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San Melchiorre Garcia Sanpedro Vescovo e martire

28 luglio

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29 aprile 1821 - 28 luglio 1858

E' uno dei venticinque martiri uccisi nel Tonchino Centrale (Vietnam) durante la persecuzione scatenata contro i cristiani, beatificati da Pio XII il 29 aprile 1951. Melchiorre nacque a Cortes, villaggio della parrocchia di Santo Stefano di Cienfuegos, nella provincia di Oviedo, capitale delle Asturie (Spagna), da nobili, ma poveri genitori il 29 aprile 1821. Morì nella città di Nam Định dove fu fatto a pezzi per ordine dell’imperatore Tu-Dùc. Le reliquie del santo sono venerate nella cattedrale di Oviedo (Spagna). Giovanni Paolo II lo canonizzò il 19 giugno 1988 con altri 116 martiri del Vietnam.

 

Martirologio Romano: Nella città di Nam Định nel Tonchino, ora Viet Nam, san Melchiorre García Sanpedro, vescovo dell’Ordine dei Predicatori e martire, che, messo per Cristo sotto strettissima prigionia, fu fatto a pezzi per ordine dell’imperatore Tự Đức.


E' uno dei venticinque martiri uccisi nel Tonchino Centrale (Vietnam) durante la persecuzione scatenata contro i cristiani dal re Tu-Dùc (+1883) e beatificati da Pio XII il 29 aprile 1951. Melchiorre nacque a Cortes, villaggio della parrocchia di Santo Stefano di Cienfuegos, nella provincia di Oviedo, capitale delle Asturie (Spagna), da nobili, ma poveri genitori il 29 aprile 1821. Costoro erano tanto attaccati alle pratiche religiose da non permettere a nessuno dei familiari di andare a dormire senza che avessero prima recitato il Rosario. Quando crebbe in età il santo fu felice d'intonarlo lui, di celebrare a suo modo la Messa alla presenza dei coetanei e di porgere ai poveri l'elemosina avuta per loro dai genitori.
A dodici anni Sampedro manifestò il desiderio di farsi sacerdote. Frequentò con sacrificio il ginnasio a Bàrzana, distante tre chilometri da Arrojo, località del distretto di Quirós, dove i genitori avevano stabilito la loro dimora. In seguito andò a studiare filosofia e teologia all'università di Oviedo (1835). Nei primi due anni, pur alloggiando in una misera pensione e dando ripetizioni private, non aveva denari a sufficienza per comperare i libri di testo. Doveva farseli imprestare dai compagni più generosi. La sua condizione migliorò quando fu nominato precettore del Collegio di San Giuseppe (1842) per l'esemplarità di vita. I suoi condiscepoli dicevano che era "un uomo di orazione". Difatti si confessava tutte le settimane, faceva con frequenza la comunione, tutti i giorni prendeva parte alla Messa e recitava il rosario in ginocchio. Passava ore intere in adorazione davanti al SS. Sacramento o in preghiera davanti all'altare della Madonna.
Il santo non fu mai visto adirato con nessuno. Per le sue belle qualità e per il suo tratto gentile si cattivava la stima e l'affetto di tutti. Amante del silenzio, era piuttosto taciturno e poco espansivo. Quando lasciò il collegio di San Giuseppe per farsi domenicano, fu rimpianto perché "modesto, grave e nello stesso tempo affabile, studioso, devoto". Al padre, che lo rimproverava dell'abbandono della famiglia, rispose: "Io devo lavorare la parte della vigna che il Signore mi destina", tant'era convinto della volontà di Dio nei suoi riguardi. Egli anelava alle missioni per la probabilità del martirio. Nel collegio di San Giuseppe, salendo un giorno le scale, non aveva detto ad un suo amico: "Quando avrò la fortuna di salire i gradini di un patibolo e morire per la fede in Cristo"?
