni dell’adolescenza nei gruppi giovanili di Padova.

La partenza per il postulandato
Nel 1972 partì per Firenze, per il postulandato. I suoi amici di Mani Tese continuarono la sua opera, ricordando sempre quanto aveva affermato: «Non si può stare seduti con le braccia conserte, aspettando che i primi ad alzarsi siano gli altri. Su, muoviamoci prima noi, diamoci da fare. Poi anche gli altri ci seguiranno».
A un’amica di quel tempo, Paola Trevisan, scrisse nel gennaio 1972: «La gente ha sempre bisogno di chi vuol fare del bene. Oggi ci sono molti esclusi, molti emarginati, molti dimenticati. Dimenticati negli ospedali, nelle carceri, emarginati negli ospizi, nei riformatori, nelle baracche, esclusi dalla vita umana. Come si può restare indifferenti a questo dolore dell’uomo?? Non sono un idealista, utopia non è Amare anche questa gente, utopia è non amare!! In un tempo come il nostro che ci ha soffocato il Cristo tra i grattaceli, l’asfalto, le strade, i treni, le macchine occorre trovare il volto del Cristo tra i fratelli, anche se vestono male, anche se non li conosciamo».

Alla ricerca della vera missione, sua e della Chiesa
Conseguì il baccalaureato negli anni 1972-74 presso lo Studio Teologico Fiorentino. Era un periodo di grandi fermenti sociali: il terrorismo dilagava e la confusione era di casa fra i giovani, ma anche fra gli stessi educatori.
Da Firenze, il 6 ottobre 1974 Ezechiele passò a Venegono Superiore (in provincia di Varese e diocesi di Milano) per il noviziato. Il 5 maggio 1976 professò i voti temporanei. Tuttavia, prima di emettere i voti perpetui, voleva essere sicuro della sua scelta. Anche lui, come i tanti giovani seminaristi e sacerdoti all’epoca, era alla ricerca della vera missione della Chiesa e si domandava quale dovesse essere la risposta ecclesiale di fronte alle ingiustizie sociali, che suscitavano in Italia e nel mondo guerre, guerriglie, rivolte e atti terroristici.

In Inghilterra e a Chicago
Domandò allora di poter espletare almeno una parte degli studi teologici in terra di missione, possibilmente in Uganda. Fu inviato invece in Inghilterra, dove rimase per tutto l’anno di studio 1976-’77.
Nel 1977 fu destinato allo scolasticato di Chicago. Aveva anche un altro desiderio, maturato negli anni fiorentini: quello di essere sia sacerdote missionario, sia medico. Lo espresse al superiore generale dei Comboniani in una lettera del 10 novembre 1978. Alla fine, invece, si diplomò in Teologia con la specializzazione in Missiologia.

L’esperienza pastorale in Messico
Dopo poco più di due anni a Chicago, chiese di svolgere un’esperienza pastorale, desiderando «confrontare lo studio teorico della teologia con la realtà umana fra la povera gente». Gli fu concesso di andare a Città del Messico, dove per quattro mesi approfondì lo studio della lingua spagnola.
Trascorse altri otto mesi a cavallo fra il 1979 e 1980 in Bassa California, nella Città dei Ragazzi. Unendo affabilità e decisione, lavorò fra i ragazzi messicani organizzandoli in tutte le attività. In pari tempo, rivelò un grande senso della vita comunitaria e di apertura verso i poveri.

Professione perpetua e ordinazione sacerdotale
Fu in questo periodo messicano, che le ombre sulla sua scelta di vita consacrata si dissiparono, come aveva tanto invocato, mentre vedeva che i suoi compagni di classe diventavano sacerdoti.
Il 18 maggio 1980, a Cabo San Lucas in Bassa California, pronunciò i voti perpetui. Tra le righe della formula-preghiera si legge: «Mi hai provato molto, però non mi è mai mancata la tua tenerezza e il tuo aiuto. Per questo, Signore, con molta tranquillità e serenità di cuore, metto tutti i miei giorni nelle tue mani, confidando sempre nella tua fedeltà verso di me…».
Rientrato in Italia, Ezechiele venne ordinato sacerdote il 28 settembre 1980 da monsignor Edoardo Mason, nella chiesa di San Giuseppe a Padova, la sua parrocchia.

