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Venerabile Serafina Gregoris Religiosa

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Fiume Veneto, Pordenone, 15 ottobre 1873 - Venezia, 30 gennaio 1935

A Fiume Veneto (Pordenone) lavorò in fabbrica. A Venezia, invece, visse la sua consacrazione nella Congregazione delle Suore Terziare Francescane di Cristo Re. Il morbo di Pott la rese completamente immobile. Svolse la missione della preghiera e della sofferenza per la salvezza delle anime. Considerava la sua malattia "un privilegio", che la univa più strettamente al Signore.


Vittoria Gisella Gregoris, in religione suor Serafina degli angeli, nasce a Fiume Veneto (PN) il 15 Ottobre 1873.
A 21 anni entra tra le suore terziare francescane di Venezia, san Francesco della Vigna (Francescane di Cristo Re).
L’anno dopo la professione religiosa, a 24 anni, la colpisce un morbo inguaribile che la rende inferma per 38 anni: sono lunghi anni di sofferenze che lei offre giorno dopo giorno al Signore con serena pazienza e docile conformità a Cristo Re Crocifisso.
Muore a Venezia il 30 gennaio 1935, in concetto di santità.
Sull’infanzia e la fanciullezza di Gisella non ci sono notizie rilevanti; le testimonianze dei parenti e dei compaesani dicono che era molto affezionata al papà. Ella in genere non cerca segni di distinzione ma preferisce essere come tutte le altre bambine; ebbe la fortuna, tra i pochi del suo tempo, di frequentare la scuola elementare. Figlia del sacrestano si rende disponibile al Signore nel contesto della vita quotidiana; non ha la possibilità di fare particolari esperienze di fede ma è nella sua comunità che matura la decisione di seguire il Signore secondo modi “ordinari”. In parrocchia ella avviò ed incrementò il gruppo giovanile “figlie di Maria”, un’associazione che promuoveva la devozione alla vergine Maria, la santificazione dei suoi membri, e l’apostolato attivo nelle famiglie e nell’ambiente sociale. Proprio nell’ambito di questo gruppo parrocchiale ritrova freschezza e responsabilità la sua risposta al Signore, comprende che all’amore di Dio non si può opporre resistenza. Tutto vuole dedicare all’approfondimento della conoscenza del Vangelo e alla pratica delle virtù cristiane. Per la maturazione della fede e la scelta vocazionale di Gisella sembra determinante la guida spirituale del parroco. In lei diventa sempre più forte la confidenza con Dio e si accentuano precisi esercizi di ascetica. Ogni ora pregava a lungo ai piedi del letto e si alzava anche nel cuore della notte per continuare il suo colloquio con Gesù. Probabilmente a 15-16 anni matura la decisione di consacrarsi tutta al Signore, continuando a restare fedele nella preghiera, aderendo con costanza a tutti gli appuntamenti comunitari. Tuttavia avverte il peso della fragilità umana, gli scoraggiamenti, ma trova nel sacerdote una guida illuminata e saggia: assieme a lui ha imparato a discernere la volontà del Signore individuando il suo posto nella Chiesa. Alla sua maestra poi, Virginia Muzzatti, doveva molto della sua scelta di vita: spiritualmente serena, ricca di virtù, appassionata testimone del Vangelo, era stata proprio lei, insieme al parroco di Fiume ad avviare l’associazione figlie di Maria e a raccogliere molte giovani attorno all’ideale dell’associazione. Per far fronte ad una disgrazia familiare si fece assumere nel cotonificio del suo paese: nella sua vita di operaia era sempre puntuale e allegra fra le compagne, in generale era una donna che “tirava dritto” nel suo lavoro, tornata a casa aiutava ancora i suoi soprattutto nella coltivazione dei bachi da seta. Il lavoro non le impediva di dedicare tempo alla preghiera: era una ragazza che sapeva organizzarsi: per chi ha amicizia con Cristo il lavoro manuale diventa un’occasione per maturare spiritualmente, come Gesù a Nazareth l’operaio fa