I genitori, che avevano contratto dei debiti per sottrarre il figlio al servizio militare, speravano nella sua resipiscenza. E veramente era già stato proposto come sostituto per la cattedra di logica nell'Università, e una illustre famiglia si era offerta a ottenergli un benefizio di patronato laico nello stesso distretto di Quirós, ma il santo non si lasciò smuovere né da simili lusinghe, né dalle lacrime della madre, né dalle minacce del padre. Persino alcuni zelanti sacerdoti lo biasimarono della decisione presa, ma egli, rassicurato dal proprio direttore spirituale, propose di partire per il convento domenicano di Ocana a costo di qualsiasi opposizione.
Prima di dare l'addio al mondo Melchiorre si recò in pellegrinaggio al Santuario di Nostra Signora di Alba. Al momento di separarsi dai familiari il padre gli disse: "Perché ci abbandoni? Non puoi lavorare anche qui nella vigna del Signore?". "È vero - gli ripose il figlio - dovunque si può servire il Signore, ma io devo rispondere al suo appello che mi chiama a lavorare una parte speciale della sua vigna". Rivestì l'abito dei Frati Predicatori nel 1845 a Ocana. Agli occhi del suo maestro di noviziato egli apparve come "un angelo" perché "quantunque fosse entrato in religione dopo che aveva già compiuto gli studi superiori, era mortificato, ubbidiente e sottomesso come se fosse stato educato nel chiostro fin dalla sua fanciullezza". Fu perciò ammesso alla professione solenne senza difficoltà nel 1846 e all'ordinazione sacerdotale l'anno successivo.
Nel 1848 il santo fu mandato nelle Filippine con quattro confratelli, ma quando giunse a Manila ebbe la dolorosa sorpresa di vedersi destinato dai superiori a insegnare filosofia nell'università di San Tommaso. Avrebbe dunque dovuto rinunziare alle sue aspirazioni all'apostolato e al martirio? Ne parlò al consiglio di Provincia il quale accolse il suo desiderio di andare a predicare il Vangelo nel Tonchino Orientale sotto la guida del Vicario Apostolico, Mons. Girolamo Hermosilla (+ 1 novembre 1861), futuro martire insieme con Mons. Valentino Berrio-Ochoa, il P. Pietro Almató e il catechista Giuseppe Khang. Benché non avesse che vent'otto anni e godesse di buona salute, dovette incontrare serie difficoltà nello studio del tonchinese per la mancanza di memoria. Poco tempo dopo il suo arrivo a Doung-Xuyèn fu decretata l'erezione del Vicariato Apostolico del Tonchino Centrale alle dipendenze di Mons. Domenico Marti, al quale fu dato come coadiutore, con diritto di successione, il B. Giuseppe Diaz Sanjurjo (+ 20 luglio 1857), allora rettore del seminario indigeno di Cao-Xà.
A prenderne il posto fu chiamato P. Sampedro il quale diede splendida prova delle sue qualità. Il suo direttore spirituale, Mons. Ilario Alcàzar, coadiutore di Mons. Hermosilla, nell'inviare alla Congregazione di Propaganda Fide la relazione del martirio di lui, ne mise in risalto il grande amore alla mortificazione e alla preghiera. Ai lunghi digiuni prescritti dalla regola, egli ne aggiungeva degli altri con sanguinose flagellazioni fino a tanto che il confessore glieli limitò per riguardo alla salute. Nonostante il gran caldo che faceva nel Tonchino portava il cilicio e usava sempre indumenti di lana. Benché soffrisse abitualmente d'insonnia, concedeva pochissimo tempo al riposo per attendere alla predicazione del Vangelo, alle confessioni e alla preghiera. Tutti i giorni recitava il rosario intero. Eppure, nella sua umiltà, si professava un miserabile peccatore e si meravigliava che Dio non lo castigasse per le sue ingratitudini.
I superiori nel 1852 dessero P. Sampedro Vicario Provinciale. Nel tempo che occupò questa carica egli fece stampare libri e opuscoli da diffondere anche tra gli infedeli. Si deve a questo suo zelo la conversione di un villaggio composto da cinquecento persone, che sorgeva vicino a Cao-Xà, e la predicazione della fede in altri tre o quattro villaggi circonvicini. Nell'ultimo anno di vita ebbe vomiti di sangue, dovuti forse allo sforzo fatto nella proclamazione della parola di Dio.