A Napoli, poi nell’Irpinia terremotata
Come primo compito di novello sacerdote, fu inviato presso la comunità comboniana di corso Vittorio Emanuele a Napoli, come aiutante di padre Nando Caprini nell’animazione missionaria dei giovani.
Si trovava proprio a Napoli il 23 novembre 1980, quando un terremoto colpì particolarmente la Campania e la Basilicata. Lui e il confratello furono mandati a San Mango sul Calore, un paesetto dell’Irpinia totalmente crollato, nel quale anche il parroco era morto sotto le macerie.
Era inverno, c’era neve e freddo intenso. C’era bisogno di tutto: dal recupero dei morti, al soccorso dei feriti, all’assistenza dei superstiti, specie vecchi e bambini.
Padre Ezechiele rimase per un mese senza togliersi nemmeno le scarpe, riposando in qualche modo in una roulotte di due metri, che fungeva da ufficio parrocchiale e da centro di coordinamento aiuti. Organizzò anche una scuola elementare provvisoria, circondando con dei teli di plastica i pilastri di una casa in costruzione, aiutato da maestre volontarie provenienti dal nord Italia.

Animatore missionario
Passata l’emergenza, tornò a Napoli al suo lavoro di animazione missionaria fra i giovani. Con padre Nando condusse la campagna per la Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra del 1981 ad Acerra, entrando in tutte le scuole della città. Il vescovo del luogo, monsignor Antonio Riboldi, entusiasta del loro operato, li invitava spesso a tenere conferenze nella diocesi.
Nel 1982, per alcuni mesi, dovette sostituire l’animatore vocazionale dei ragazzi a Troia, in provincia di Foggia. Vi lavorò con entusiasmo, come lui stesso affermò in una delle tante lettere che scrisse: «Nonostante le delusioni, continuo a regalare ogni giorno le cose migliori di me stesso, come la fiducia, la simpatia, l’affetto e la testimonianza del Signore. Osservavo in questi giorni come il Cristo, pur avendo le mani inchiodate, mantiene aperte le braccia».
Rimase in contatto epistolare con i suoi professori, sia del Collegio Barbarigo, che delle varie case di formazione dove aveva studiato. A loro esprimeva le tempeste, le ansie, le gioie e le soddisfazioni del suo compito missionario.

Missionario in Brasile
Il suo cuore comunque sognava altre terre, quelle dell’America del Sud. La permanenza nel Sud Italia gli confermò tale desiderio, che espresse ai suoi superiori. Si era fatto missionario per l’Africa, ma dopo aver studiato l’inglese, lo spagnolo e il francese, chiese di essere mandato in Brasile, dove si parla il portoghese.
L’8 marzo 1983, in un incidente stradale presso Mestre, morì suo fratello Gaudenzio, di 27 anni, penultimo dei fratelli Ramin. Laureato in Economia e Commercio, aveva deciso di andare in Africa come missionario laico insieme alla moglie Chiara, di professione medico. Lei partì ugualmente, per onorare il marito e compiere quel suo nobile desiderio, peraltro sostenuto più tardi con vivo interesse anche dal cognato.
A gennaio 1984, padre Ezechiele partì per il Brasile. Per sei mesi sostò a Brasilia per lo studio del portoghese, ma ne approfittò per girare come poteva le zone dell’interno per conoscere l’ambiente, la popolazione e i suoi specifici bisogni. In quel modo, poté comprendere più da vicino le ingiustizie che subivano i contadini brasiliani.