propria la legge dell’incarnazione e vive l’autentico sacrificio spirituale nell’offerta gioiosa di se al Signore. Era cosciente di lavorare per arginare un po’i debiti della famiglia e per mettere da parte quella somma che le veniva richiesta per entrare in convento, ma non poneva nel guadagno il suo scopo principale. La famiglia le fu da principio avversa nella sua decisione di entrare in convento ed anche il parroco, date le condizioni di disagio dei genitori, le prospettava di fare del bene in un altro modo. Gisella invitava a non temere, a fidarsi del Signore. Aveva tuttavia dalla sua parte il padre che pregava per lei e con lei. La relazione con Dio nella preghiera le comunicava una grande forza. Arrivò alla maggiore età sempre più confermata nella sua vocazione. Alla sua entrata in convento gli animi erano esacerbati in famiglia, non mancarono le offese, ma anche se in quell’addio ripetuto c’era una vena di amarezza, tuttavia era presente la fortezza della sicura adesione alla volontà del Signore: Gisella non aveva subito un colpo di fulmine, era proprio quella la sua strada. Gisella vestì il saio francescano il 5 febbraio 1895. Lo sposalizio della gioia con la tristezza sperimentato dal santo di Assisi caratterizza anche la vita religiosa di suor Serafina. Le madri vollero che la novizia Gregoris riprendesse a studiare sotto la guida di una suora maestra e che imparasse a suonare il pianoforte in vista di un’azione educativa più completa e competente tra le ragazze. Il 6 Febbraio 1896 fece la promessa religiosa: con tutto l’entusiasmo delle giovani innamorate di Cristo ad osservare i voti di povertà, castità, obbedienza; spesso si esprimeva così: “voglio lasciare che Dio disponga completamente di me”. Suor Serafina dimostra di essere attratta dall’amabilità di Dio e di sentirsi sicura in Lui. Il bisogno costante di stare con il Signore, fin da quando lo cercava prima di recarsi al a lavoro è espressione del suo bisogno di appartenere solo a Lui. Sviluppa il suo potenziale di amore in una vita di pietà sempre più impegnata: il suo più grande dispiacere sarà quello di non poter ricevere la santa Comunione in certe giornate della sua infermità. E’molto vivo in lei il canto della notte, del cuore vigilante: meraviglia il suo costante riferimento al Regno che viene: ne comprende l’urgenza sottoponendosi alla rigorosa pratica delle virtù che alimentano la purezza del cuore. Non ha paura di chiedere ripetutamente scusa ai superiori e alle consorelle, non indugia a parlare di sé o a raccontare le sue vicende, non vuole legare a se le persone per restare libera di benedire il Signore quando gliele fa incontrare. E’molto attenta alla vita di famiglia e tiene presente le notizie che arrivano. Il dono impegno della verginità non spegne gli affetti umani: non viene ricordata mai indifferente aspra scostante e non farà esibizione delle sue difficoltà ammettendo con semplicità che anche in lei ci sono lotte interiori, conquiste faticose. Come tutte le altre suore non possedeva niente e viveva in un ambiente povero, ciò la portava ad un abbandono fiducioso nella divina Provvidenza, dalla quale era cosciente di ricevere tutto quello che serviva all’utilità comune. Camminò decisamente la via del distacco, cercando la comunione con Dio e la totale disponibilità ai suoi doveri di religiosa. Non chiese mai niente per sé e non manifestò bisogni particolari, poiché lavorava attorno all’essenziale: sperimentò la beatitudine della povertà proprio lì dove il Signore l’ha chiamata. Caratteristica molto viva della sua povertà è l’apertura alle sorelle: si fa tutt’una con loro, è povera perché profondamente sorella. Dimostra stima verso tutte, si preoccupa della formazione delle giovani, le sta a cuore la sorte di quelle che incontra sofferenti o turbate. Fin che può lavora intensamente assolvendo con generosità e