Per la difficoltà di provvedere al bene spirituale dei fedeli del Tonchino Centrale e per l'incombente persecuzione del re Tu-Dùc, Mons. Sanjurjo ottenne da Pio IX la facoltà di eleggersi un coadiutore, con diritto di successione. La sua scelta cadde sopra il P. Sampedro (1855), che ordinò vescovo a Bùi-Chu alla presenza di una moltitudine di fedeli e di autorità civili e religiose. Per oltre due anni il neo-eletto potè visitare le cristianità ed esercitare il ministero di notte perché era stato promesso un premio vistoso a chi lo avesse fatto imprigionare. La persecuzione per alcuni anni si susseguì tra bonaccia e tormenta finché nel 1857 si fece implacabile e continuò senza interruzione fino al 1862.
Durante i periodi di calma i cristiani vivevano con un certo sollievo, i sacerdoti lavoravano con sufficiente libertà, ma i missionari europei dovevano essere cauti se non volevano cadere nelle mani dei mandarini. A chi ne scopriva uno venivano regalate 300 once d'argento. Quando Mons. Sanjurjo cadde nelle mani dei persecutori (1857), Mons. Sampedro mandò un messo al Procuratore della Missione in Cina perché informasse gli ambasciatori della Francia e della Spagna sulle precarie condizioni dei cattolici nel Tonchino, e li supplicasse di adoperarsi perché la pace vi fosse ristabilita. In realtà furono inviate delle navi francesi e spagnuole nelle acque del Tonchino, ma quando vi giunsero Mons. Sanjurjo era già morto. Alla loro vista i mandarini s'inferocirono ancora di più, e ordinarono che fossero abbattute le chiese e le case dei missionari. Prevedendo prossima la propria fine, Mons. Sampedro ottenne da Pio IX la facoltà di eleggersi un Coadiutore, con diritto di successione, nella persona di P. Valentino Berrio-Ochoa, giunto da tre mesi nella missione. Lo ordinò vescovo nel 1858 non in chiesa, ma nella casa di un buon cristiano. Meno di un mese dopo il santo fu fatto prigioniero a Kièn-Lao, nella notte tra il 7 e l'8 luglio 1858, mentre fuggiva per fiumi e per campi.
Bramava tanto la gloria del martirio che si sarebbe consegnato spontaneamente nelle mani dei mandarini se il suo coadiutore non lo avesse dissuaso. A motivo dell'irremovibile fermezza nel professare la fede cattolica, e per averla predicata tra il popolo per 9 anni, fu condannato a morte. Il mandarino generale ordinò che, prima della decapitazione, all'imputato fossero tagliate le gambe e le braccia perché era accusato pure di avere chiamato una nave straniera e di essere stato il capo dei ribelli al re.
Il 28 luglio 1858 Mons. Sampedro fu condotto al luogo del martirio legato con una grossa catena e scortato da una ventina di carnefici che tenevano in mano la spada sguainata. Il santo vi si recò sereno, recitando il breviario, si lasciò spogliare e legare mani e piedi ai pali solidamente conficcati nel terreno in maniera da avere il corpo ben teso. L'ordine dell'esecuzione capitale fu dato dal mandarino dall'alto di un elefante. Il martire invocò continuamente il nome di Gesù mentre il carnefice gli amputava gli arti con un'ascia senza taglio. Difatti ci vollero ben 12 colpi per troncargli una gamba e 15 per mozzargli la testa.
Gli arti del giustiziato ed il suo tronco, privo di viscere, furono gettati in una fossa che fu ricoperta di terra e fatta calpestare da un elefante. La testa, dopo essere stata esposta per due giorni alla porta meridionale della città, fu frantumata e gettata nel mare.
Le reliquie del santo sono venerate nella cattedrale di Oviedo (Spagna). Giovanni Paolo II lo canonizzò il 19 giugno 1988 con altri 116 martiri del Vietnam.


Autore:
Guido Pettinati

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Aggiunto/modificato il 2011-12-20

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