Le condizioni sociali del Brasile
Già dal secolo XIX la terra era in mano a pochi proprietari, i quali, senza nessun riguardo per i contadini che le lavoravano da generazioni, continuavano ad impossessarsene con ogni mezzo lecito od illecito. Nel periodo in cui padre Ezechiele arrivò, la situazione non era migliorata.
L’uno per cento dei proprietari terrieri, i latifondisti, controllava il quarantacinque per cento dell’intera area rurale del Brasile. Trecentoquaranta proprietari di terre possedevano cinquanta milioni di ettari, mentre due milioni e mezzo di contadini ne possedevano solo cinque.
I latifondisti ottenevano gli atti di proprietà rilasciati dal Governo e si presentavano ai contadini per l’espropriazione, ma loro non avevano i documenti e i mezzi per dimostrare che quel pezzo di terra era di loro proprietà da generazioni.
Nell’evolversi della situazione politica, la Chiesa si schierò a difesa dei campesinos, ovvero i contadini, sfidando la forza dei proprietari, appoggiati dai pistoleros, uomini armati da loro assoldati. L’esercito non sempre riusciva ad intervenire. Molti sindacalisti, politici, contadini, capi di leghe contadine, ma anche sacerdoti e missionari, venivano uccisi perlopiù in imboscate.
Gli indios venivano uccisi ad esempio con zollette di zucchero avvelenato, lanciate da aerei privati. I nuovi padroni si dovevano solo preoccupare di bruciare i corpi, per nascondere alle autorità centrali la prova dei loro crimini.

Destinato a Cacoal in Rondônia
Padre Ezechiele fu destinato a Cacoal nello Stato di Rondônia, una diocesi di 214.000 km quadrati. Doveva spostarsi in macchina, celebrando la Messa e incontrando i fedeli nelle chiesette di legno, spesso fatiscenti, costruite dai contadini stessi nella folta vegetazione amazzonica.
Si esprimeva con un linguaggio diretto e franco: il suo amore per gli indios e per i contadini senza terra, era così evidente che aveva conquistato subito la loro fiducia. Lo stesso valeva per i due confratelli e per le quattro suore che collaboravano in parrocchia con lui.
Poco prima che arrivasse a Cacoal, il 25 luglio 1984, giorno dedicato al lavoratore, la polizia aveva sparato contro il popolo in processione ad Aripuanã, presente il vescovo della diocesi di Ji-Paraná.

Omelia indimenticata
È restata memorabile l’omelia di padre Lele, tenuta il 17 febbraio 1985 alla gente di Cacoal. Qualcuno ebbe l’idea di registrarla. In essa il missionario rese quasi il suo testamento spirituale:
«Il padre che vi sta parlando ha ricevuto minacce di morte… Cari fratelli, se la mia vita vi appartiene, vi appartiene anche la mia morte […]. Le aree libere del nostro Stato di Rondônia, cioè la terra di nessuno, appartengono ai nostri fratelli senza terra, e non ai fazenderos avidi. No, perché non è questa la giustizia…».

Una missione di pace
Il 24 luglio 1985, padre Ezechiele e il suo amico sindacalista Adilio si accinsero a compiere una missione pacificatrice. A circa cento chilometri dalla parrocchia di Cacoal c’era la fazenda Catuva, il cui proprietario era Osmar Bruno Ribeiro.
In realtà essendo il latifondo di enormi dimensioni, non si sapeva se Governo dello Stato di Rondônia, lo avesse assegnato totalmente al presunto proprietario. Non si conosceva neppure se l’atto legale di cessione fosse stato ancora firmato. Anzi parlava si parlava di circa 5.000 ettari assegnati legalmente a fronte di 70.000 a 100.000 ettari occupati abusivamente.
Nella zona molte famiglie cercavano un pezzo di terra per sfamare le loro famiglie ed avevano occupato in anticipo la terra lungo la strada che collegava lo Stato di Rondonia e il Mato Grosso addentrandosi nella fazenda Catuva. Per questa ragione i contadini erano passibili della ritorsione dei fazenderos e dei loro pistoleros; questi ultimi non aspettavano altro, per incassare quarantacinque dollari per ogni morto.
Padre Ezechiele e Adilio arrivarono sul posto prima che si cominciasse a sparare. Cercarono di persuadere i contadini a non armarsi contro i proprietari, perché questi, invocando la legittima difesa, avrebbero senz’altro aperto il fuoco. Conveniva quindi avere pazienza: nel giro di qualche settimana sarebbero arrivati gli atti legali per l’assegnazione governativa.
I contadini si convinsero e quindi si ritirarono. La mossa spiazzò i proprietari: quel giovane prete sapeva farsi obbedire dai contadini, per cui doveva essere pericoloso.