precisione i compiti che le venivano affidati. Si distingue per la gioia di servire e per l’intraprendenza ed abilità nell’eseguire i vari lavori. E’sempre convinta che proprio il servizio quotidiano nella comunità sia la strada tracciata dal Signore per la sua santificazione. Nessun’altra volontà poi cercava di far regnare che non fosse il progetto di vita del suo istituto, a lungo meditato e accolto con spirito di fede. Sapeva restare al suo posto, sopportando le imperfezioni del prossimo e manifestando ai responsabili della comunità i suoi timori. Anche quando le venivano fatte delle confidenze che mettevano in dubbio le decisioni dei responsabili, tagliava corto, richiamando, nella sua semplicità, all’abbandono totale, esigente, in Dio. Il frutto maturo dell’obbedienza sarà la sua capacità di soffrire ed offrire, in un armonia durata molti anni. Suor Serafina fu ben presto impegnata nel servizio educativo delle ragazze povere di Venezia; esse non volevano perdere nessuna delle sue parole, i suoi semplici insegnamenti per praticare fin nelle piccole cose quello che piace a Dio: tutti si accorgevano che la suora parlava e annunciava quanto viveva. E’la carità la via maestra e il carisma più grande cui anche suor Serafina aspira nella fedeltà feriale: già malata e piegata in se stessa si recava ancora a far lezione alle sue allieve con bravura e precisa competenza, stimolando con precise indicazioni la generosità dei cuori a lei affidati. Fin dal 1897, dall’età di 24 anni, comincia ad avvertire i primi sintomi del male che le attanaglierà la vita: il morbo di Pott. Finché poté sopportò in silenzio: non voleva preoccupare i superiori e non pensava minimamente di ritirarsi dal suo campo di apostolato. Sentiva il dovere di fare del bene e di rendersi utile alla comunità. Amava sottoporsi ai lavori più gravosi della Casa. In lei si profila un atteggiamento di resistenza al male che si farà sempre più distinto fino ad accettare con amore prove ancora più pesanti. Nel frattempo si moltiplicano le improvvise cadute, soffre di parecchi dolori, si chiamano a consulto i medici e la malattia viene fuori nella sua gravità. Fu costretta in futuro a lasciarsi fare in tante piccole cose che il suo animo delicato volentieri avrebbe evitato: spesso ricevere è più difficile che donare. Suor Serafina, mentre accettava questi servizi indispensabili, cantava. Era un modo per reagire all’umiliazione provata per rendere meno gravoso il servizio prestatole. Dopo parecchi consulti medici e tentativi di cure, vide cadere ogni speranza di guarigione. La sua gran voglia di vivere, il sogno dell’apostolato attivo fra le giovani, la collaborazione alla missione della sua comunità dovevano ridimensionare la sua vocazione. Ora il Signore le apriva un altro campo di lavoro: sarebbe stata ancora una donna del sì nel suo povero lettino di ferro all’interno di una cella spoglia. La malattia straziante durerà in tutto 38 anni. Ma la sofferenza corporale a cui fu sottoposta era nulla in confronto alle dure prove spirituali che affrontò e che le impedivano anche il sonno: il Signore spinge nell’aridità del deserto i figli che vuole riservare per avventure di riguardo. Riguardo al suo male poi, non mendicava particolari consolazioni: non se ne stava passiva, reagì sempre alla rassegnazione. La sua giornata trascorreva secondo gli appuntamenti della sua comunità: preghiera, lavoro, ricreazione e riposo. Pienamente inserita in questi ritmi partecipava alla vita comune e cercava di rendersi utile. Nella sua giornata non mancano mai obbiettivi da raggiungere: il Signore le aveva mandato in cocci certi suoi programmi, lei si fa intelligente indagatrice di un altro modo di servire nella Chiesa. Con la sapienza che viene dell’alto scopre e intensifica la sua condizione di vittima, di totalmente immolata, alla stregua di Teresa di Lisieux. Il