La morte
Sulla strada del ritorno a Cacoal, l’auto del missionario e del sindacalista cadde in un’imboscata: dopo una curva si trovò di fronte 7 guardie armate di tutto punto: una pioggia di colpi di armi da fuoco si abbatté su di loro. Adilio riuscì a buttarsi fuori dall’auto finendo nell’alta erba e si salvò. Invece padre Ezechiele uscì dall’auto e fece per avvicinarsi agli uomini armati gridando: «Sono un sacerdote, parliamo!». Cadde crivellato di colpi.
Il suo corpo fu recuperato ventiquattr’ore dopo dalla polizia e dai confratelli di Cacoal. Erano stati avvertiti dal superstite Adilio, che era riuscito ad incontrare un gruppo di contadini, che avevano partecipato alla riunione presso la fazenda. Lo caricarono su di un camion, scortati dalla polizia di Ji-Paraná, per proteggere i missionari da altre imboscate dei pistoleros. Non era stato toccato nulla, né dal morto né dalla macchina: poteva essere un segno che l’unica finalità degli assassini era quella di eliminare il missionario.

I funerali
Dopo la cerimonia funebre a Cacoal con la partecipazione di tutti i fedeli della parrocchia, la sua salma, sigillata nella bara, fu trasportata prima a Porto Velho, poi a Rio de Janeiro e quindi in Italia. A Venezia fu effettuata l’autopsia alla presenza di Paolo Ramin, fratello di padre Lele e medico.
Il 2 agosto 1985 ci fu il solenne funerale nella sua parrocchia di San Giuseppe a Padova, presieduto dal vescovo di Padova e concelebrato da una settantina di sacerdoti. Nella preghiera dei fedeli, il fratello Paolo parlò così: «…Per l’onore che hai voluto darci scegliendo in Ezechiele un ministro per il tuo popolo, noi ti ringraziamo, Signore. Sembrava nostro, ma ora capiamo che è di tutta la Chiesa a cui lo abbiamo consegnato. Nel dolore di questa morte, i miei genitori e fratelli, ti pregano di usare misericordia verso gli uccisori. Tu ci hai insegnato l’amore e il perdono. Sì, Padre Santo, noi non portiamo rancore per gli uccisori. Noi perdoniamo. Tu toccali con la tua grazia. Fa’ che la morte di Ezechiele, pastore del tuo gregge, porti frutti beneficando i suoi “campesinos”, in modo che essi possano raggiungere una vera dignità di uomini, in un ordine sociale ben più equo e giusto ...».
Dopo le esequie, il corpo di padre Lele fu sepolto nel cimitero di Padova.

La causa di beatificazione e canonizzazione
A padre Lele fu subito riconosciuto di aver versato il sangue in ossequio alla fedeltà alla propria vocazione, restando sul posto nel momento del pericolo e per un motivo di carità verso i poveri e gli oppressi.
Per questa ragione e a fronte della sua perdurante fama di martirio, i padri Comboniani hanno deciso di chiedere l’apertura della sua causa di beatificazione e canonizzazione, per l’accertamento dell’effettivo martirio in odio alla fede.
L’inchiesta diocesana principale si è svolta nella diocesi di Ji-Paraná dal 1° aprile 2016 al 4 marzo 2017. A essa si è aggiunta l’inchiesta rogatoriale presso la diocesi di Padova, iniziata il 10 aprile 2016 e conclusa il 25 marzo 2017. Ora è al vaglio della Congregazione delle Cause dei Santi a Roma.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto/modificato il 2019-11-27

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