francescano è consapevole che la sua vocazione lo inserisce nella follia dell’amore di Cristo per diventare una manifestazione nella Chiesa. Come Francesco anche suor Serafina segue Cristo nella semplicità di cuore. Come Francesco mantiene un animo di fanciullo che sa ammirare e caricarsi di tenerezza per tute le cose che la circondano, per i volti delle persone che la avvicinano e per i doni della natura. Del francescanesimo di suor Serafina si può ricordare la povertà, che non è pigrizia ma laboriosità e impegno, e lo spirito di gioia: era la sua una serenità a caro prezzo, un ottimismo conquistato a brandelli. Non osava chiedere nulla per se, ma lodava e ringraziava il Signore per tutto quello che le riservava. Caratteristico è che non tiene davanti a se un programma di virtù da inserire passo passo, metodicamente: il consacrato ama e vuole essere vicino a Colui che ama: segue con decisione Cristo che è divenuto il tesoro della sua vita. La sua vocazione è pienamente inserita nella vitalità della Chiesa; il suo è un itinerario semplice, fatto di quotidiana disponibilità alla volontà di Dio. Suor Serafina diceva poi di non sapere pregare: il suo è un atteggiamento davanti a Dio di grande onestà spirituale; aveva fatte proprie poi le raccomandazioni della madonna: preghiera e penitenza, svolgeva infatti, un intenso apostolato della preghiera, ben cosciente comunque che Dio non può scusare la nostra pigrizia negli affari umani. Sappiamo che Dio è amico del silenzio, ci parla a noi e attraverso di noi nel silenzio: tanto più riceviamo nella nostra preghiera silenziosa tanto più possiamo dare nella nostra vita attiva… di tale silenzio orante è ricca la vita di suor Serafina. Per suor Serafina la comunione quotidiana era un avvenimento: Gesù la riempiva di gioia e consolazione e non trovava parole per benedire e ringraziare. Dopo averlo accolto nella santa comunione era molto attenta a non farsi disturbare. Curava nei minimi dettagli l’atteggiamento della gratitudine e della riconoscenza. Suor Serafina non chiede la guarigione, unico suo scopo è quello di aderire incondizionatamente alla volontà di Dio: tutto accettava incondizionatamente quale mezzo della propria santificazione e per il bene delle consorelle religiose. Fu missionaria dal suo letto come Teresina: dei missionari si appoggiarono alle sue preghiere per i loro viaggi apostolici. C’è un’armonia nella sua vita che la rende donna attenta alle varie situazioni e contemporaneamente vigile e presente al suo Signore. I testimoni le riconoscono una pazienza eroica, anche se il martire cristiano non è l’eroe, esso è invece un discepolo, la sua pazienza e la sua pace sono frutto di una promessa. Il cristiano poi non è votato alla tristezza, come figlio della risurrezione mantiene un costante atteggiamento di gioia: in suor Serafina si nota questo atteggiamento lasciando trasparire così la sua fede solida nel Cristo Risorto, ma in lei si riscontra anche che la gioia è legata alla benevolenza, costante preoccupazione di volere e cercare il bene degli altri. Particolare segno di questa è la sua costante solidarietà con il paese di origine. Su molti punti appare poi intransigente, ma non per scoraggiare, bensì per generare entusiasmo e voglia di lavorare meglio. Nella sua personale adesione al principe della Pace riusciva costruire quell’equilibrio indispensabile per accettare anche i conflitti e le prove. Gli urti della vita venivano come ammortizzati dentro di lei. Si accettava così come era, puntando sempre alla perfezione, ben cosciente della fragilità del suo essere. Incoraggiava sempre poi alla familiarità con coloro che Dio ha messo accanto per guidare la nostra vita di comunione.


Autore:
Andrea Sartini

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Aggiunto/modificato il 2008-10-20

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